Gli effetti devastanti del cambiamento climatico sono dimostrati quotidianamente dalle ondate di caldo, alluvioni e ogni altro tipo di evento atmosferico estremo. Responsabile ultimo di queste devastazioni è l’uomo, che con il proprio modello di sviluppo sta saccheggiando le risorse del pianeta ad un ritmo che non ha precedenti.
Per cominciare ad aumentare la consapevolezza collettiva su questi problemi, l’Unione europea ha introdotto norme volte ad obbligare le imprese a rendicontare non solo l’attività economica attraverso il bilancio, ma anche il loro impatto sull’ambiente. Le disposizioni sono state inserite in due Direttive riguardanti la rendicontazione di sostenibilità (Corporate sustainability reporting directive, “Csrd”) e il dovere di diligenza rispetto alla sostenibilità (Corporate social due diligence directive, “Csddd”). In pratica, già da quest’anno le aziende europee, in funzione di alcuni parametri dimensionali e occupazionali, avrebbero dovuto cominciare a pubblicare una serie di documenti e misurazioni volti a dare informazioni sull’impatto della loro attività sull’ambiente con l’obiettivo di guidare gli investimenti verso quelle meno inquinanti e a indurre la riduzione degli effetti nocivi.
La scarsa attenzione a questi temi dell’Amministrazione Trump ha indotto il Parlamento europeo a varare la direttiva “Stop the clock” per concedere più tempo alle aziende per adeguarsi alle norme relative alla sostenibilità. In un momento di grande incertezza come questo, “fermare l’orologio” può sembrare ragionevole, ma rinunciare ad un’azione concreta, volta ad aumentare la conoscenza appare una decisione miope.
Sarebbe stato meglio mantenere gli obblighi e creare una sana competizione tra le aziende e spingerle a mettere in mostra la loro attenzione all’ambiente, piuttosto che ritardare tutto mandando un messaggio negativo sulla portata del problema. Le Direttive si potranno anche fermare, ma i diluvi, le inondazioni e le frane continueranno lo stesso.

