Enrico Guarneri chiude la stagione di prosa “Turi Ferro” al Teatro ABC di Catania con “Il Paraninfo”. La commedia, classico della tradizione siciliana scritta da Luigi Capuana, vanta la regia di Antonello Capodici e un cast composto da: Alessandra Costanzo, Loredana Marino, Elisa Franco, Pietro Barbaro, Mario Opinato, Rosario Marco Amato, Plinio Milazzo, Gianni Fontanarosa e Katy Saitta.
Iscriviti gratis al canale WhatsApp di QdS.it, news e aggiornamenti CLICCA QUI
Lo spettacolo all’Abc di Catania
A vestire i panni del protagonista ossia Pasquale Minnedda, il Paraninfo, che inganna l’ozio del pensionato attraverso l’hobby d’accasare chiunque gli capiti a tiro, è Enrico Guarneri.
In attesa di vederlo al Teatro Abc di Catania domenica 25 alle ore 18.00 e ancora nel weekend di venerdì 30 ore 21.00, sabato 31 maggio ore 17.30 e 21.00 e domenica 1 giugno ore 18.00, Enrico Guarneri si è raccontato ai microfoni del QdS.it con generosità e tanta lungimiranza.
Fino all’1 giugno è al Teatro Abc di Catania con lo spettacolo “Il Paraninfo”. Qual è stata da attore la sfida da superare per interpretare il personaggio di Pasquale Minnedda?
Non è stato molto difficile interpretare questo personaggio perché l’ho sempre sentito vicino, forse l’ho sempre amato. E’ gioioso, è pieno di vita, è nobile nei suoi propositi perché non fa il paraninfo per denaro ma per lui è una missione di vita. Al vertice di questi propositi c’è riuscire a maritare le sorelle Matamè, donne avanti con l’età non affascinanti, ma molto molto ricche e molto molto sole.
Perché ha ancora significato scegliere di portare in scena un classico di Luigi Capuana?
Il significato è che abbiamo un teatro della tradizione siciliana di importanza gigantesca. Se non ci fossero produttori, registi e attori sarebbe un patrimonio che così andrebbe perso. Capuana è un nome importantissimo. Abbiamo mantenuto il telaio, la vicenda e i personaggi, ma noi ci abbiamo messo molto del nostro ossia l’abbiamo arricchita di spropositi, di sproloqui, battute e strafalcioni.
Secondo lei, traslandolo con la società odierna, chi sarebbe oggi il Pasquale Minnedda?
Il Pasquale Minnedda di oggi sarebbero le agenzie matrimoniali con tutto il distacco che ne deriva. Minnedda operava nel suo paese, conosceva le anime di tutti e aveva l’intelligenza di capire quando c’era una giovane da maritare e proporre un giovane di pari ceto sociale ed istruzione. Allora, era facile essere costretti a ricorrere a un paraninfo perchè le occasioni per frequentare gli altri erano pochissime. Non era com’è oggi.
Sul palco, c’è un cast nutrito di attori. Ci racconta qualche aneddoto o un dietro le quinte della sinergia tra voi?
La sinergia dev’esserci, soprattutto in un lavoro comico. Durante le prove, da una fesseria pensata e detta può nascere una simpatica gag di valore. Se ci sono attriti, diventa tutto più difficile. Specie in un lavoro comico. Nel nostro caso, la gag riguarda i due Alessi e Calenna, i due giovinastri che frequentano di tanto in tanto Don Pasquale che, rispetto ai due, è più avanti negli anni. Dato che Don Pasquale ha avuto un battibecco con un tenente dell’esercito, loro gli portano la sfida come se il tenente si fosse talmente infuriato con Don Pasquale che ha deciso di sfidarlo a duello. Appena li vede vestiti di nero, chiede loro “Cosa fate vestiti di nero?” In prova venne la battuta: “Non siamo neri per caso”. Se non c’è la stima tra colleghi e se non ce l’hai nel DNA l’essere propositivo per l’obiettivo comune di tutto il cast, tutto viene arido, sterile e asettico.
Bisogna anche “cercare nell’immondizia”, come dice Martoglio, scavare, girare, andare a cercare nelle vie oscure che poi sono le grandi, assolute e uniche verità.
Quindi, anche di fronte a quelli che sono gli inconvenienti di scena, si deve riuscire a porre rimedio. A differenza del cinema, il teatro non ammette repliche. Non ci sono secondi ciak.
Questo vale per il teatro in generale. Ho sempre paragonato il teatro a un volo aereo: si decolla quando si apre il sipario, si finisce quando si chiude il sipario.
Ho avuto la possibilità di fare cinema con grandi produzioni e ho capito tante cose. A me non affascina. Pensare di rifare una scena di pochi secondi in cui ho messo tutto me stesso, per me che vivo e vengo per e nel teatro sembra una follia. Uno spettacolo teatrale dura due ore, compreso l’intervallo. Il personaggio cresce, ha un excursus, ma è sempre quello. Per me il teatro ha fascino perchè rimane artigianato. Il cinema nasce industria.
Lo spettacolo, dicevamo, si basa sulla commedia scritta da Luigi Capuana. Lei che lettore è?
