Il primo guadagno? Una spesa non fatta - QdS

Il primo guadagno? Una spesa non fatta

Carlo Alberto Tregua

Il primo guadagno? Una spesa non fatta

venerdì 22 Maggio 2020

Il consumismo imperante e progressivo ha divulgato una falsità nella mente di tanta gente e cioè che si possa spendere a prescindere dai propri introiti.
Questo meccanismo è ulteriormente sollecitato dalle rateizzazioni di beni e servizi che si possono comprare immediatamente e pagare in modo differito. Perfino i viaggi e le vacanze si possono comprare con pagamenti a venire.
Ora, che i consumi debbano essere stimolati anche attraverso i pagamenti successivi, è buona cosa, ma l’eccesso di questi comportamenti, ovviamente, produce una distorsione. Perché?
Perché è facile perdere di vista il giusto equilibrio fra entrate e uscite di una famiglia, con la conseguenza che se le uscite diventano maggiori delle entrate in maniera continua, portano al dissesto di quella famiglia, alla disperazione e perfino, in qualche caso, ai suicidi.
A monte di questi comportamenti vi è la debolezza di molti genitori, i quali consentono ai propri figli di spendere, anziché insegnar loro il principio che prima bisogna guadagnarsi da vivere.

Quando un genitore o un parente dà denaro a figli, nipoti, congiunti, per effettuare spese non necessarie, sta dando loro arsenico, cioè li avvelena in quanto li induce a pensare che possono spendere senza prima avere guadagnato. Il che fa il paio con chi reclama diritti senza avere adempiuto ai propri doveri.
Qual è il proprio dovere per un giovane, a cominciare dalla fase postpuberale fino a quando non abbia completato il ciclo di studi scolastici o universitari? Quello di acquisire competenze, non nozioni, quelle competenze che gli saranno utili nella vita professionale per conquistare il massimo valore esistente che è la libertà, conseguente al soddisfacimento dei bisogni primari.
È proprio qui che occorre porre attenzione: la necessità di soddisfare bisogni primari e non voluttuari, secondo il principio che il primo guadagno è una spesa non fatta.
Ovviamente, per far comprendere queste semplici nozioni ai ragazzi, occorrono genitori di buonsenso, dotati di una discreta cultura e rigorosi, ben sapendo che accontentarli su questioni vacue è come intossicarli.
Ma veniamo ai doveri dei giovani. Il primo è quello di comprendere che, per acquisire competenze (ripetiamo, non nozioni), gravano sui propri genitori, i quali li devono mantenere economicamente: il che è giusto.
Però tali giovani ci possono mettere del loro, nel senso che rientra nei propri doveri ridurre questo onere al tempo strettamente necessario e non di più, vale a dire completare il ciclo scolastico nei limiti della propria età e, se gli studi proseguono all’università, completare il conseguente ciclo nel tempo strettamente necessario e non un giorno di più.
Questo possono e debbono fare i giovani. Ma possono fare anche dell’altro e cioè, mentre procedono nel loro corso di studi, possono fare esperienze lavorative, anche durante il periodo di vacanza, in modo da accelerare il processo di apprendimento delle competenze che devono essere anche di natura pratica.
Tutto questo è semplice ad enunciarsi, più difficile da mettere in atto. Però non si può prescindere da questi meccanismi per crescere e diventare autonomi.

Purtroppo non vediamo affrontati questi temi nella giusta misura dai mezzi d’informazione e meno che mai dai mezzi sociali. Di tutto si parla, di tutto si scrive tranne che prendere il toro per le corna e cioè spiegare senza mezzi termini ed in modo chiaro, quali siano i doveri dei genitori (mantenere i figli nello stretto periodo necessario per acquisire competenze) e quali i doveri dei figli (farsi mantenere per il tempo strettamente necessario ad acquisire competenze).
La mancata divulgazione di questi doveri, prima dei diritti, comporta la diffusione di una mentalità parassita secondo la quale ognuno, giovane o meno giovane, possa vivere consumando e non producendo quanto necessario.
Si tratta di una mentalità becera che alimenta il principio del mendicante, cioè che è più facile tendere la mano per chiedere l’elemosina piuttosto che darsi da fare per diventare autonomi e conquistare la propria libertà.
Ovviamente, quanto precede non riguarda disabili, anziani, malati che hanno il diritto di essere assistiti dalle istituzioni, dai cittadini e dalle associazioni di servizio.

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