Fase 2, per Unimpresa non riaprirà il trenta per cento degli esercizi - QdS

Fase 2, per Unimpresa non riaprirà il trenta per cento degli esercizi

redazione web

Fase 2, per Unimpresa non riaprirà il trenta per cento degli esercizi

sabato 02 Maggio 2020

Il vicepresidente Spadafora, "per ristoranti e negozi continuare con un terzo dei clienti e i soliti costi fissi sarebbe antieconomico". Per il Centro Studi dell'associazione delle piccole imprese a rischio duecentocinquanta miliardi di Pil

Una larghissima parte delle attività legate al commercio al dettaglio e alla ristorazione non riaprirà: la ripresa di alcuni esercizi commerciali è sconveniente sul piano economico.

A lanciare l’allarme, con una nota, è il Centro studi di Unimpresa, secondo cui con la ampia crisi di questi settori si aprirà un autentico dramma sociale sul versante dell’occupazione.

“È ormai certo – ha commentato nella nota il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora – che migliaia di artigiani in giugno non riapriranno. E parliamo di più di un terzo delle attività di ristorazione, bar, piccoli negozi di abbigliamento, piccole rivendite di articoli al pubblico. Non riapriranno, perché è antieconomico”.

“In sintesi – ha aggiunto Spadafora -, un bar che riapre in giugno potrà contare su un terzo dei clienti semplicemente perché, per le regole sul distanziamento, potrà fare entrare nel proprio esercizio soltanto un numero limitato di persone. E, a fronte di un terzo degli incassi, questi imprenditori dovranno sostenere gli stessi costi fissi per bollette, affitti, tassa sul suolo pubblico, rifiuti”.

Secondo Spadafora “lo Stato non ha le risorse per sostenere queste imprese e probabilmente non avrà i soldi per sostenere la disoccupazione da questa derivate”.

“Inoltre, questo settore – ha sottolineato – pur essendo il più colpito dal nero, di contro, contribuisce a mantere una certa coesione sociale. Come sappiamo, l’economia ha una forma piramidale. Il grande produce, il medio rivende, il piccolo compra per vendere al cliente finale. Se chiudono o non riaprono migliaia di piccoli esercizi commerciali, a catena saltano per aria tutti gli altri”.

Secondo l’associazione, il crollo si potrebbe tradurre, considerando le attività connesse, in una riduzione del giro d’affari complessivo che interessa duecentocinquanta miliardi di euro di prodotto interno lordo: a questa cifra si arriva partendo dal presupposto che il sessanta per cento del pil è legato al mercato interno e che il trenta per cento di questo mercato (ovvero il diciotto per cento del totale del pil) potrebbe subire pesanti ripercussioni.

Sul fronte delle finanze pubbliche, la riduzione del gettito potrebbe arrivare a ottanta miliardi, mentre dalle casse dello Stato continuerebbero a uscire fondi in favore dei nuovi disoccupati.

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