Sono un lettore a 360° gradi, tranne il genere scientifico. In questo momento sto leggendo un libro e ieri ne ho comprato un altro che riguarda la vita degli ultrasettantenni perché mi affascina e spero di trovare qualcosa che possa essere trasposto teatralmente, quindi mi troverei pronto per fare il protagonista (nda. ride). Entrambi i libri sono poggiati su “I racconti e il teatro di Cechov”. Ti fa capire come sono disperatamente alla ricerca di novità che possono essere tirate fuori anche dai classici. Credo sia ciò che fanno tutti gli attori che hanno una certa età e che non intendono sedersi definitivamente sul divano aspettando la morte, ma cercano di fare e dare per ricevere ancora dal pubblico perchè il teatro è questo: uno scambio continuo minuto per minuto tra la sala e lo spettatore.
Enrico, come attore è stato associato alla scuola dei Musco, dei Ferro, degli Spadaro. Si sente in linea con questa definizione? Era il punto di arrivo a cui aspirava quando ha iniziato a fare l’attore?
Quando ho iniziato, il mio punto di arrivo era di poter divenire riconosciuto da tutti, anche dai colleghi. Vedi che utopia! (nda. ride) Essere ritenuto l’ambasciatore di questo nostro grandissimo teatro e letteratura nel mondo, non solo per i siciliani ma per tutti.
Sente di aver dato il suo contributo per esportare la sicilianità nel mondo?
Sì! Per scherzare dico sempre che non c’è siciliano al mondo che non conosca la maschera di Litterio. Ricevo telefonate da Londra, dalla Scozia che seguono Litterio su YouTube e che mi invitano ad andare. C’è il proprietario di un ristorante a Londra che mette a circuito chiuso i video di Litterio. I siciliani di Londra vanno lì a mangiare e vogliono vedere quei video.
E’ diventato popolare con il personaggio di Litterio Scalisi. Essere oggi riconosciuto o fermato per strada per quel ruolo per lei è sempre un piacere o una gabbia?
C’è stato un periodo in cui mi fermavano solo per Litterio, ma parlo di circa 8 anni fa. Oggi no! Ad esempio, stamattina sono stato in un centro commerciale e mi si è avvicinata una coppia che mi ha ringraziato per “Il Paraninfo” che avevano visto al Teatro Abc. Succede sempre più spesso che mi fermino per gli spettacoli teatrali.
Enrico, parliamo del pubblico. Negli anni hanno imparato a conoscerla come uomo e come artista. Cosa le piace di più del rapporto con loro?
L’essere apprezzato come attore è fondamentale perchè è il mio lavoro. Se non accadesse, finirei per essere disoccupato o per autogestirmi come fanno alcuni. Se non fossi apprezzato come uomo, però, sarebbe ancora più doloroso.
A proposito di teatro, qual è lo stato di salute del teatro siciliano?
Non ho un termometro aggiornatissimo. Per quello che mi risulta, abbiamo degli attori siciliani che si dedicano quasi esclusivamente al cinema. Non credo, quindi, sia ottima la situazione.
Cosa servirebbe al teatro siciliano?
La cosa più facile di questo mondo: l’interessamento di una classe politica o di pochi uomini politici che però hanno la possibilità di organizzare per piazzare questo nostro teatro a livello nazionale. Così com’è stato fatto e continua a farsi per il cinema che non naviga in acque serene.
Parlando di comicità, quale spazio oggi vede per la risata?
Tutti gli spazi sarebbero adatti per la risata. Intanto, la risata è un cosa intelligentissima. Riuscire a far ridere oggi è già una dimostrazione di intelligenza da parte di chi la propone e di chi la riceve. La risata è terapeutica. Molta gente mi incontra per strada, stringendomi la mano senza lasciarla per minuti creando in me tenerezza e imbarazzo, e mi dice “Lei non sa quanto mi ha aiutato in momenti difficili della mia vita. Sole lei riusciva a darmi minuti di serenità e quindi la forza di continuare a battagliare”. Per carità, io non oso chiedere, però in quel momento si scatena la mia fantasia e penso a malattie, depressioni. Intanto, questa è la vita e non ci sono altri motivi per viverla se non per le grandi emozioni e per i grandi sinceri affetti.
La sua carriera ha da sempre un legame indissolubile con la Sicilia. Per lei, essere siciliano oggi che valore ha?
Essere siciliano oggi è una mezza catastrofe, soprattutto se sei giovane. Qua c’è un potenziale enorme. Quest’isola potrebbe diventare – e lo diventerà – la molla della ricezione turistica e delle bellezze paesaggistiche per tutto il mondo. Una Sicilia pulita, attrezzata. Non so neppure se addossare tutta la colpa ai politici. Ci sono un sacco di siciliani storti. E poi la disoccupazione, la mancanza di lavoro che porta a delinquere. Come si fa a cambiare certe teste?
Ho notato che lei non ha i social…
Non ci sono perchè la fragilità di Enrico Guarneri è enorme. Non potrei assolutamente ammettere che chiunque possa dire qualunque cattiveria senza averne titolo né competenza. C’è gente che parla per sentito dire e lo fa con un mezzo che ha una cassa di risonanza mondiale. Chi vuole parlare con me, sa dove incontrarmi e farsi la giusta opinione di me.
Cosa c’è in agenda per i prossimi mesi?
Spero ci sia parecchio riposo perchè abbiamo lavorato troppo questo inverno. E le premesse sono giuste. Abbiamo fatto una tournée lunghissima. Avremo una decina di repliche estive de “Il Paraninfo” e poi molto giusto e desiderato riposo per ricaricare le pile per una prossima stagione teatrale che dovrà essere ancora ricca di successi e applausi.

