PALERMO – L’entrata in vigore della “Riforma Cartabia”, prevista per il 30 giugno 2023, è stata anticipata al 28 febbraio. Gli addetti ai lavori, però, esprimono preoccupazione nei confronti di un intervento normativo che difficilmente consentirà di raggiungere gli obiettivi prefissati e che rischia di rivelarsi pregiudizievole per la tutela dei diritti dei cittadini e per la competitività delle imprese sul mercato.
Il QdS ne ha parlato con l’avvocato Dario Greco, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo.
Si tratta della decima modifica nel corso degli ultimi quindici anni…
“Purtroppo sì. Le precedenti modifiche, pur stravolgendo il sistema processuale civile in Italia, non hanno dato benefici concreti. La maggior parte dei Ministri della Giustizia che si sono succeduti negli anni è stato preso dalla smania di modificare il Codice di Procedura Civile, ritenendo che le modifiche potessero determinare l’accelerazione dei tempi, il miglioramento della qualità della funzione giudiziaria italiana ma, in realtà, in presenza delle carenze di organico sia nella magistratura togata sia in quella onoraria, se non s’interviene sulla tecnologia, non si può approdare a nulla. L’unica vera innovazione negli ultimi dieci anni riguarda il processo telematico, che ha determinato un miglioramento della qualità della funzione giudiziaria ma è datata 2013 e le strutture informatiche disponibili sono oramai vetuste perché non è stato fatto, da allora, un adeguamento tecnologico”.
Dove sarebbe necessario intervenire, quindi?
“Innanzitutto sulle carenze di organico della magistratura, sull’innovazione tecnologica, sulle infrastrutture giudiziarie, sui criteri di valutazione dei magistrati. Oggi la stragrande maggioranza dei magistrati fa il proprio lavoro con coscienza e precisione ma, anche se sono pochissimi, alcuni non lo fanno e purtroppo, se non sei ‘bravo’, resti al tuo posto. Non basta il meccanismo premiale ma dovrebbe essere previsto un meccanismo non premiale per chi non fa il proprio lavoro. Nel caso della riforma Cartabia, inoltre, i vuoti che sono rimasti, le incomprensioni e la scarsa chiarezza determineranno contestazioni ma anche ritardi a seguito di aspetti che saranno da approfondire. La stessa redazione della riforma contiene ‘strafalcioni’. Pensi che nell’articolo 473 bis 65 di procedura civile si fa riferimento alle preture, abolite nel 1998”.
I presupposti erano semplificazione, speditezza e razionalizzazione del rito: obiettivi raggiunti dalla riforma?
“Negli ultimi due mesi ho partecipato a decine di convegni con avvocati, docenti universitari e magistrati e in realtà brancoliamo tutti nel buio. Semplificazione non c’è. La comunità dei giuristi, in Italia, sta impazzendo per interpretare queste nuove norme. Speditezza nemmeno, perché gli organici della magistratura sono rimasti identici. Come si può pensare che un giudice che non riusciva a smaltire il suo ruolo con le vecchie norme lo possa fare solo perché è cambiato un termine processuale, perché una “memoria” è chiamata in maniera diversa? Per quanto riguarda invece la razionalizzazione del rito, è del 2010 un decreto legislativo di semplificazione dei riti. Lo era già, razionale. Di fatto se prima avevamo un’udienza a 90 giorni dall’atto di citazione, oggi la abbiamo a 120 giorni. Inoltre siamo alle soglie di una stagione fatta di dubbi interpretativi e incertezze che porteranno a discutere, nei processi, non su chi abbia ragione e chi torto, ma su questo”.
È stato introdotto l’Ufficio del processo. Che ne pensa?
“Che il giudice possa avere un ufficio di supporto può essere positivo. Ma ciò che si deve evitare è che quest’ufficio svolga attività giurisdizionale, perché la sentenza la deve scrivere il giudice, autonomo e indipendente, soggetto soltanto alla Legge, senza superiore gerarchico e sotto l’autogoverno del Consiglio Superiore della Magistratura. I componenti dell’Ufficio del processo non hanno queste caratteristiche, non hanno le guarentigie di indipendenza e autonomia necessarie. Sono molto preoccupato dal fatto che possano scrivere direttamente le sentenze”.
Un tentativo di sopperire alle carenze di organico?
“Forse, ma non lo può essere. Il primo intervento che deve fare l’attuale Ministro della Giustizia è coprire gli organici nella magistratura, anche richiamando tutti i magistrati collocati fuori ruolo, o che svolgono attività extra giudiziali, per farli tornare a scrivere sentenze”.
Arretrato dei processi civili. Sono forse i magistrati italiani che hanno un basso livello di produttività?
“No. È vero il contrario. Hanno un ottimo livello di produttività ma non ce la fanno a smaltire tutto ciò di cui si devono occupare perché sono pochi”.
Com’è la situazione a Palermo?
“Considerare Palermo un’isola felice è eccessivo ma è un luogo in cui la giurisdizione funziona, sia nel settore civile sia penale, sia come Tribunale sia come Corte d’Appello. Purtroppo non è così nel resto dell’isola”.
A suo giudizio, com’è risolvibile il “problema Giustizia”?
Abbiamo la prova che la riforma del codice di rito non funziona. È necessario lavorare sulle strutture e sulla buona amministrazione, non cambiare le leggi. Ancora una volta, tutto andrà a danno di cittadini e imprese che, oltre a non veder tutelati i loro diritti in maniera soddisfacente, ne subiranno tutti gli effetti sociali ed economici negativi.