Un’elemosina per la carenza dei medici in Pronto Soccorso - QdS

Un’elemosina per la carenza dei medici in Pronto Soccorso

redazione

Un’elemosina per la carenza dei medici in Pronto Soccorso

giovedì 18 Novembre 2021

A causa degli organici sottodimensionati c’è un surplus del 22% dei carichi di lavoro. Ogni medico “copre” 600 visite all’anno in più rispetto agli standard, ma dal Governo solo spiccioli

I Pronto soccorso italiani soffrono di una crisi di personale medico che, secondo un recente Rapporto della Simeu (Società italiana di medicina d’emergenza e urgenza), determina un surplus di circa il 22% dei carichi di lavoro. In pratica viene stimato che vengono eseguite ogni anno circa 4 milioni e mezzo di visite in più rispetto agli standard nazionali, definiti dalle società scientifiche. In atto il personale medico in servizio a tempo indeterminato è pari a circa 5.800 unità cui si aggiungono 1.500 precari, per un totale di 7.300 medici di pronto soccorso a fronte di una previsione di 8.300 unità previste dalle varie dotazioni organiche delle aziende sanitarie e ospedaliere sparse sul territorio nazionale. Ciò comporta che ciascun medico ha in carico una media di oltre 600 visite all’anno in più rispetto al tetto massimo previsto dagli standard nazionali, con l’acuirsi del rischio clinico e dei disagi per i pazienti, sottoposti quasi sempre ad attese estenuanti per poter accedere alla Sala visite di un qualsiasi Pronto Soccorso italiano.

Mancano all’appello approssimativamente 1.000 medici nelle Aree di Emergenza degli Ospedali italiani, con punte di gravissima criticità in alcune realtà locali dovute alla disomogenea ripartizione di tale personale medico su base nazionale e, soprattutto, nelle zone periferiche e in quelle disagiate di ciascuna Regione. La pandemia Covid 19 ha messo a nudo una realtà che gli operatori sanitari ben conoscevano e che i Sindacati di categoria, Cimo in testa, segnalavano già da anni ad una classe politica sorda rispetto alle grida di allarme di chi la Sanità la fa ogni giorno e non la relega a semplice materia di dissertazione filosofica o di agnello sacrificale da immolare sull’altare del contenimento della spesa pubblica.

Durante lo stato di emergenza pandemica si è dovuto fare ricorso a giovani medici neolaureati, mandati in trincea a combattere con pochi mezzi, senza la minima esperienza professionale e privi dell’indispensabile Corso di studi specialistici. In corsa e con grave ritardo, il Governo ha pensato di poter risolvere la faccenda aumentando i posti nelle scuole di Specializzazione, senonché quest’anno un numero elevato di Borse di Studio per Medicina d’Emergenza e Urgenza è andato deserto e la politica italiana ha scoperto, sgomenta, che i medici italiani non vogliono più andare a lavorare nei Pronto soccorso.

Anche in questo caso, gli addetti ai lavori lo avevano ampiamente previsto, dopo aver registrato negli ultimi anni una vera e propria fuga di massa dei medici dai Pronto soccorso: chi ha potuto usufruire del pensionamento con Quota 100 se l’è letteralmente data a gambe levate, ma anche i soggetti meno anziani non ci hanno pensato due volte e sono passati a lavorare sotto padrone, andando a rimpolpare il settore privato della Sanità, sfruttati, ma con molte meno preoccupazioni rispetto alle trincee delle Aree di Emergenza.

Non si trovano più giovani medici disposti ad andare a svolgere il proprio lavoro in Pronto Soccorso, preoccupati dalle notizie delle continue violenze, verbali e fisiche, cui vengono sottoposti i colleghi già in servizio, per nulla intenzionati a finire anche loro nel girone dantesco del Burn Out nel quale hanno visto precipitare molti colleghi “anziani”, impensieriti dalle continue denunce, nella maggior parte dei casi del tutto immotivate, che piovono come polpette avvelenate sulle spalle di chi, quotidianamente, è chiamato a risolvere non semplici problemi di salute in emergenza e in tempi decisamente ristretti.

