Il professore Mancini (Unict): “L’incenerimento non è più previsto dalla legge, è consentito l’avvio a recupero energetico”
PALERMO – “Oggi è falso parlare di inceneritori perché la normativa non li consente più: non è permesso l’incenerimento bensì l’avvio a recupero energetico dei rifiuti solidi urbani. Tutto il mondo oggi utilizza sistemi di termovalorizzazione consolidati che permettono una quantità di emissione insignificante rispetto ad altre fonti di combustione e che garantiscono la continuità del servizio sull’intero rifiuto residuale”. Con queste parole il professore di impianti chimici dell’Università degli studi di Catania, Giuseppe Mancini, cerca di porre fine alla retorica di ambientalisti e partiti che si oppongono alla costruzione dei termovalorizzatori in Sicilia.
Impianti estremamente strategici per traghettare la Sicilia fuori da un sistema di smaltimento dei rifiuti perennemente in crisi perché basato su discariche sature o sull’orlo della saturazione. Per diramare ulteriormente eventuali dubbi sull’utilità dei termovalorizzatori, alla vigilia di un bando regionale per la loro costruzione, è necessario fare un passo indietro e spiegare cosa sono e quali vantaggi porteranno al sistema di smaltimento.
Cosa sono i termovalorizzatori
I termovalorizzatori sono impianti che convertono il calore generato dalla combustione dei rifiuti indifferenziati in energia elettrica o termica. Insomma, permettono di trasformare il rifiuto inerte ed inquinante in risorsa energetica a vantaggio dei cittadini. Gli esempi non mancano nel resto di Italia: i tre termovalorizzatori del gruppo Iren, azienda leader del settore, nel 2020 sono riusciti a trasformare in 598 Gwh di energia elettrica e in 180,5 Gwh di energia termica ben 840mila tonnellate di rifiuti urbani. Dati alla mano, quindi, si capisce bene che abbancare rifiuti in discarica equivale a sprecare una fonte di energia immensa e molto meno inquinante dei combustibili fossili che ad oggi ci permettono di accendere luci e termosifoni. “I termovalorizzatori – spiega Mancini – non fanno altro che ridurre la massa del rifiuto, consentirne il recupero e portare l’esigenza della discarica a pochi punti percentuali (al 3 o 4 per cento) riducendo completamente i suoi impatti”.
Quali sono i vantaggi
Quando si valuta la costruzione di impianti di questo tipo bisogna ragionare in termini comparativi: “Cosa evita – si chiede Mancini – il realizzare un processo di recupero energetico rispetto a non realizzarlo e quindi avviare a discarica il materiale”? La risposta a questa domanda si trova nell’analisi dell’impatto ambientale di una discarica, che in assenza di termovalorizzazione è l’unica soluzione per lo smaltimento della frazione indifferenziata del rifiuto. “La discarica – spiega il docente Unict – sul lungo periodo genera del metano che non ha la possibilità di essere captato. Inoltre, sottoponiamo il territorio alla produzione di percolato che è proporzionale alla dimensione della discarica (più è larga più produce percolato)”. Questa situazione può essere evitata, o comunque contenuta, con la presenza dei termovalorizzatori.
“Una delle cose più importanti – continua Mancini – dal punto di vista del recupero energetico, è che si concentrano tutti gli inquinanti relativi alla frazione residuale in una massa molto piccola che può essere trattata in modo sostenibile. Si consente a materiali legati tra di loro e difficilmente riciclabili dal punto di vista meccanico e chimico di poter essere riciclati. Nei fatti si aumenta il riciclo di materia oltre ad avere un recupero energetico molto significativo”. Il processo di termovalorizzazione, insomma, “permette di evitare tutte le emissioni alternative necessarie per ottemperare a quelle esigenze termiche con qualcosa che altrimenti finirebbe in discarica perdendo per sempre il proprio contenuto energetico”.
