PALERMO – Ottanta milioni di euro. È questa la somma che la Regione siciliana ha chiesto a Bruxelles di poter utilizzare a incidere sui fondi del Programma regionale Fesr 21-27 per la realizzazione di parchi fotovoltaici in tutta l’Isola con l’obiettivo di alimentare anche gli impianti di dissalazione di Trapani, Gela e Porto Empedocle. La conferma arriva ai microfoni del Quotidiano di Sicilia da Calogero Giuseppe Burgio, direttore del Dipartimento Energia della Regione. “Si tratta di un progetto ambizioso ma necessario: gli impianti che saranno attivati risultano estremamente energivori. Il costo sarà in questo momento a carico dei contribuenti siciliani. Ma noi abbiamo pensato a un’alternativa proprio per sgravare i cittadini”.
Al centro dei piani del Dipartimento ci sono i dissalatori, ma non soltanto quelli. “L’energia totale prodotta sarà di 80 megawatt ora e potrà servire anche gli uffici pubblici della Regione per attenuare i costi”, conferma il numero uno del Dipartimento. Richiesta inserita nel bando ”Azione 2.2.2. – Favorire la nascita di Comunità Energetiche”, Ddg 564 del 28/02/2025 e, come si legge sul sito della Regione, “finalizzata ad una procedura valutativa a graduatoria per il co-finanziamento di iniziative riguardanti la progettazione e realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile (Iafr) e relative opere di connessione alla cabina primaria sottese alle utenze di esistenti Comunità Energetiche Rinnovabili”.
Del tema dei dissalatori, dopo l’arrivo delle strutture mobili dello scorso giugno, si è tornati a parlare giovedì a Porto Empedocle. Qui sono stati in visita il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alessandro Morelli e il commissario per l’emergenza idrica Nicola Dell’Acqua. Obiettivo: verificare lo stato di avanzamento del ripristino di alcune componenti utili all’installazione del dissalatore mobile. E non senza proteste degli abitanti, che contestano il sito del nuovo dissalatore mobile e chiedono certezza su tempi e modalità di completamento del trasferimento a Trapani della struttura. Tutto in attesa del revamping del dissalatore fisso nella zona ex Asi, a est del porto. Ai tre dissalatori di Gela, Trapani e Porto Empedocle, si aggiungerà in seguito il revamping dell’impianto fisso della provincia agrigentina, una delle più colpite dal problema della carenza idrica, con una gestione che negli anni è stata anche oggetto di indagini e richieste di rinvio a giudizio della magistratura in relazione a “Girgenti Acque”, società responsabile del servizio idrico provinciale fino al 2021.
Gli interventi tampone per i dissalatori mobili
Gli interventi tampone per i dissalatori mobili sono stati finanziati dalla Regione con 100 milioni di euro e prevedono anche le opere di allaccio a terra e a mare. Il coordinamento delle attività è stato affidato al commissario Dell’Acqua, su richiesta della Regione. Siciliacque, società partecipata da Italgas (75%) e Regione siciliana (25%), soggetto attuatore del progetto relativo ai dissalatori, sta ultimando i lavori propedeutici ad accogliere gli impianti, l’installazione delle condotte di collegamento alla rete idrica e le altre opere connesse al funzionamento delle apparecchiature. Il piano di investimenti pluriennale ammonta a 250 milioni di euro. Una somma davvero esigua in relazione agli alti costi che la Regione dovrà sostenere per il revamping degli impianti. E con pezzi di ricambio oggi reperibili con difficoltà sui principali mercati internazionali, come raccontato nell’inchiesta dello scorso ottobre proprio dal Quotidiano di Sicilia.
I dissalatori mobili produrranno circa 96 litri di acqua al secondo
I dissalatori mobili a massimo carico produrranno circa 96 litri di acqua al secondo ciascuno. Merito delle tecnologie a osmosi inversa e filtri avanzati che assicureranno acqua potabile di qualità. In totale, calcolatrice alla mano, giungeranno dagli impianti oltre 345 mila litri d’acqua ogni ora. Numeri che restano esigui rispetto al reale fabbisogno previsto dall’Ordine degli Ingegneri di Palermo. “Sarebbe stato utile evitare di operare in una situazione d’emergenza, ma purtroppo ci siamo e nel momento in cui si arriva, ogni soluzione diventa auspicabile, dissalatori inclusi – spiega Vincenzo Di Dio, presidente degli ingegneri di Palermo – Ma, è corretto precisarlo, sono soluzioni che portano con sé delle criticità”.
