Il sospetto, spiega ancora Cinti, “è stato dunque che succedesse qualcosa come se l’embolo grassoso si spalmasse progressivamente sull’alveolo formando queste membrane. Inoltre, questi aspetti embolici grassosi non sono esclusivi dei pazienti con Covid: erano presenti anche in pazienti obesi, con frequenza molto minore rispetto ai casi Covid. Andando a rivedere la letteratura, mi sono accorto che effettivamente le embolie grassose erano state descritte negli obesi fin dal 1879. Nei pazienti Covid queste sono molto più gravi perché il polmone è infiammato”.
“Queste – puntualizza l’esperto – sono tutte deduzioni, che derivano da uno studio osservazionale”. Ma le prospettive di tutto ciò sono che, “se questa è la fisiopatologia della malattia, allora bisogna aggredire il più presto possibile l’infiammazione del grasso viscerale e usare subito, senza aspettare, degli antinfiammatori lipofili, come l’indometacina per fare un esempio, che vadano ad agire lì dove c’è il grasso. Ma nessuno deve fare da sé – ammonisce Cinti – Bisogna sempre rivolgersi al medico curante”.
La ricerca intanto continuerà. “Avendo pubblicato su una rivista internazionale, ci aspettiamo e speriamo che anche altri gruppi approfondiscano questi aspetti – conclude l’esperto dell’ateneo marchigiano – Probabilmente il meccanismo da noi osservato è generalizzato, anche perché non tutti i pazienti Covid che abbiamo studiato erano obesi. E c’è un’altra cosa molto importante a supporto della nostra tesi: noi abbiamo preso una linea cellulare di adipociti umani, abbiamo infettato queste cellule con l’aiuto dei nostri microbiologi e virologi, e abbiamo visto che la cellula adiposa, a contatto col virus, tende a buttar fuori vacuoli lipidici. Tutto, quindi, coincide”.