Le proposte in campo
Dopo anni di dibattito sull’utilità o meno di questi impianti previsti comunque da una legge dello Stato (la 164 del 2014 attuata dal Dpcm del 10 agosto 2016), finalmente sembra muoversi qualcosa. La giunta Musumeci ha infatti portato a termine una manifestazione di interesse propedeutica alla pubblicazione di un bando per la costruzione di due termovalorizzatori, uno nella parte orientale dell’Isola e uno nella parte occidentale. Le proposte in campo, ancora ufficialmente non rese note dal dipartimento Acqua e rifiuti e che un’apposita commissione sta valutando, sono sette. Tra le aziende che hanno partecipato alla manifestazione di interesse ci sono A2A (come ha dichiarato la stessa azienda), Asja ambiente e un’impresa cinese (come rivelano costruzioni giornalistiche). Tre delle sette proposte hanno indicato un sito nella parte occidentale dell’Isola e quattro in quella orientale. Secondo le stime, il costo di un singolo impianto può arrivare fino a 570 milioni di euro con una capacità di trattamento fino a 450 mila tonnellate all’anno. Insomma, la Sicilia sembrerebbe essere finalmente sulla giusta strada per la costruzione di questi impianti. Ma questa strada è ancora lunga.
“I termovalorizzatori – chiosa Mancini – sono una realtà ancora molto lontana. Quest’operazione è legata agli aspetti delle prossime elezioni e sta interessando le due posizioni diametrali tra i pro e i contro senza tenere conto dei reali fabbisogni della popolazione”. Secondo Mancini, anche nel caso in cui l’appalto venisse aggiudicato, la costruzione dei termovalorizzatori siciliani sarebbe complicata proprio per l’impianto normativo su cui dovrebbero poggiarsi. “La politica ad oggi, anche nelle autorizzazioni, fa riferimento ad un piano dei rifiuti che non prevede questi impianti esplicitamente. Si fa riferimento a criteri di autonomia nell’ambito dell’Ato che non potrebbero essere verificati per impianti di portata così importante per cui dovrebbero essere coinvolti più ambiti territoriali. Inoltre, c’è anche un’opposizione degli ambientalisti che produrrà una serie di ricorsi al Tar”.
Impianti a conversione chimica: tra dubbi e incertezze
Tra le sette proposte pervenute al dipartimento Acqua e rifiuti, ce n’è una che prevede un impianto a conversione chimica. Una tecnologia innovativa che consente di chiudere il ciclo dei rifiuti recuperando anche quelli non riciclabili meccanicamente, evitando il ricorso alla discarica e superando alcuni problemi legati all’incenerimento con recupero energetico. La tecnologia di questi impianti si basa sulla conversione del carbonio e dell’idrogeno contenuti nei rifiuti non pericolosi non riciclabili meccanicamente, in un gas di sintesi che viene utilizzato per produrre prodotti chimici di base per l’industria, come idrogeno e metanolo. Il processo differisce sostanzialmente da un impianto di incenerimento in quanto opera in assenza di fiamma, dunque, di combustione poiché la conversione avviene, tramite alcune reazioni chimiche, con l’ossigeno estratto dall’aria. Questo processo consente quindi di ottenere molecole e materiali utilizzabili sia nell’industria manifatturiera sia nella mobilità sostenibile. Sul punto, tuttavia, Giuseppe Mancini è critico. “Dove non si fa una combustione e si lavora in difetto di ossigeno, si produce un singas: il punto ancora critico della tecnologia è la purificazione di questo prodotto. Negli impianti a conversione chimica, durante la combustione del singas si producono una serie di inquinanti in quanto non c’è un sistema di abbattimento sofisticato come quello degli attuali termovalorizzatori”.
Caro-discariche, Comuni in ostaggio: Catania non può far fronte all’aumento
PALERMO – Mentre si discute di termovalorizzatori a palazzo d’Orleans, la Sicilia e i siciliani continuano ad essere sotto scacco delle discariche private che attualmente decidono dove, come, quando e a quale prezzo smaltire l’indifferenziato dell’Isola. Paradosso nel paradosso, a prendere decisioni che incidono sulle tasche dei cittadini (attraverso il pagamento della Tari) e dei Comuni sono aziende al centro di indagini giudiziarie.
“La discarica di proprietà della Oikos – denuncia al QdS il presidente della Srr entnea Francesco Laudani – a seguito di un’analisi dei vagli e sottovagli della Sicula Trasporti, ha bloccato i conferimenti. Nello stesso tempo Sicula non ha interrotto il trattamento nel suo Tmb perché porta, come hanno detto gli amministratori giudiziari, una parte dei rifiuti fuori dalla regione (dalla Calabria fino a Bolzano)”.
