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Crisi idrica, Fatuzzo al QdS: “Il mio obiettivo? Fare in modo che in Sicilia l’acqua depurata venga considerata una risorsa strategica”

Crisi idrica, Fatuzzo al QdS: “Il mio obiettivo? Fare in modo che in Sicilia l’acqua depurata venga considerata una risorsa strategica”
Il tema del riuso dell’acqua dovrebbe essere presente tutti i giorni dell’anno

Il Commissario nazionale Fabio Fatuzzo interviene al QdS: “Sto inserendo nelle gare indicazioni per soluzioni tecniche migliorative”

“Il problema del riuso in Sicilia è un problema di cui ci si accorge troppo spesso solo durante i periodi di siccità, quando manca la pioggia. Invece il tema del riuso dell’acqua dovrebbe essere presente tutti i giorni dell’anno, in qualunque stagione”.
Lo dichiara al Quotidiano di Sicilia il Commissario unico alla depurazione e al riuso delle acque reflue, Fabio Fatuzzo, in riferimento al tema del riciclo idrico nell’Isola.

Riutilizzare l’acqua significa, di fatto, disporre di una risorsa infinita, perché l’acqua è sempre presente nel territorio: gli esseri umani non potrebbero vivere senza usarla e, di conseguenza, senza poi doverla depurare. Il paradosso è che, finora, nella maggior parte dei casi, l’acqua depurata viene ancora considerata alla stregua di un rifiuto e semplicemente scaricata”, aggiunge Fatuzzo.

“Se trattata adeguatamente – aggiunge Fatuzzo –, l’acqua depurata rappresenta una risorsa potenzialmente illimitata. Tutti i Comuni dispongono di servizio idrico e devono dotarsi (qualora non ne fossero già in possesso) di impianti di depurazione. Potrebbero così avere a disposizione una quantità significativa di acqua riutilizzabile, da impiegare proprio nei settori dove la domanda è maggiore”.

“Penso, a esempio, all’agricoltura nelle aree vicine ai terreni coltivati, alle attività artigianali che hanno bisogno di acqua nei loro cicli produttivi, fino alle realtà industriali che consumano volumi importanti, come accade in aree a forte vocazione produttiva, ad esempio nel territorio di Catania”.

“Se il riuso diventasse una prassi strutturale, non parleremmo più di emergenza idrica, ma di una vera e propria programmazione intelligente della risorsa acqua, capace di dare stabilità al sistema e di ridurre la pressione sulle fonti tradizionali”.

Tecnologie, costi e direttive europee

Secondo Fabio Fatuzzo, “è evidente che l’acqua destinata al riuso deve essere depurata al massimo livello, cioè a livello A, in quaternario. Questo comporta il superamento dei sistemi tradizionali finora utilizzati. Occorre introdurre tecnologie più avanzate, come l’impiego di membrane filtranti e sistemi di disinfezione spinta, ad esempio con raggi Uv, e adeguare gli impianti con nuove apparecchiature e nuovi schemi di trattamento. Tutto ciò comporta inevitabilmente costi aggiuntivi, e lo riconosce anche la Direttiva (Ue) 2024/3019, che prende atto delle maggiori spese necessarie per garantire standard di depurazione più elevati”.

“La domanda centrale è chiara: chi deve sostenere questi costi? Se continuiamo a immaginare che tutto debba essere caricato solo sullo Stato e quindi sulla finanza pubblica, generiamo un sistema strutturalmente debole. Io sono convinto, invece, che operando con intelligenza e visione sia possibile recuperare una parte importante di questi costi dall’interno dello stesso ciclo di depurazione e smaltimento, trasformando l’acqua depurata in un prodotto di alto valore economico oltre che ambientale”.

Acqua depurata come risorsa economica e ambientale

“Una volta che disponiamo di acqua depurata al massimo livello, abbiamo nelle mani un bene che può essere messo a valore. Questa acqua può essere destinata, ad esempio, all’agricoltura, come già previsto dalla normativa vigente, alleggerendo il peso sulle risorse potabili e sostenendo un settore cruciale per la Sicilia. Può essere venduta alle imprese industriali e artigianali, che hanno un fabbisogno costante nei loro processi produttivi”.

