Coste fragili e rischio tsunami in crescita. Regione siciliana, le azioni in campo non bastano - QdS

Coste fragili e rischio tsunami in crescita. Regione siciliana, le azioni in campo non bastano

Coste fragili e rischio tsunami in crescita. Regione siciliana, le azioni in campo non bastano

Salvatore Rocca  |
martedì 04 Marzo 2025

I ricercatori dell’Ingv al QdS: “Rischio più alto nell’area orientale. Un’onda può arrivare in tempi variabili”

PALERMO – Per i 122 Comuni siciliani presenti lungo i 1.600 km di coste isolane, il riscaldamento globale rappresenta una sfida sempre più complessa da sostenere. Il progressivo innalzamento del livello del mare, così come l’erosione costiera e l’insorgenza del rischio tsunami sono dei fattori che rischiano di modificare irrimediabilmente il volto dei litorali. E le conseguenze sono da tempo sotto ai nostri occhi. Lo sottolinea lo studio realizzato nell’ambito dei progetti europei Savemedcoasts2 e Tsumaps-Neam, coordinati dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). In appena 31 anni, dal 1993 al 2024, il livello medio globale del mare è aumentato di circa 11 centimetri e, attualmente, registra una crescita di circa 4.5 millimetri l’anno a causa dei cambiamenti climatici. Un andamento che diventerà sempre più rapido nei decenni futuri. Secondo le stime del Pannello intergovernativo sul cambiamento climatico (Icpp) delle Nazioni unite, entro il 2100 il livello del mare potrebbe crescere fino a 1,1 metri. Un effetto che, in unione con movimenti geologici come la subsidenza – il progressivo sprofondamento del suolo – rende i litorali della nostra Isola più vulnerabili al pericolo maremoto. E per la Sicilia, come insegna la storia, non si tratterebbe della prima volta.

La costa Sud-Orientale della Sicilia è stata già colpita da tsunami

“Negli ultimi 500 anni la costa Sud-Orientale della Sicilia è stata già colpita da tsunami. Per esempio, nel gennaio del 1693 un evento sismico molto distruttivo causò uno tsunami con onde di 15 metri nel porto di Augusta. Anche altre importanti città come Catania e Siracusa subirono l’impatto delle onde di notevole altezza o inondazioni importanti in quella circostanza”, spiegano al Quotidiano di Sicilia Anita Grezio, ricercatrice dell’Ingv, Sezione di Bologna, prima autrice dello studio e coordinatrice della ricerca, Marco Anzidei e Matteo Maroni, ricercatori dell’Ingv, Sezione osservatorio nazionale terremoti. “L’evento sismico del dicembre 1908, che ebbe risonanza in tutta Europa, fu accompagnato da uno tsunami che produsse onde alte oltre 10 metri in alcuni Comuni in Sicilia orientale e a Pellaro (Reggio Calabria), mentre 3 metri furono osservati a Messina. Gli studi che da anni sono condotti all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), confermano che le aree siciliane a più alto rischio sono quelle della Sicilia orientale”, aggiungono i ricercatori.

Parlare di rischio tsunami in Sicilia nel 2025 non è dunque un’ipotesi remota. Un’eventualità confermata anche da Alessandro Amato, ricercatore Ingv e direttore del Cat (Centro Allerta Tsunami dell’Ingv) che, insieme ai colleghi Anzidei e Grezio, ha fornito al nostro quotidiano delle preziose nozioni per meglio comprendere come la Sicilia possa prepararsi all’eventualità della formazione di uno tsunami di grandi dimensioni nel Mediterraneo e quanto tempo potremmo avere a nostra disposizione per programmare una potenziale evacuazione delle coste, al fine di limitare i danni.

“Fonti storiche riportano che nel luglio del 365 d.C. avvenne uno tra i più forti terremoti del Mar Mediterraneo, vicino l’isola greca di Creta lungo l’Arco ellenico, che generò uno tra i più grandi e distruttivi tsunami dell’antichità. Anche se gli tsunami sono eventi rari, possono essere molto distruttivi e possiamo essere certi che eventi avvenuti nel passato si ripeteranno in futuro”, afferma il ricercatore. “Le simulazioni di un evento simile a quello di Creta – sottolinea il direttore del Cat – indicano che lo tsunami si propagherebbe nel Mediterraneo raggiungendo le varie coste in tempi variabili, da pochi minuti ad alcune ore, a seconda della distanza. Le onde potrebbero arrivare sulle coste italiane, per esempio a Siracusa, entro circa un’ora, considerando che la distanza tra Creta e Siracusa è 800 km in linea d’aria”.