Un medico neolaureato oggi si domanda perché dovrebbe optare per una Specializzazione che lo condannerebbe ad una vita di stress elevatissimo per ottenere in cambio unicamente la perdita di una vita sociale e familiare normale, con una routine fatta di non si sa quante notti insonni passate fuori casa, di domeniche e feste comandate trascorse al lavoro invece che con i propri cari, senza un adeguato corrispettivo economico che giustifichi tutto questo e, forse, senza nemmeno le dovute gratificazioni professionali.

A conti fatti, il medico di Pronto Soccorso finisce per guadagnare meno dei colleghi di altre discipline, anzi, in pratica, tra costi per assicurazioni professionali e spese legali, è come se ogni anno non percepisse la tredicesima. Chi è allora il “gonzo” disposto ad alzare la mano e darsi volontario per andare a combattere una battaglia perduta in partenza invece che svolgere serenamente, in altra disciplina, una professione per cui ha sgobbato dieci anni sui libri? Difficile trovarne in giro al giorno d’oggi con la carenza di medici che persiste anche in tante altre branche. Se è stato necessario ricorrere a medici neolaureati per coprire i vuoti in organico negli Ospedali, significa che, allo stato attuale, non c’è che da scegliere e bisogna prendere atto che nella stragrande maggioranza dei casi, la preferenza dei giovani medici non ricadrà sul Pronto Soccorso.

Cimo, in occasione del recente Congresso Nazionale, ha lanciato la propria articolata proposta, il cui succo è comunque facilmente sintetizzabile in una semplice domanda: “Caro Governo vuoi trovare medici che vogliano andare o siano disposti a continuare a lavorare in Pronto Soccorso? Bene, allora devi incentivarli economicamente in maniera adeguata e mettere a punto tutte le misure necessarie a garantirne l’incolumità psico-fisica, altrimenti presto a tardi i Pronto Soccorso saranno destinati a chiudere i battenti o a ricorrere a misure estreme come lo spostamento di medici da altri Reparti.”

La risposta del Governo non si è fatta attendere, ma come sempre i decisori appaiono scollegati dalla vita reale e non in grado di comprendere appieno la gravità del problema. Nel DDL di Bilancio appena esitato dal C.d.M presieduto da Mario Draghi, è stato introdotto un finanziamento ad hoc che servirà, se approvato dal Parlamento, a garantire la copertura finanziaria di una nuova indennità per il personale medico e infermieristico che opera nei Pronto Soccorso. Per i medici la somma stanziata è di 27 mln di euro, che diviso gli 8.300 operatori previsti nelle attuali dotazioni organiche nazionali, ammonterebbe a circa 3.253,00 € all’anno lordi; quindi, circa 250 € mensili lordi che al netto farebbero circa 137,00 € al mese netti. Quindi un medico neolaureato dovrebbe scegliere la specializzazione in Medicina d’Urgenza e andare a lavorare in Pronto Soccorso per questi 130 euro mensili in più? O forse sceglierà un’altra specialità che gli consentirà di guadagnare comunque tanto quanto o magari di più magari facendo la libera professione?

Chi ci governa è convinto di avere risolto il problema con quella che ha tutta l’aria di una piccola, offensiva, elemosina. Se non si riesce a comprendere in tempi rapidi quale sia la portata del disagio di chi opera in Pronto soccorso e quali siano i veri incentivi da mettere in campo, ben lontani dall’obolo proposto, allora qualcuno andrà a sbattere di nuovo la faccia al muro, come allo scoppio del Covid. Prendiamo nota che, anche in questo caso la pandemia non ha insegnato nulla, e dire che c’era tanto da imparare.

Giuseppe Bonsignore
Cimo Sicilia

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