La parola “disabile” vuol dire privo di una certa abilità. Il termine viene comunemente adoperato per indicare le persone che, dalla nascita o a seguito di incidenti o di malattie particolarmente gravi, presentano difficoltà nello svolgimento di determinate funzioni.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite, di recente, in alcuni importanti documenti ufficiali, ha indicato queste persone definendole, appunto, “persone con disabilità”.
Nel linguaggio corrente, però, anche per alleggerirne il senso di difficoltà, si preferisce usare la definizione di “persone diversamente abili”, che vuol dire con abilità differenti da quelle di altri.
Pertanto, se veramente vogliamo essere coerenti con quello che diciamo quando parliamo di “persone diversamente abili” e non vogliamo apparire solamente “politicamente corretti”, dovremmo sostituire la parola disabile con la parola “Divabili”, cioè la forma contratta di “diversamente abile”, ovvero abile in modo differente.
Sì, lo so che questa parola non esiste ancora, neanche “petaloso” esisteva fino a qualche tempo addietro, ma adesso persino l’Accademia della Crusca l’ammette.
Per questa ragione sarebbe bello poter dire di essere stati tra coloro i quali, usandola nel linguaggio comune, l’hanno ideata e l’hanno riempita di significato concreto, rendendo le persone “Divabili” veramente libere di poter vivere in una società che li aiuta a poterlo fare con la dovuta dignità.
Vivere in una società consapevole che possono esserci, anzi, che vi sono, suoi componenti che hanno delle capacità differenti da altri è molto importante, perché “tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti” ed è giusto che abbiamo le medesime opportunità. Lo scienziato inglese Stephen Hawking non è abile a suonare la chitarra, neanche io lo sono, mentre era abilissimo come fisico e cosmologo, io non so fare neanche quello.
Insomma: no, non si tratta solo di un neologismo o di un vezzo linguistico, sarebbe assai poco, si tratta, invece, di rendere concreto ciò che diciamo e a cui diciamo di credere, cioè il fatto che ciascuno di noi sia abile in qualcosa e non lo sia in altre. Per essere chiaro fino in fondo, intendo i dire che tutti noi, in qualche modo, siamo “Divabili” anche se qualche volta non ce ne ricordiamo.
Sì perché anche noi smemorati, per distrazione o per convenienza, siamo “Divabili”!