Gli strumenti per fronteggiare gli tsunami

Fortunatamente, il nostro Paese si sta dotando di strumenti adatti per riuscire a fronteggiare una simile emergenza: “L’esercitazione avvenuta il 7 novembre 2023 in occasione della Giornata mondiale della consapevolezza tsunami (il 5 novembre) – aggiunge Amato – ha proposto l’ipotetico scenario di un grande tsunami in grado di colpire principalmente il mar Mediterraneo centrale a seguito di un terremoto di magnitudo momento Mw 8.1 che si potrebbe verificare lungo il segmento centrale dell’interfaccia di subduzione dell’Arco ellenico, con epicentro circa 50 km a Sud della costa cretese e a circa 280 km a nord della costa libica, con un’area di rottura di circa 17.000 km2. In questa esercitazione, organizzata in ambito Unesco con il contributo del Centro allerta tunami (Cat-Ingv), sono state adottate le procedure operative che verrebbero usate in caso di terremoto e tsunami reali con le relative emanazioni di messaggi di allerta tsunami”. “Inoltre, per il monitoraggio degli tsunami è prevista nel 2025 l’installazione in alto mare di due boe tipo Dart (Deep-ocean assessment and reporting of tsunamis) nello Ionio meridionale, i cui sensori saranno collocati a profondità tra 2.000 e 3.500 metri, e serviranno per il rilevamento rapido, la misurazione e la segnalazione in tempo reale degli tsunami, potendo così confermare o smentire l’arrivo delle onde di tsunami già al largo, prima che queste arrivino alla rete dei mareografi sulla costa”, precisa Amato.

Nel mar Mediterraneo diversi vulcani sottomarini

E in questo contesto non bisogna dimenticare la presenza, nel mar Mediterraneo di diversi vulcani sottomarini, non molto distanti dalle coste della Sicilia, come il gigantesco Marsili, localizzato nel Tirreno meridionale tra l’Isola e la Campania e che copre un’area di circa 2.100 km quadrati. E poi c’è il Kolumbo, altro grande vulcano sottomarino situato a circa 8 chilometri di distanza dall’isola di Santorini, in Grecia, teatro in queste settimane di un intenso sciame sismico. “Il Centro Allerta Tsunami dell’Ingv opera nell’ambito del SiAM (il Sistema nazionale per l’Allertamento dei Maremoti di origine sismica coordinato dal Dpc), istituito appositamente per allertare le popolazioni dai rischi da tsunami, monitora al momento solo gli tsunami di origine sismica. Tuttavia, le aree vulcaniche nel Mediterraneo sono oggetto di studio per comprendere i rischi derivanti da eruzioni sottomarine, anche se i rilievi sottomarini non sono sempre possibili”, assicura ancora Amato. “A Stromboli, inoltre, sono in atto studi mirati a comprendere le frane nella Sciara del Fuoco che possono generare tsunami. Nello specchio di mare di fronte alla Sciara è stato progettato e installato dal Laboratorio di Geofisica Sperimentale dell’Università di Firenze un sistema locale di allertamento maremoti, che al momento è in corso di potenziamento da parte dell’Ingv, in collaborazione con il Dipartimento di Protezione civile (Dpc) e con l’Università”, sottolinea il direttore del Centro allerta tsunami dell’Ingv. Ma i Comuni dell’Isola sono consapevoli del rischio e cosa si sta facendo, nel concreto, per informare i cittadini e prevenire i potenziali pericoli? I ricercatori affermano che “i Comuni italiani sono consapevoli di tutti i rischi legati ai fenomeni naturali attraverso le linee guida e le direttive che vengono diffuse a livello locale dalla protezione civile. Da alcuni anni è stato introdotto anche in Italia il programma Unesco Tsunami Ready, che prevede il riconoscimento di una comunità preparata a fronteggiare il rischio tsunami una volta che abbia soddisfatto 12 indicatori per la valutazione, la mitigazione e la risposta. Tra questi, c’è la località di Marzamemi nel Comune di Pachino e più di recente si è aggiunta l’isola di Stromboli”, nel Comune di Lipari.

