Home » I dazi USA e l’export siciliano a rischio. Unimpresa: “Necessario cercare nuovi mercati”

I dazi USA e l’export siciliano a rischio. Unimpresa: “Necessario cercare nuovi mercati”

I dazi USA e l’export siciliano a rischio. Unimpresa: “Necessario cercare nuovi mercati”
Export, immagine di repertorio

I danni che le esportazioni potrebbero subire nel settore agroalimentare sfiorano i 2 miliardi di euro l’anno: l’analisi del contesto siciliano con il presidente di Unimpresa.

“Non è solo una questione di numeri – una perdita stimata tra 1,75 e 1,95 miliardi annui – ma di identità, di quel Made in Italy che parla di tradizione, qualità, fatica”. Con queste parole, Giuseppe Spadafora, vice presidente nazionale di Unimpresa, commenta il rischio che incombe sull’export agroalimentare italiano, stimato a 7,8 miliardi di euro nel 2024, con l’introduzione dei dazi al 25% da parte dell’amministrazione di Donald Trump.

I danni che le esportazioni potrebbero subire nel settore sfiorano i 2 miliardi di euro l’anno, secondo il Centro studi della confederazione generale delle imprese.

Sul tema QdS.it ha già sentito gli esperti del settore vinicolo: adesso Spadafora, invece, interviene sull’impatto dei dazi su tutta la filiera agroalimentare.

Dazi USA, il peso sull’export: in Sicilia necessario cercare nuovi mercati

Quali strategie sta adottando Unimpresa per supportare le aziende siciliane del settore agroalimentare di fronte alla minaccia dei dazi Usa?

“Le strategie utilizzate consistono nella ricerca di nuovi mercati evidentemente. Chiaramente questo viene fatto a livello nazionale ma per la Sicilia, questo è particolarmente importante per il settore dell’agroalimentare che è quello, diciamo così, un po’ più colpito”.
In che modo le piccole e medie imprese siciliane, in particolare quelle del settore vinicolo e caseario, potrebbero risentire maggiormente dell’introduzione di questi dazi?

“L’impatto maggiore per le aziende del vitivinicolo e dell’agroalimentare chiaramente è quello relativo all’occupazione. Prevediamo che, se i dazi dovessero insistere per più di sei mesi, il livello occupazionale in questi settori subirà un forte decremento”.

Problemi soprattutto per olio e formaggi

Esistono iniziative, a livello regionale, per diversificare i mercati di esportazione e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti?

“A livello regionale è quasi impossibile intervenire perché, trattandosi di problematiche che riguardano poi le dogane, è evidente che l’intervento deve essere fatto a livello nazionale, cosa che stiamo facendo proponendoci al Ministero agli Affari Esteri e al Mimit e attraverso la nostra rete organizzata estera dell’Unione Nazionale Impresa, per cercare soluzioni alle esportazione, quindi, aprire nuovi mercati”.

Quali azioni concrete ritiene necessarie per una risposta efficace da parte del Governo italiano e dell’Unione Europea?

“Le azioni concrete da parte del Governo e della Comunità Europea devono essere rivolte innanzitutto verso le aziende. La politica fa la politica e deve risolvere i problemi con gli Stati Uniti ma nei confronti delle pmi e comunque delle aziende italiane l’intervento deve essere fatto per sostenere le stesse e quindi chiederemo una serie di sgravi sul modello di quello adottato durante la pandemia del Covid”.

La Sicilia ha prodotti tipici di alta qualità esportati negli Usa: quali tra questi potrebbero subire i maggiori contraccolpi economici?

“In relazione alla tipicità dei prodotti siciliani i maggiori contraccolpi economici riguardano oggettivamente i conservati come l’olio e agroalimentari a lunga conservazione come formaggi e prodotti tipici a carattere generale”.

