Tassi a 5,50, 4,50, 4,25, 4%
La Federal Reserve statunitense, nell’ultima riunione, ha mantenuto il tasso primario al 5,50%, ritenendo così conclusa la stagione dei rialzi, ma senza avere iniziato la successiva stagione, che è quella della discesa per raggiungere l’obiettivo dell’inflazione al 2%.
Nonostante l’elevato tasso primario, l’economia statunitense è cresciuta notevolmente e con essa l’occupazione. Quindi, l’elevato costo del denaro per imprese e cittadini non ha recato nocumento allo stato di salute economico di quel Paese.
Esso è uno dei due traini dell’economia mondiale, per cui l’Europa, il Centro e Sud America, Giappone e Corea del Sud risentono della politica finanziaria lì attuata. L’altro traino è la Cina.
In Europa la Bce, a ruota, ha tenuto fermi i tre tassi primari (4, 4,25 e 4,50) ritenendo che anche nel Vecchio Continente la fase della loro crescita sia ormai conclusa e dal prossimo 2024 dovrebbe iniziare la discesa, già con un primo provvedimento nel primo semestre.
Contrariamente agli Usa, l’economia europea non va bene: la nazione traino, che è la Germania, è addirittura in recessione, altri Paesi più importanti del Centro-Sud – come Francia e Italia – hanno crescite del Pil risibili, mentre i partner del Nord crescono in maniera leggermente migliore. Ma la media di crescita europea è al di sotto dell’1%.
In queste condizioni è difficile pensare che sia stato il rigore della Bce a non far crescere l’economia. Bisogna cercare altrove la causa ed essa risiede probabilmente nel fatto che i vari Paesi, soprattutto quelli meridionali, hanno l’abitudine di tenere larghi i cordoni della spesa, per cui hanno difficoltà a trovare le risorse necessarie allo sviluppo e alla crescita.
Da molti si paventa il cosiddetto rigore, non indicando invece che esso va attuato nel versante della spesa corrente, quella cattiva e clientelare, che non ha funzione produttiva; mentre si deve largheggiare nella spesa per investimenti, anche indebitandosi.
A tal proposito vale la pena ricordare che i grandi macroeconomisti, tra cui John Maynard Keynes, stimolavano i Governi a indebitarsi purché i debiti fossero indirizzati verso gli investimenti e mai verso la spesa corrente.
Perché, invece, i Governi operano all’inverso? Per la semplice ragione che la spesa corrente porta consensi immediati, mentre quella per investimenti porta consensi differiti. Ma i primi soddisfano l’egoismo delle generazioni attuali, danneggiando però quelle future. Questo non viene detto da nessuno, perché invece c’è la tendenza a prendere l’oggi trascurando il domani.
L’Unione europea ha comunque deciso un accordo di rinnovamento del Patto di stabilità – che molti denunciano come una propria vittoria, ma che nella sostanza non sposta nulla – mantenendo il vincolo del deficit annuale nel 3% con qualche piccola variazione temporale nei prossimi anni. Non si capiscono, per conseguenza, le grida di vittoria di questo e di quello, mentre dovrebbe essere evidenziato il comune buonsenso, che sarebbe quello di decidere e lavorare per le future generazioni. Come? Cessando l’indebitamento e lavorando per gli investimenti futuri.
In questo quadro, il nostro Paese non sta bene, perché ha ereditato decenni di Governi spendaccioni, che hanno allargato sempre di più la spesa corrente, ripetiamo, danneggiando le generazioni future.
Fra tutti i commenti che abbiamo sentito in questi giorni, non ce n’è uno che centri la vera causa di questi malanni, la prima fra tutte: l’Italia ha il motore di funzionamento scassato.
Qual è questo motore? La Pubblica amministrazione. Si potrebbe fare molto, ma molto di più se le risorse disponibili fossere spese presto e bene, perché non è il denaro che manca al nostro Paese, bensì la capacità di utilizzarlo al meglio possibile.