Mappa tratta dalla pubblicazione scientifica  Sea level rise projections up to 2150 in the northern Mediterranean coasts, di A Vecchio, M Anzidei and E Serpelloni, pubblicata sulla rivista Environ. Res. Lett. 19 014050; DOI 10.1088/1748-9326/ad127e

Mappa tratta dalla pubblicazione scientifica Sea level rise projections up to 2150 in the northern Mediterranean coasts, di A Vecchio, M Anzidei and E Serpelloni, pubblicata sulla rivista Environ. Res. Lett. 19 014050; DOI 10.1088/1748-9326/ad127e

Erosione costiera, urgono azioni globali: “Stop a effetto serra e nuove costruzioni”

PALERMO – “Non c’è una tecnica migliore per frenare l’erosione costiera. Gli interventi dipendono dalle caratteristiche geomorfologiche delle coste, dalla loro estensione, topografia, urbanizzazione, dalle infrastrutture presenti e altri fattori. Per esempio, una costa bassa e sabbiosa è più esposta a fenomeni quali l’aumento del livello marino, l’erosione e gli eventi estremi, con conseguente arretramento”, affermano Anita Grezio e Marco Anzidei, dell’Ingv, in riferimento alle attività di prevenzione da attuare per frenare la sparizione dei litorali costieri della Sicilia e del Mediterrano.

“In generale – proseguono -, si usano ripascimenti, barriere soffolte, pennelli e scogliere che tendono a proteggere la costa, rallentando i processi erosivi a scala locale. Il MoSE, ad esempio, che protegge la Laguna di Venezia dalle alte maree è un sistema complesso ed è una struttura unica nel suo genere”. Attualmente, il MoSE “sta proteggendo con successo la laguna ma i cambiamenti climatici e l’aumento del livello marino potrebbero mettere a rischio questa struttura già entro la fine del secolo. In generale, le tecniche di difesa costiera sono soluzioni fallaci nel tempo, specialmente i ripascimenti delle spiagge che durano molto poco”.

“In particolare, bisogna tener conto delle proiezioni dell’innalzamento del livello del mare in fase di progettazione degli interventi di difesa costiera, introducendo nelle analisi anche la subsidenza, la quale può farne amplificare localmente gli effetti. Le stime dell’Ipcc, il Pannello Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, indicano che il livello medio degli oceani potrebbe aumentare anche di oltre 1 metro nel 2100 se continueremo a riscaldare il pianeta come stiamo facendo ora. Inoltre, nelle zone subsidenti, cioè dove il suolo si muove verso il basso per motivi naturali e/o antropici, come ad esempio è avvenuto negli anni tra il ‘50 e il ‘70 a Venezia o sta avvenendo ora nel delta del Po, il livello del mare locale potrebbe aumentare anche di tre volte rispetto a quanto indicato dall’Ipcc”.

“Con questi scenari, le azioni da intraprendere per mitigare gli effetti, sono complesse e costose e richiedono di essere affrontate a scala globale. Innanzitutto bisogna ridurre drasticamente l’effetto serra per contenere il riscaldamento del pianeta entro i limiti dell’accordo di Parigi. Questo fenomeno è infatti la prima causa della fusione dei ghiacci, in particolare di quelli che si trovano in Antartide e Groenlandia, che contribuiscono in modo significativo all’aumento del livello marino globale”. “La tecnica migliore per salvaguardare i litorali costieri sarebbe quindi quella di arretrare, impedire nuove costruzioni costiere e realizzare una gestione integrata della costa in modo consapevole, in accordo tra scienziati e decisori politici”, concludono i ricercatori INGV.

Da un’analisi geospaziale, nel Mediterraneo sono state individuate 163 piane costiere principali (in rosso, nell’immagine in alto) che sono esposte al rischio di aumento di livello marino ed effetti amplificati di tempeste e maremoti. La loro superficie totale è di circa 38.500 km2 (all’incirca paragonabile all’estensione della Svizzera). I Paesi più esposti sono Egitto (13 mila km2), Italia (10 mila km2) e Francia (4 mila km2).

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