Criminalità istituzionale come la mafia - QdS

Criminalità istituzionale come la mafia

Carlo Alberto Tregua

Criminalità istituzionale come la mafia

sabato 19 Settembre 2020

La mafia aveva l’abitudine di eliminare i propri nemici, come Mauro Di Mauro, giornalista di cui si ricorda il 50esimo della scomparsa, ma anche gli amici che tradivano, come Salvo Lima, e poi una serie inquietante di giudici e poliziotti, fra cui Falcone e Borsellino.
Col tempo però, anche in seguito al maxiprocesso e alle successive condanne di Provenzano e Riina, ha modificato sostanzialmente i suoi comportamenti.
Nel frattempo schiere di figli e di nipoti hanno studiato, conseguito lauree, sono diventati professionisti, i quali sono stati mandati in prima linea per trattare gli affari in modo ufficiale.
I filoni della droga e delle armi sono stati coperti da silenzi spessi e infatti se ne parla poco anche su giornali, televisioni e media sociali, come se queste attività criminali fossero scomparse.
Eppure Guardia di Finanza, Polizia e Carabinieri svolgono notevole attività di contrasto ottenendo successi. Però la malapianta è talmente diffusa che è difficile sradicarla.


La criminalità organizzata si è inserita nelle Istituzioni perché ha capito che fare la cresta sulla spesa pubblica, sia corrente che per investimenti, rende moltissimo. Cosicché ha affinato la propria attività utilizzando la corruzione, che è come la calunnia, un venticello calmo e gentile che si diffonde. E infatti le Istituzioni sono via via logorate dal cancro della corruzione, che non è solo mafiosa ma anche utilizzata da persone che non fanno parte della criminalità organizzata.
Insomma, si è costituita una sorta di criminalità istituzionale che deriva dal matrimonio della prima con la Cosa pubblica. Contrastare questo filone, vivificato negli ultimi decenni, è molto difficile, perché le metastasi sono quasi invisibili e solo un attento esame del tessuto istituzionale può portare alla loro individuazione.
A questo quadro si aggiunge il continuo retrocedere morale e culturale dell’intera burocrazia, che è anch’essa permeata della corruzione criminale e non criminale, con la conseguenza che la sua parcellizzazione si è ultimamente sviluppata diventando ancora più invisibile.

C’è un modo per contrastare la diffusione della corruzione nelle Istituzioni e nella sottostante Pubblica ammministrazione? Non uno, ma diversi. Per esempio, la totale digitalizzazione di tutta la burocrazia italiana che consentirebbe la tracciabilità di ogni atto e di ogni passaggio. Cosicché, a posteriori, si potrebbe effettuare qualunque tipo di controllo che farebbe emergere comportamenti illeciti, illegali o irregolari dei diversi dirigenti e dipendenti.
La tracciabilità di tutti i documenti e di tutti i fascicoli aumenterebbe molto il rischio di corrotti e corruttori e diminuirebbe ancor di più il tasso di corruzione.
Come mai la digitalizzazione del Paese è lentissima? La risposta è nei fatti. Tutti i pubblici dipendenti resistono e respingono l’estendersi delle innovazioni proprio perché, finché maneggiano cartacce, sono in condizione di essere corrotti o comunque di alimentare la cultura del favore.
Il dipendente o il dirigente, che completato il lavoro su un fascicolo non lo trasmette all’ufficio successivo perché aspetta la telefonata di sollecito, compie un atto di corruzione istituzionale e viene meno al suo dovere che è quello di ottemperare con rapidità ai compiti assegnati.


Ma anche qui c’è un buco profondo che consiste nella mancata assegnazione dei compiti e cioè degli obiettivi, con la conseguenza che è impossibile misurare i risultati confrontandoli con i primi, appunto perché questi mancano.
Se non ci sono obiettivi non si può dire se i risultati siano buoni o cattivi. Ecco dove dovrebbe intervenire con forza il Governo e in particolare il ministro della Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone. Ma non sembra che la stessa marci in modo differente dai suoi predecessori Bongiorno, Madia, D’Alia, Patroni Griffi e Brunetta, i quali hanno fatto finta di riformare per non rifomare nulla.
Se nella Pa non s’inseriscono i valori di merito e responsabilità, nonché quello della produttività, nessun progresso potrà fare il Paese, perché essi sono il tramite fra le decisioni politiche e la loro attuazione, in atto pari a zero.

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