“Può inoltre essere utilizzata per l’irrigazione del verde urbano, per il lavaggio delle strade, per costituire riserve idriche antincendio e per tante altre esigenze che oggi, nella maggior parte dei casi, vengono affrontate utilizzando acqua potabile. Questo, dal mio punto di vista, è un errore grave, quasi un ‘delitto’ gestionale, soprattutto se pensiamo a quanto spesso sentiamo ripetere che ‘l’acqua sta finendo’”, osserva.

“Io dico sempre che non è l’acqua, in senso assoluto, a finire: non finisce l’acqua, finisce l’acqua pulita, l’acqua potabile, quella che gli esseri umani possono utilizzare in sicurezza. È proprio per questo che dobbiamo incrementare in maniera decisa le politiche di riuso, rendendole parte integrante della pianificazione idrica regionale e nazionale”.

Obiettivi e prospettive

“Nel mio ruolo di Commissario straordinario unico per la depurazione e il riuso delle acque reflue, sto lavorando perché il tema del riuso sia presente già nella fase di progettazione e di gara. Sto inserendo nei capitolati di gara indicazioni specifiche che favoriscano la presentazione di soluzioni tecniche migliorative, orientate a ottenere acqua depurata al livello più elevato possibile e a predisporre gli impianti al riuso effettivo e continuativo”.

“Il mio obiettivo è chiaro: fare in modo che, in Sicilia e non solo, l’acqua depurata venga finalmente considerata per ciò che davvero è, una risorsa strategica, stabile e distribuita sul territorio, e non un semplice scarto da eliminare. Solo così possiamo affrontare seriamente il tema della scarsità di acqua potabile e costruire un modello di gestione idrica davvero sostenibile”, conclude Fatuzzo.

Depuratore di Catania, 2 mld al palo. “Serve subito più certezza sul gestore”

CATANIA – “L’impianto di depurazione di Catania rappresenta oggi gran parte del mio impegno come Commissario straordinario unico alla depurazione e al riuso delle acque reflue. Parliamo di lavori complessivi per circa due miliardi di euro, destinati non solo all’impianto di Catania, ma a tutti gli interventi nell’area etnea. Una cifra enorme che dà la dimensione strategica di queste opere non solo per la città di Catania, ma per l’intero territorio etneo”, afferma il Commissario Fabio Fatuzzo, in riferimento allo stato dell’arte dei lavori per il depuratore etneo.

“Purtroppo, allo stato attuale, la situazione è in stallo”, rimarca il Commissario. “La sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione siciliana – aggiunge – ha di fatto ridato vita a una convenzione del 2004, individuando come gestore unico una società che, ad oggi, pur più volte sollecitata, non ha ancora fornito adeguate dimostrazioni di capacità tecnico-economiche”.

“Questo elemento è decisivo – prosegue Fabio Fatuzzo -, perché proprio il mancato riscontro pieno sui requisiti tecnici ed economici sta determinando il blocco dell’iter realizzativo dell’opera. Non è una scelta politica, ma una questione di responsabilità amministrativa e di tutela dell’interesse pubblico: un sistema di depurazione così complesso e così rilevante, anche in termini di risorse investite, necessita di un gestore che dimostri in modo chiaro e inoppugnabile di avere tutte le competenze, le strutture e le garanzie necessarie”.

“La mia speranza – e il mio auspicio istituzionale – è che questa società riesca quanto prima a dimostrare il pieno possesso dei requisiti richiesti, in modo da consentire finalmente di sbloccare delle opere fondamentali sotto il profilo ambientale, sanitario ed economico per l’intero territorio etneo”, conclude il Commissario unico alla depurazione e al riuso delle acque reflue.

Parigi val bene… l’acqua: il riutilizzo dei reflui diventa la strada obbligata

Per affrontare il tema della gestione e del trattamento delle acque reflue nel nostro Paese – e, più in locale, in Sicilia – basterebbe partire dal presupposto che l’Italia, negli ultimi dieci anni, ha versato circa 800 milioni di euro in sanzioni sul piatto di Bruxelles a causa del mancato rispetto delle normative europee per tale materia.

Il dato è contenuto all’interno dell’ultimo “Environmental implementation review”, il rapporto della Commissione Ue sullo stato dell’arte delle politiche ambientali attuate da ogni Paese dell’Unione, e certifica come Roma non riesca ancora a sfruttare a pieno le potenzialità fornite dal riuso delle acque per garantire un adeguato approvvigionamento idrico e un efficiente impiego in agricoltura e altri settori, specialmente in quelle aree – si pensi al Sud – dove la disponibilità del prezioso liquido blu è limitata.