Le azioni previste per l’export e richieste contro i dazi

Soffermiamoci adesso sulle proposte che Unimpresa vuole portare avanti a favore delle imprese italiane colpite dai dazi. In primo luogo, la confederazione chiede che venga istituito un fondo governativo dedicato a compensare le perdite subite dalle imprese esportatrici a causa dei dazi Usa.

Il fondo potrebbe offrire incentivi fiscali, contributi a fondo perduto o prestiti a tasso zero per coprire i maggiori costi derivanti dalle tariffe, con priorità alle pmi dei settori più colpiti (agroalimentare, moda, meccanica). Obiettivo è mantenere la competitività sui mercati internazionali mentre si cercano soluzioni diplomatiche.

La seconda proposta, come già accennato, riguarda la promozione di un piano strategico per diversificare i mercati di esportazione, riducendo la dipendenza dagli Stati Uniti (secondo mercato di export italiano dopo la Germania). Unimpresa propone campagne di promozione del Made in Italy in Asia (es. Sud America, Cina, India, Giappone) e nei Paesi del Golfo, affiancate da accordi bilaterali agevolati e supporto logistico per le imprese che esplorano nuovi sbocchi commerciali. L’associazione, inoltre, chiede al governo italiano e all’Ue un “deregulation shock” per alleggerire i costi burocratici e normativi che gravano sulle imprese, come proposto dal ministro Urso. Questo includerebbe una revisione temporanea delle norme del Green Deal europeo, che attualmente impongono oneri aggiuntivi alle aziende, per liberare risorse da destinare alla competizione sui mercati globali.

La confederazione chiede il rafforzamento degli investimenti in tecnologia e digitalizzazione per consentire alle imprese di ottimizzare i processi produttivi e raggiungere i consumatori americani direttamente tramite e-commerce, aggirando parzialmente l’impatto dei dazi. Unimpresa suggerisce di ampliare le collaborazioni pubblico-private per fornire formazione e strumenti digitali alle pmi, rendendole più agili e competitive.

L’associazione, infine, chiede di spingere per una risposta coordinata a livello Ue, sostenendo il negoziato con Washington per ridurre o eliminare i dazi e contrastare il rischio di una guerra commerciale. Parallelamente, Unimpresa propone che l’Italia guidi una coalizione di Paesi mediterranei per ottenere deroghe specifiche per prodotti simbolo del Made in Italy (es. vino, olio, formaggi), sfruttando il dialogo politico tra il governo Meloni e l’amministrazione Trump.

Export dalla Sicilia agli USA, le aree più colpite dai dazi

Dando un’occhiata ai dati sull’export agroalimentare delle province siciliane (dati Istat del 2024 rielaborati dalla Confederazione italiana agricoltori, Cia), emerge che il territorio di Trapani è quello dal quale sono partiti più prodotti negli Usa sul totale mondiale (31%), seguito dalle province di Palermo e Agrigento, che si attestano entrambe al 17%.

Da Catania i prodotti esportati negli Usa sul totale mondiale hanno raggiunto il 10%, a Caltanissetta sono arrivati al 6%; a Messina e Ragusa al 5%, mentre dai territori di Siracusa ed Enna le esportazioni agroalimentari verso gli Usa sul totale mondiale si sono attestate al 3%.

Relativamente agli importi a Trapani sono stati raggiunti 59.014.728 euro, a Catania 50.917.600 euro, ad Agrigento 31.913.825 euro, a Palermo 28.119.794 euro, a Ragusa 14.575.486 euro, a Messina 12.228.054 euro, a Siracusa 3.004.603 euro, a Caltanissetta 810.844 euro, a Enna 623.090 euro.

La provincia da cui sono partiti più prodotti per gli Stati Uniti sul totale mondiale e che sarebbe più esposta ai dazi a livello nazionale nel 2024 è Grossetto (71%), mentre in valori assoluti la città con l’importo maggiore nel 2024 è stata Salerno con 518.453.309 euro.

Immagine di repertorio