Un fabbisogno di circa 3300 litri d’acqua al secondo
Come conferma il numero uno dell’Ordine, “gli studi condotti solo sulla provincia palermitana hanno evidenziato un fabbisogno di circa 3300 litri d’acqua al secondo. Per questa ragione, rispetto ai numeri proposti dalla Regione, abbiamo ritenuto evidenziare come l’acqua prodotta attraverso i dissalatori potrà in realtà servire appena 40 mila persone per singolo impianto”. Anche qui, calcolatrice alla mano, per la sola provincia palermitana sarebbero necessari poco meno di 200 mila litri d’acqua, ma al minuto.
Non tutto starebbe procedendo secondo i piani
Peraltro, non tutto starebbe procedendo secondo i piani. A confermarlo, in esclusiva ai nostri microfoni, è un importante funzionario regionale. Il tema riguarda i tempi di consegna dei dissalatori e la sovrapposizione decisionale tra il Commissario Dell’Acqua e la Cabina di regia della Regione con a capo il presidente Schifani. “Abbiamo modificato la Convenzione del 2004 con Siciliacque. Ma non è stata una scelta presa dalla Regione, bensì dal Commissario Dell’Acqua – conferma il funzionario -. Gli impianti avrebbero dovuto essere riattivati a partire da inizio luglio, in tempo utile per servire almeno le campagne e le zone agricole interessate. Adesso si parla di primo agosto, ma vedremo”.
Sulle tempistiche effettive tutto è ancora nebbia
Una situazione abbastanza paradossale, “se si considera che il documento — parole del funzionario — è già passato in Giunta da diverse settimane. Eppure, sulle tempistiche effettive, tutto è ancora nebbia. Non si dice mai la verità e si privilegiano sempre annunci e passerelle, ma i siciliani hanno bisogno di concretezza. Un modus operandi che si alimenta negli intoppi della macchina amministrativa regionale, con i dipartimenti che tentano di intestarsi i meriti della risoluzione”. Ancora una volta fiducioso si è però mostrato il presidente Schifani, anche lui in visita presso l’impianto di Porto Empedocle. “Sono soddisfatto – ha dichiarato Schifani – dei progressi raggiunti. L’obiettivo che ci eravamo prefissati si avvicina e i tempi sono stati rispettati. Quando i tre impianti saranno pienamente operativi, insieme ad altre fonti attivate in questi mesi, sarà possibile alleviare le difficoltà nelle province di Agrigento, Trapani e Caltanissetta, tra le più colpite dalla siccità”.
I problemi idrici nell’Isola persistono, soprattutto a giudicare dalla voce degli agricoltori e dai numeri messi in evidenza dall’Autorità di Bacino del Distretto Idrografico per gli invasi siciliani. E per via della mancata riforma dei Consorzi di bonifica, affossata dalla stessa maggioranza di centrodestra. “L’assenza di acqua non è più un’eccezione: è diventata la normalità. Con reti idriche colabrodo, invasi interriti, agricoltori sull’orlo del tracollo, lavoratori senza stipendio da mesi e aziende agricole che falliscono di anno in anno. Un quadro aggravato dallo spopolamento dei territori della Sicilia interna”. Fotografia di Tonino Russo, numero uno della Flai Cgil in Sicilia, da sempre sul campo tra gli agricoltori a denunciare le difficoltà vissute dagli oltre 150 mila operatori del comparto.
Secondo il sindacalista a poco potranno contribuire i dissalatori. Questo per via non solo della dispersione sulla rete, ma soprattutto per l’assenza di sistemi di pompaggio adeguati a servire l’entroterra siciliano. “L’acqua prodotta dagli impianti, che forse entreranno in funzione ad agosto, lo faranno non solo a stagione agricola ormai compromessa, ma solo per le zone costiere. Oltre, i sistemi di pompaggio non sono sufficienti”.