E lo ricordano anche le quattro procedure d’infrazione che pesano come una spada di Damocle sul nostro capo. Alcune di queste sono state già rimodulate in condanne da parte della Corte di Giustizia europea. La prima fa riferimento agli interventi in aree urbane per agglomerati sopra i 15 mila abitanti equivalenti che scaricano in aree non sensibili (n.2004/2034), per la quale l’Italia ha ricevuto due sentenze di condanna, nel luglio 2012 (C-565/10) e nel maggio d2018 (C-251/17), per la quale è stato ordinato il pagamento di una sanzioni di 30 milioni di euro a semestre per gli iniziali 123 interventi in 75 agglomerati. Molti di questi, in particolare, si trovano dislocati in Sicilia, Calabria e Campania.

Nell’aprile 2014 è giunta anche l’altra condanna (C-85/13) in riferimento alla procedura 2009/2034, che riguarda il mancato rispetto della Direttiva Ue in 16 agglomerati, per 28 interventi, superiori ai 10 mila abitanti che scaricano in aree sensibili. C’è poi la condanna, del 2021, per la procedura n.2014/2059 relativa al mancato rispetto delle disposizioni contenuti in diversi articoli della 91/271/CEE in agglomerati che scaricano in aree normali e sensibili. Per la quarta, la procedura n. 2017/2181, il contenzioso tra Bruxelles e Roma è ancora aperto.

Insomma, l’Italia si dimostra inadempiente agli obblighi europei alla luce di ritardi e carenze impiantistiche non ancora superate che si traducono in ulteriori aggravi economici.

Nuove direttive europee e costi per l’adeguamento

Secondo il “Blue book 2025” realizzato da Utilitalia e Fondazione Utilitatis, la nuova direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (Ue) 2024/3019 ha imposto “stringenti obiettivi per migliorare la qualità delle acque reflue”. In risposta a tale esigenza, il nostro Paese sarà chiamato ad ammodernare la rete dei grandi depuratori con costi di investimento e di esercizio compresi tra 645 milioni e 1,2 miliardi di euro.

Sempre il “Blue book 2025” sottolinea che “l’adeguamento del parco impiantistico italiano dunque non solo permetterebbe di evitare le sanzioni economiche, ma garantirebbe anche una migliore tutela dell’ambiente e delle acque del mare in primis, assicurando la salute pubblica e un uso sostenibile delle risorse idriche”.

I modelli virtuosi: Francia e Israele

E per sopperire a questo vulnus non bisogna guardare troppo lontano. Basti pensare all’esempio della Francia. Nel corso di questi ultimi anni, Parigi ha manifestato la volontà di volere recuperare terreno rispetto agli enormi ritardi con gli altri Paesi Ue, aumentando progressivamente il riutilizzo delle acque reflue entro il 2030 e incentivare la riduzione dei consumi. La spinta è stata data dal “decreto Reut” sulle acque reflue trattate, una normativa che rientra nell’ambito del Piano idrico adottato dalla République.

Nel 2024, poi, la Capitale transalpina ha vinto una sfida lunga 100 anni che ha permesso alla Senna di tornare balneabile in occasione dei Giochi Olimpici che si sono svolti due estati fa all’ombra della Torre Eiffel, con un costo complessivo di 1,4 miliardi di euro.

C’è poi il caso di Israele. Lo Stato ebraico negli ultimi decenni ha approntato un sistema efficiente e tecnologicamente avanzato che permette la riconversione delle acque reflue in uno degli ambienti tra i più aridi al mondo. Attualmente, il sistema circolare sviluppato da Tel Aviv consente di recuperare oltre il 90% delle acque trattate per usi agricoli.

E di questo “miracolo” se n’è accorta anche l’Italia che, attualmente, destina in agricoltura solo il 4% dell’acqua depurata su un potenziale di riutilizzo idrico del 23% (dati Enea). Nel luglio 2023 il ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, ha incontrato il suo omologo israeliano Abraham “Avi” Dichter per rafforzare la cooperazione in tema di agricoltura e acqua, sottolineando che “condividere conoscenze, tecnologie e progetti è fondamentale per lo sviluppo di impiantistiche avanzate”, infrastrutture che Israele ha già sperimentato diventando eccellenza e avanguardia nel riutilizzo delle acque reflue depurate per uso irriguo.