Una crisi silenziosa ma profonda, che non fa rumore ma che ogni giorno coinvolge migliaia di famiglie siciliane. È quella del commercio ambulante, che in Sicilia negli ultimi otto anni ha perso il 25% degli operatori. Una cifra che parla da sola: si è passati da 21.000 ambulanti a circa 16.000, con una contrazione costante che sta svuotando i mercati storici e desertificando un pezzo importante dell’economia dell’Isola, oltre a cancellare progressivamente quello che è stato un luogo di comunità fondamentale per la vita soprattutto delle piccole cittadine.
A lanciare l’allarme è Giovanni Felice, presidente di Confimprese Sicilia, che ha scritto una lettera indirizzata al Presidente della Regione e all’assessore regionale alle Attività produttive, ma che è, a tutti gli effetti, un appello rivolto a tutti gli amministratori locali siciliani.
L’allarme sulla crisi dei mercati ambulanti in Sicilia
“La nostra non è una richiesta corporativa – scrive Felice – ma una richiesta di attenzione per un settore che rappresenta lavoro, identità e presidio sociale”. Il commercio su suolo pubblico, spiega Felice, sta vivendo una delle fasi più complicate degli ultimi decenni. Le cause sono diverse e intrecciate. Prima di tutto, il cambiamento radicale delle abitudini dei consumatori.
“Il format dei mercati è invecchiato, e non è stato rinnovato – osserva Felice – sono cambiati i tempi, le abitudini d’acquisto, e anche il vantaggio competitivo del prezzo basso si è praticamente azzerato, tra concorrenza online e vendita abusiva”. A eccezione della provincia di Trapani, dove i numeri restano sostanzialmente stabili, il calo interessa tutte le altre aree dell’Isola. I mercati, purtroppo, sono sempre meno frequentati, molti ambulanti si ritirano, i giovani non subentrano, e l’indifferenza della politica locale contribuisce ad aggravare la situazione.
Una crisi che coinvolge almeno 100mila persone in tutta l’Isola
Giovanni Felice sottolinea un aspetto troppo spesso dimenticato: dietro ogni autorizzazione per il commercio ambulante, c’è una famiglia. Anzi, nella maggior parte dei casi ce ne sono almeno tre che dipendono da quella licenza. “Parliamo di oltre 100.000 persone coinvolte in questo settore, direttamente o indirettamente”, sottolinea il presidente di Confimprese. Un numero che dovrebbe far riflettere, soprattutto se confrontato con l’attenzione mediatica e istituzionale che viene data ad altri comparti.
“Per i call center con 400 dipendenti si scatena la fine del mondo se si parla di licenziamenti. Qui parliamo di migliaia di lavoratori che rischiano il posto nel silenzio più assoluto”, è la denuncia amara di Felice. Ma c’è di più: secondo Confimprese Sicilia, i mercati rappresentano anche un ammortizzatore sociale a costo zero per lo Stato, uno spazio dove lavorano persone che altrimenti graverebbero su altri strumenti di sostegno.
Poco spazio per storia e tradizione
L’altro grande problema, evidenziato nella lettera, è l’assenza di visione urbanistica e strategica sul futuro dei mercati ambulanti in Sicilia. “I mercati storici, che una volta erano il cuore pulsante delle città, oggi sono visti come un problema, da allontanare”. Non rientrano nei progetti di riqualificazione urbana, anzi, molti Comuni puntano a spostare gli ambulanti in periferia, trattandoli come un fastidio e non come una risorsa. Un errore strategico, perché così si spezza quel legame tra città e mercato che per decenni ha animato la vita urbana. I mercati non sono solo luoghi di scambio commerciale, ma spazi sociali, punti d’incontro, occasioni di lavoro e di inclusione. Trascurarli significa dismettere anche un pezzo di coesione sociale.
“Magari saranno i figli degli attuali ambulanti a trovare un’occupazione in questo settore – conclude Felice – in un momento in cui il mondo del lavoro non offre grandissime occasioni, i mercati possono tornare ad essere una chance concreta”.
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