Cuzzocrea: "Sinergia con le altre Università e migliore dialogo con le imprese" - QdS

Cuzzocrea: “Sinergia con le altre Università e migliore dialogo con le imprese”

Melania Tanteri

Cuzzocrea: “Sinergia con le altre Università e migliore dialogo con le imprese”

sabato 12 Marzo 2022

Forum con Salvatore Cuzzocrea, rettore dell’Università di Messina. "Tante iniziative avviate per favorire il futuro occupazionale degli studenti"

Intervistato dal direttore, Carlo Alberto Tregua, il rettore dell’Università di Messina, Salvatore Cuzzocrea – accompagnato da Francesco Pira (professore associato di Sociologia e delegato del rettore alla Comunicazione) – risponde alle domande del QdS.

Qual è il livello di collaborazione tra i quattro Atenei siciliani? C’è sinergia oppure ognuno lavora nel suo ambito territoriale?
“C’è molta sinergia, grazie alle capacità di Gianni Puglisi, il presidente regionale della Conferenza dei rettori siciliani, che ha sempre gestito in maniera egregia questa sinergia delle quattro Università. Io, oltretutto, ricopro il ruolo di vice presidente della Crui quindi, anche a livello nazionale, la Sicilia è ben rappresentata. Devo dire che, almeno da quando io sono rettore a Messina, c’è sempre stata grande collaborazione tra le Università. Siamo riusciti a trovare un equilibrio, sin dal primo momento, quando a Palermo c’era Fabrizio Micari e a Catania Francesco Basile e Gianni Puglisi a Enna. Si è cercato di fare un sistema siciliano forte per quanto riguarda l’Università e l’unico modo per ottenere questo risultato era ed è essere complementari l’uno con l’altro. Fermo restando l’autonomia e le caratteristiche di ognuno di noi. Ma non c’è alcun motivo di farsi la guerra sul numero degli immatricolati. C’è veramente grande sinergia”.

D’altronde, è necessaria la collaborazione per andare avanti. A proposito, per quanto riguarda la collaborazione con il mondo imprenditoriale, qual è il rapporto tra l’Ateneo di Messina e il mercato? Tra ricerca e formazione?
“Anche su questo siamo riusciti a trovare equilibrio, anche se in questo caso pesa molto la sede fisica dell’Università. È chiaro che l’hinterland catanese è diverso da quello messinese in termini di imprese, ma anche di sinergie tra le imprese. Proprio per questo noi abbiamo stretto un’ottima collaborazione con l’Università di Catania con cui abbiamo avviato molti progetti anche sull’ecosistema territoriale. Abbiamo deciso di partecipare insieme, con capofila Catania, a un progetto sulle nanotecnologie, quindi coinvolgendo varie strutture, e riuscendo a portare una sede a Messina di STMicroelectronics. Quindi, di fatto, questa sinergia ha portato vantaggi anche nel rapporto con le imprese, perché queste oggi hanno la possibilità di guardare a tutti gli Atenei, al di là del luogo in cui sono ubicati, perché sanno che parlando con uno in realtà stanno parlando con tutti. E questo è decisamente un aspetto molto importante, la capacità di dialogare. Poi devo dire che noi come Università di Messina ci siamo mossi verso il rapporto con i privati. Abbiamo fatto per esempio un accordo con Ambrosetti, una convenzione, e molte aziende private iniziano a venire in città”.

Quale rapporto avete con le altre istituzioni locali?
“Abbiamo una serie di progetti importanti con il Comune di Messina, per riqualificare una zona degradata che si chiama ‘I granai’, che sono un po’ come erano le vecchie ciminiere di Catania, una vecchia dogana bellissima con vista sullo Stretto. Noi abbiamo presentato un progetto, che è stato in parte finanziato e per cui attendiamo solo l’ultima fase del finanziamento, per creare un I-hub per startup. Per i giovani, per fare da incubatore alle imprese. Quindi siamo riusciti a creare una sinergia anche localmente con le altre istituzioni. Siamo stati per esempio, insieme all’Università di Palermo, pilota nel progetto che si chiama ‘Giustizia Smart’. Quando la ministra Cartabia è venuta a Messina, noi abbiamo dato la nostra disponibilità attraverso anche una collaborazione con la Corte d’Appello, per portare avanti questo progetto di 1,8 milioni di euro che vedrà numerosi borsisti e assegnisti lavorare presso la Corte d’Appello. Il cosiddetto Ufficio del processo che la ministra vorrebbe tanto e che noi abbiamo fatto. Lavoriamo con la Corte d’Appello, con il Comune e anche con l’Autorità portuale per ridisegnare il waterfront cittadino: l’Ente aveva bisogno di qualcuno che sapesse fare le analisi chimiche per poi poter definire i criteri per fare la bonifica nella zona Falcata. Sì è offerta l’Università, abbiamo firmato una convenzione e i nostri dipartimenti hanno fatto quelle analisi che oggi sono la base per le azioni di bonifica che dovranno fare la Regione e il Demanio in quella zona”.

