CATANIA – Un altro nulla di fatto per l’annosa vicenda dell’elezione di secondo livello per il rinnovo delle cariche della Città metropolitana. La prima sezione del Tribunale amministrativo di Catania ha deciso di non decidere sui ricorsi presentati dall’ex deputato nazionale, ex assessore del Comune di Catania ed ex sindaco di Acicastello, Filippo Drago tramite il suo legale, prof. Agatino Cariola, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Catania, perché definiti inammissibili per “difetto di giurisdizione”.
Il Tar ha motivato che “pur non trovando applicazione la disciplina regolata dall’art. 130 C.P.A, in considerazione dell’introduzione del giudizio r.g.n. n. 180/25 ai sensi della predetta disposizione, manda alla segreteria di Sezione di comunicare la presente decisione al sindaco della città metropolitana di Catania e al prefetto di Catania”. Insomma nonostante i ripetuti ricorsi dell’ex deputato Drago e di altri esponenti della provincia etnea, presentati sempre tramite il prof. Cariola, sembra che nessun organi giudiziario sia intenzionato a far valere diritti sanciti dalla Costituzione come quello dell’eguaglianza delle persone anche in materia di voto elettorale.
L’oggetto dirimente, di cui ci siamo occupati in precedenti articoli, riguarda il diritto dei cittadini a poter esprimere un voto anche per l’elezione dei rappresentanti della città metropolitana, ex Provincia, esponenti invece nominati soltanto attraverso votazione di secondo livello, con suffragio espresso solo dalle cariche elettive in vigore nei Comuni e nei consigli comunali di appartenenza dei sindaci dei Comuni consorziati.
L’ex sindaco Drago aveva chiesto l’annullamento delle elezioni del Consiglio metropolitano della città di Catania
Nel ricorso n. 1343 del 2025 l’ex sindaco Drago, col supporto del prof. Cariola, chiedeva l’annullamento delle elezioni del Consiglio metropolitano della città di Catania e del verbale delle operazioni dell’ufficio elettorale del 28 aprile 2025 che ha sancito l’elezione dell’attuale Consiglio metropolitano. L’ex sindaco, premettendo di essere cittadino italiano, osservava al riguardo – nel testo del ricorso – che “costituisce principio ormai consolidato quello secondo il quale il cittadino elettore è legittimato a far valere il suo diritto a un assetto organizzativo coerente con i principi costituzionali, essendo ammesse, conseguentemente, azioni di accertamento di una situazione normativa di illegittimità, così come stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 12060/2013 e dalla Corte costituzionale con le sentenze n 1/2014, 35/2017 e 240/2021”.
Drago ha inoltre fatto presente ai giudici amministrativi di aver già “spiegato azione di accertamento di illegittimità costituzionale, dinnanzi al Tribunale ordinario di Catania, per far dichiarare il contrasto con il principio di eguaglianza della soluzione che fa di diritto sindaco metropolitano il sindaco del Comune capoluogo”. E ricordando che “la Corte costituzionale con sentenza n. 240/2021 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’Appello di Catania pur evidenziando che la coincidenza tra sindaco del Comune capoluogo e sindaco metropolitano si pone in contrasto con il principio di eguaglianza tra i cittadini”.
Drago ha inoltre fatto presente, che “il legislatore non è intervenuto neanche a seguito della sentenza della Corte costituzionale”. Drago infine ha fatto rilevare alla sezione Tar di Catania di “aver impugnato tale decreto di nomina dinanzi al Tar Palermo e con sentenza n. 550 del 12 marzo 2025 il Tar ha dichiarato l’inammissibilità della suddetta impugnativa per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo”.
Il voto ponderato, una procedura che non si concilierebbe con la rappresentanza politica
Scendendo nel particolare il ricorrente, col supporto del professore di Diritto costituzionale, ha criticato l’incongruenza della legge Delrio che si riferisce al “voto ponderato” in base al quale i sindaci e i consiglieri comunali, codiddetti grandi elettori per la formazione degli organi di vasta area, è attribuito un voto diversificato a seconda dei Comuni in cui sono stati eletti. Una procedura che non si concilierebbe con la rappresentanza politica e inoltre non assicurerebbe l’eguaglianza e la segretezza del voto. Infine il ricorrente si è soffermato anche sulla legge che non assicura alcuna rappresentanza ai Comuni i cui manchi un vertice dell’ente locale, come nel caso specifico dei comuni commissariati per mafia o per altre problematiche che hanno portato allo scioglimento e cioè, nel caso specifico della provincia catanese, nei Comuni di Castiglione, Palagonia, Mascali (presente solo il sindaco), Raddusa, Ramacca, Randazzo, Tremestieri.
Dopo aver fatto un lungo excursus, la prima sezione del Tar è giunta alla medesima conclusione dei collegio del Tar Palermo giudicando inammissibili i motivi del ricorso per difetto di giurisdizione. E motivando che: “…La giurisdizione del giudice amministrativo sul “contenzioso elettorale” ha ad oggetto le sole operazioni elettorali, ossia la regolarità delle forme procedimentali di svolgimento delle elezioni, alle quali fanno capo, nei singoli, posizioni che hanno la consistenza dell’interesse legittimo, non del diritto soggettivo. Benché tali operazioni non si esauriscano nelle attività di votazione, ma si estendano al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni regionali e comprendano tutti gli atti del complesso procedimento, resta tuttavia attribuita all’autorità giudiziaria ordinaria la cognizione delle controversie nelle quali si fanno valere posizioni di diritto soggettivo, quali quelle che si riconnettono al diritto di elettorato attivo e che concernono ineleggibilità, decadenze e incompatibilità…”.