Il risultato di questa operazione è l’invio, da parte dell’azienda dei fratelli Leonardi, di una nuova convenzione ai comuni della Sicilia orientale. “Il costo di conferimento – continua – con questa nuova convenzione passerebbe da 170 euro a tonnellata a 240. Solo per il Comune di Catania si registra un aumento di 30mila euro al giorno. Cosa che ha portato il Comune a non firmare la convenzione”. Questa situazione è determinata esclusivamente dal costo del trasporto dei rifiuti (che subisce gli aumenti della benzina), in quanto il conferimento nel Tmb della Sicula Trasporti “è stato autorizzato e decretato – spiega Laudani – con un costo di 40 euro a tonnellata e rimane tale perché non può cambiare”.
Nessuna proroga soluzione ponte
In questa situazione gravosa per le casse comunali e per le tasche dei cittadini, si innesta la fine del sistema che fino a pochi giorni fa ha permesso di conferire i rifiuti indifferenziati esclusivamente nelle discariche dell’Isola. “Mi risulta – dichiara Laudani – che non c’è la volontà di rinnovo oltre il 31 marzo. Nel frattempo, finalmente l’Urega ci ha dato conferma che la documentazione per la gara d’appalto per l’invio dei rifiuti della Srr etnea fuori regione è corretta. Il bando dovrebbe essere pubblicato a giorni e la data ultima di ricezione delle offerte è l’1 aprile mentre la prima seduta pubblica di gara sarà il 5 aprile. Noi inviteremo cinque ditte facendo riferimento sia al nostro avviso esplorativo che a quello della Regione. Inoltre, inviteremo anche le altre realtà siciliane: tutte le discariche. Con la speranza che qualcuno partecipi, questa gara dovrebbe coprire i rifiuti che non possono essere conferiti all’interno del territorio siciliano”.
In questo ragionamento, secondo la Regione, tutti i comuni tutti che hanno una differenziata superiore al 65% dovrebbero avere la possibilità di conferire all’interno delle discariche siciliane. Ma i dubbi non mancano. “Da un lato ci viene detto che questo 35% può essere conferito in Sicilia. Dall’altro Oikos ha sospeso i conferimenti, Gela lamenta la ricezione di troppi rifiuti. Inoltre, dal 31 marzo dovrà essere la Srr ad individuare le piattaforme all’interno del territorio regionale. Ma le piattaforme sono sempre le stesse”.
Invio dei rifiuti fuori regione, come spartirsi i soldi?
Di fronte all’invio dei rifiuti fuori dalla Regione, che sarebbe dovuto iniziare da aprile ma che è già in essere, le Srr si sono appellate al sostegno economico della Giunta Musumeci, che per tale situazione aveva riprogrammato un anno fa ben 45 milioni di euro di fondi europei. “Io ritengo – dice Laudani – che dobbiamo capire bene la disponibilità di questi soldi. Dobbiamo capire se fanno riferimento alla gara che pubblicheremo a breve o se già, all’interno delle convenzioni che stanno ricevendo i comuni, potranno coprire una parte degli aumenti”. Un sostegno necessario soprattutto per il Comune di Catania che ha ancora una bassa percentuale di differenziata a causa della mancanza del porta a porta in tutta la città. “Il Comune è preoccupato perché se da un lato c’è una premialità – spiega il presidente della Srr etnea – per i risultati dei due nuovi lotti che sono abbastanza positivi, dall’altro la differenziata è ancora inferiore al 20%. Ci sarebbe una percentuale di rifiuto da esportare superiore al 35%. Io non vorrei che questa situazione diventi una guerra tra i poveri. Perché il comune che arriva all’80% di differenziata paga a tonnellata lo stesso prezzo di un comune che non ha un tasso alto di differenziata. Cercherò di avere un confronto con i sindaci e poi con l’assessore e il dirigente per poter affrontare quest’aumento dei prezzi”.
Una strada per ridurre l’invio
Una soluzione per contenere agli aumenti del costo dello smaltimento è al vaglio della Srr etnea. “Ho iniziato – dichiara Laudani – una interlocuzione con la Srr di Enna dove c’è una discarica pubblica. Pare che ci sia una piccola disponibilità ma dobbiamo ancora verificare i quantitativi e fare un accordo di sovrambito tra le Srr. L’eventuale accordo potrebbe garantire il conferimento di 10 o 15 comuni. In ogni caso, da oggi al 5 aprile i comuni devono accettare questo prezzo più alto fatto da Sicula. Non ci sono altre alternative”.