Fotografia scattata dall’Oxfam, un'organizzazione che lotta contro le disuguaglianze, nel nuovo dossier “Non rubateci il futuro”
ROMA – L’ascensore sociale in Italia è bloccato e le aspirazioni dei giovani a un futuro più equo appaiono oggi fortemente compromesse. Gli sforzi individuali, la dedizione, il talento sono sempre meno determinanti per il miglioramento delle condizioni di vita rispetto alle condizioni socio-economiche della famiglia d’origine. Condizioni che persistono nel passaggio generazionale a tal punto che i figli delle persone collocate nel 10% più povero della popolazione italiana, sotto il profilo retributivo, ad oggi avrebbero bisogno di 5 generazioni per arrivare a percepire il reddito medio nazionale.
Allo stesso tempo, ai due estremi della distribuzione della ricchezza, 1/3 dei figli di genitori più poveri, è destinato a rimanere fermo al piano più basso dell’edificio sociale, mentre il 58% di quelli i cui genitori appartengono al 40% più ricco, manterrebbe una posizione apicale.
È la fotografia scattata da Non rubateci il futuro, il nuovo dossier di Oxfam – organizzazione che lotta contro le disuguaglianze – dedicato a una generazione che, tra molte difficoltà, non vuole restare in ‘panchina’, ma reclama di essere riconosciuta a pieno titolo come una risorsa per il paese. Da qui l’appello lanciato da tanti giovani e sostenuto da Oxfam, Aim, Felcos, Istituto Oikos, Re.Te. e WeWorld, per chiedere alle Istituzioni italiane un immediato cambio di rotta.
“Viviamo in un’epoca e in un paese in cui ricchi sono soprattutto i figli dei ricchi e poveri i figli dei poveri, con rischi di svilimento della tenuta sociale e rottura del patto generazionale. – ha detto Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia -. Ragazzi e ragazze che in molti casi hanno pochissime, se non nessuna possibilità di migliorare la propria condizione rispetto alla generazione precedente. Tutto questo non è altro che l’emblema di una società immobile, che offre alle nuove generazioni una limitatissima sfera di opportunità. Lo specchio di una disuguaglianza economica e sociale, che anziché attenuarsi di generazione in generazione, nella migliore delle ipotesi, non si riduce mai”.
Un’istruzione sotto-finanziata, anche per il 2020, non riuscirà a contrastare disuguaglianze e povertà educativa.
Rispetto a quanto accadeva in passato, oggi il sistema dell’istruzione italiano offre minori garanzie di emancipazione sociale. A parità di istruzione, le origini familiari hanno impatti non trascurabili sulle retribuzioni lorde dei figli: il figlio di un dirigente ha oggi un reddito netto annuo superiore del 17% rispetto a quello percepito dal figlio di un impiegato, che abbia concluso un ciclo di studi di uguale durata.
A fronte della sua fondamentale missione sociale, il nostro sistema dell’istruzione, con un investimento al 3,7% del Pil nel 2017, proiettato al 3,5% nel 2020 nell’ultimo Def, soffre di un cronico sotto-finanziamento, mostra accentuati squilibri in termini di qualità dell’offerta formativa, nonché una forte incidenza degli abbandoni precoci, risalita al 14,5% nel 2018 e con picchi nel Mezzogiorno ben al di sopra della media nazionale.
Un quadro d’insieme reso ancor più cupo dal persistente scollamento tra la domanda e l’offerta di lavoro qualificato: l’Italia detiene oggi il triste primato nel G7 per il maggior numero di laureati occupati in mansioni di routine e solo l’anno scorso 1,8 milioni di persone in possesso del titolo di laurea erano impiegati in professioni che richiedono un titolo di studio inferiore.
Ulteriore allarme desta poi l’elevato numero dei giovani italiani che non lavorano, né studiano, né sono impegnati in percorsi di formazione, la cosiddetta generazione Neet (Not in Education, Employment or Training), di cui faceva parte nel 2018 circa 1 giovane su 4 tra i 15 e i 34 anni.