“Caldo e siccità, nell’agrigentino interi agrumeti a rischio estinzione”
Il problema della crisi idrica è da attribuire anche all’assenza di una adeguata infrastruttura di trasporto. Ma non è l’unico nodo, solo parzialmente affrontato all’interno della cabina di regia regionale. Lo spiega ancora Tonino Russo, numero uno della Flai Cgil in Sicilia. Nel mirino del sindacalista finisce infatti la riforma dei Consorzi di bonifica. “Era la prima vera riforma del governo Schifani – dice Russo – avrebbe liquidato i consorzi attuali, sommersi dai debiti soprattutto con le società di energia, stabilizzato i lavoratori e rilanciato l’intero sistema. Ma è saltata per ragioni esclusivamente politiche”.
Oggi i Consorzi di bonifica sono undici, uno per provincia, più due extra: Caltagirone e Gela. Commissariati da oltre 35 anni, formalmente dovrebbero essere gestiti dai consorziati (cioè dagli agricoltori, ndr), ma nei fatti vivono solo grazie ai fondi pubblici: 45 milioni l’anno di ordinario, più altri 20-30 milioni stock ogni volta che scoppia un’emergenza. “Ora tocca ad Agrigento, ma è già successo a Siracusa, Enna e Palermo”. Il debito dei Consorzi ammonterebbe a circa 180 milioni di euro. E la mancata riforma comporta l’impossibilità di risolvere i passivi precedenti e aprire una nuova stagione di assunzioni di tecnici e personale in grado di utilizzare gli aggiornamenti tecnologici per limitare la dispersione idrica e consentire un migliore approvvigionamento nell’entroterra. E poi, ancora, il problema degli stipendi.
“Il caso più grave qui riguarda il Consorzio Agrigento 3, dove i lavoratori non ricevono lo stipendio da tre mesi. Motivo: un pignoramento alle casse per gli ingenti debiti. L’Ars aveva approvato un contributo straordinario, ma il decreto non è stato registrato. Resta tutto fermo. E i Consorzi, senza liquidità, non garantiscono nemmeno la seconda irrigazione. “Con 40 gradi e senza acqua — spiega Russo — interi agrumeti dell’agrigentino sono a rischio distruzione”.
Il nodo principale, però, resta la rete idrica
Il nodo principale, però, resta la rete idrica. Circa il 50% dell’acqua si perde per strada, con picchi addirittura superiori in alcune province. Gli invasi sono interriti o mai collaudati. I progetti per sistemarli c’erano: 31 progetti per un valore di 450 milioni previsti dal Pnrr. Tutti bocciati. “La Sicilia poteva usare gli invasi per produrre energia idroelettrica — denuncia Russo — ma non l’ha fatto. Ora paghiamo energia a peso d’oro per sollevare l’acqua”.
Nel frattempo i fondi disponibili negli anni sono stati sperperati. Come nel caso della Diga di Blufi, luogo che avrebbe dovuto essere salvifico in situazioni di carenza idrica per tutta la Sicilia orientale e che oggi versa ancora in stato di abbandono. Luogo sperduto tra le Madonie che è però già costato alle tasche dei siciliani oltre 250 milioni di euro.
Se andrà bene, come avevano spiegato ai nostri microfoni alcuni tecnici della zona nel sopralluogo del QdS della scorsa estate, “per terminare l’opera ne saranno necessari altrettanti”. Per redigere un nuovo progetto per il completamento – arenatosi tra il 2002 e il 2021 – la Regione aveva stanziato circa 2 milioni di euro. Da un anno a questa parte non se n’è saputo più niente. L’emergenza idrica in Sicilia resta dunque ancora lontana da una risoluzione. Un problema certo aggravato dal cambiamento climatico che riduce le riserve idriche delle 29 dighe dell’Isola, alimentate principalmente dalle precipitazioni.
A confermarlo sono i dati diffusi dal Dipartimento Regionale dell’Autorità di Bacino del Distretto Idrografico della Sicilia. A luglio 2014, l’acqua presente nei bacini e negli invasi siciliani corrispondeva a 533,49 milioni di metri cubi. La scorsa estate a 263,47 Mmc. Secondo l’ultimo rilevamento di luglio, pubblicato venerdì scorso dalla Regione, il quantitativo presente nelle dighe ammonta a poco meno di 360 milioni di metri cubi. Questo grazie alla stagione delle piogge che ha consentito alle pareti degli invasi di tornare a essere umide. Almeno fino alla prossima emergenza.