Avete sedi distaccate?
“Abbiamo due Distretti universitari di Messina: uno a Noto, dove ci sono numerosi indirizzi di studio, e uno a Priolo. Su richiesta dell’assessorato regionale alla Salute sulla necessità di avere maggiori infermieri, prima della pandemia, abbiamo proposto ai rettori siciliani e poi al Ministero, che c’è l’ha accreditato, un altro corso di laurea in Infermieristica e lo abbiamo attivato a Priolo, in accordo con l’Asp di Siracusa. Questo ha comportato sessanta posti in più per gli studenti che vengono in Sicilia. Analogamente a Messina abbiamo proposto, sempre alla Regione e ai rettori siciliani, un’altra Facoltà di Medicina e chirurgia presso l’ospedale Papardo, la seconda azienda ospedaliera della città. Abbiamo ottenuto tutti i pareri favorevoli, compreso quello del Consiglio universitario nazionale. Manca quello dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ma speriamo di poter partire a ottobre. Questo porterà altri posti per studenti medicina e chirurgia in Sicilia, che si aggiungono a quelli che già ci sono. Abbiamo imparato che non sappiamo programmare in questo Paese, lo dico da componente della Crui alla Commissione Sanità che fa la programmazione dei posti per le professioni sanitarie e medicina. Non è semplice, ma occorre rispondere presente alle egenze”.

Quanti studenti conta l’Università di Messina?
“Sono 26 mila studenti circa e mille e cento docenti. Quest’anno abbiamo consolidato l’aumento degli immatricolati dell’anno scorso. Una conferma importante perché qualcuno era preoccupato che quell’aumento fosse legato al Covid e al fatto che non si potesse partire. In realtà, avevamo dimostrato con gli altri colleghi rettori che era legato allo studio che abbiamo fatto di aprire i corsi di laurea che servivano”.

Quali nuovi indirizzi sono stati attivati?
“Abbiamo aperto Ingegneria biomedica, che non c’era. Quest’anno parte Agraria, che si differenzia da quella di Catania. Abbiamo avviato Data science in inglese e Diritto dell’Informatica, oltre a Beni culturali a Noto.

L’Università è il motore dell’economia o no? Come può aiutare a muovere gli ingranaggi di quella regionale? Sono pochi i brevetti registrati in Sicilia…
“Sicuramente c’è un problema legato al fatto che in Sicilia non c’è l’abitudine a brevettare. L’Università dà una mano, noi abbiamo creato un fondo per pagare i brevetti dei docenti, dei nostri assegnisti e dei nostri dottorandi. Il numero degli spinoff è aumentato in maniera importante negli ultimi tre anni, ma questo è un passaggio intermedio. Poi dovrebbe arrivare l’azienda che compra la startup. Ecco perché abbiamo creato l’I-Hub e creiamo sinergia con le altre realtà, altrimenti questo percorso diventa un binario morto. Abbiamo realizzato un incubatore all’interno dell’Università: ho recuperato un palazzo che era tale solo sulla carta, era costruito su terreno dell’Università ma di fatto non lo era. Io sono riuscito a riottenerlo e ne sono rientrato in possesso. Adesso è stato assegnato l’appalto per la progettazione e la realizzazione di un polo di informatica, matematica, data science tecnologicamente avanzato, all’interno del quale starà una serie di startup”.

Rispetto alle Università straniere, come trova quella italiana?
“Il sistema è totalmente diverso. Diciamo che quelli anglosassone, tedesco e francese danno un livello del laureato minore, perché meno nozionistico e più pratico, quindi la formazione di eccellenza avviene dopo la laurea, in quello che è il nostro dottorato di ricerca o scuola di specializzazione. In Italia, quando sei laureato, sai bene quello che hai studiato. E io credo che il compito dell’Università sia quello di formare le persone. Se i laureati italiani vanno a dirigere posti di eccellenza all’estero significa che noi li formiamo bene e il nostro lavoro l’abbiamo fatto, perché sono competitivi. Lo Stato spende 120 mila euro a studente nelle Università pubbliche, investendo sulla sua formazione. Se il laureato va a dirigere in Europa, vuol dire che occorre creare le condizioni affinché le persone restino nel nostro Paese”.

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