Ex Province, carrozzoni ma nel frattempo strade e scuole cadono in pezzi - QdS

Ex Province, carrozzoni ma nel frattempo strade e scuole cadono in pezzi

Paola Giordano

Ex Province, carrozzoni ma nel frattempo strade e scuole cadono in pezzi

venerdì 03 Dicembre 2021

Da quasi dieci anni una riforma mai applicata nella sua interezza ha lasciato nel limbo queste realtà istituzionali

Se è vero che la speranza è l’ultima a morire, per le ex Province dell’Isola potrebbe arrivare il giorno della svolta: il prossimo 22 gennaio, dopo un decennio, si dovrebbe tornare a votare. Si tratta – è bene ricordarlo – di consultazioni di “secondo livello” per eleggere i Consigli metropolitani di Palermo, Catania e Messina, e i presidenti e i Consigli dei Liberi Consorzi comunali di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani.

Il condizionale è d’obbligo perché il rischio di slittamento (l’ennesimo) è dietro l’angolo: il deputato regionale Tommaso Calderone, presidente del Gruppo parlamentare di Forza Italia, ha infatti presentato un Ddl per posticipare la tornata elettorale delle ex Province regionali, che è stato sottoscritto da colleghi sia della maggioranza sia dell’opposizione. Il documento porta infatti la firma anche dei deputati Anthony Emanuele Barbagallo (Pd), Antonio Catalfamo (Lega Sicilia per Salvini Premier), Giovanni Di Mauro e Salvatore Lentini (Popolari ed Autonomisti – Idea Sicilia), Eleonora Lo Curto (Udc).

La situazione di stallo in cui si ritrovano da anni le ex Province dipende da questioni meramente politiche: è la politica a non volere le elezioni di secondo livello e a spingere sul ritorno alle votazioni dirette. A pensar male, si potrebbe obiettare che questa sia una scelta interessata, perché in tal modo sarebbero disponibili nuovamente decine di poltrone da assegnare (tra Consigli e Giunte provinciali). Ma non vogliamo spingerci a tanto e ci limitiamo a descrivere i fatti così come stanno.

Le elezioni di “secondo livello” hanno come corpo elettorale i sindaci e i consiglieri comunali in carica, quindi persone che occupano già delle poltrone. Nelle tre Città metropolitane, il Consiglio dovrà infatti essere composto, oltre che dal sindaco metropolitano (che di diritto è il primo cittadino del Comune capoluogo) da 14 o 18 consiglieri votati tra i consiglieri comunali degli Enti locali appartenenti alla Città metropolitana; 14 se la popolazione residente è fino a 800 mila abitanti, come a Messina; 18 se essa è superiore a 800 mila abitanti, come nei casi di Catania e Palermo.

Nei sei Liberi Consorzi comunali il presidente dovrà invece essere eletto tra i sindaci dei Comuni appartenenti all’Ente e i rappresentanti del Consiglio scelti tra i sindaci e consiglieri comunali (10 componenti se popolazione fino a 300 mila abitanti, 12 se fino a 700 mila o 16 se superiore a 700 mila). Nel caso dei Liberi Consorzi siciliani, Enna e Caltanissetta dovrebbero dunque eleggere 10 consiglieri, mentre Ragusa, Siracusa, Trapani e Agrigento 12.

Che sia la volta buona per gli Enti diventati “scatole vuote” che pesano sulle tasche dei cittadini? È presto per dirlo ma è un dato di fatto che lo stallo in cui si ritrovano le ex Province da anni ha prodotto soltanto enormi costi di gestione. Di servizi resi ai cittadini non vi è ombra. Anzi, la gestione dell’ordinario (in particolare di strade e scuole di competenza) sembra essere sempre più difficoltosa.

Gli investimenti fatti dalle nove ex Province sono infatti esigui rispetto alla spesa necessaria a mantenere l’apparato. Quella siciliana continua a rivelarsi una strategia poco lungimirante, perché le spese correnti – che, nel nostro caso assorbono un terzo della spesa complessiva – sono certe e allo stesso tempo improduttive: secondo le regole basilari di macroeconomia, infatti, “uno muove uno”. Per contro, quello delle spese in conto capitale – le spese cioè destinate agli investimenti – è un capitolo che potrebbe portare un ritorno economico di non poco conto perché, in questo caso, “uno muove cinque/dieci”, cioè investendo un euro si mettono in moto cinque-dieci euro.

A rendere il quadro delle ex Province ancora più complesso vi sono poi anche le 99 società partecipate di competenza dei nove Enti siciliani (di cui quaranta in liquidazione). Realtà che appesantiscono ancor di più apparati già elefantiaci.

Dopo anni di tira e molla, promesse, rinvii e annunci, è il momento di risolvere una volta per tutte la questione. Si spera che la politica siciliana possa trovare la forza di pensare al bene della collettività, che chiede servizi puntuali ed efficienti.

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