Recovery fund la Sicilia rischia di annegare in un mare di rimpianti - QdS

Recovery fund la Sicilia rischia di annegare in un mare di rimpianti

Paola Giordano

Recovery fund la Sicilia rischia di annegare in un mare di rimpianti

martedì 23 Febbraio 2021

Servono progetti e non parole, con una Pa snella ed efficiente, per utilizzare al meglio le opportunità europee

La nostra Isola ha fame. Di idee, di progetti e, soprattutto, di risorse. Per rilanciare un’economia che, dal confronto con le Regioni settentrionali, esce con le gambe rotte e alla quale il Covid ha dato il colpo di grazia.

Eppure le risorse ci sono: il problema è che non vengono spese. Non tutte, per lo meno. I Fondi strutturali 2014-2020 sono l’esempio lampante: dei 5,1 miliardi a disposizione per la Sicilia tra Fondi Fesr (4,3 miliardi) e Fondi Fse (820 milioni), l’Isola ne ha impegnati complessivamente circa 3 miliardi e ne ha effettivamente spesi – quindi immessi nel mercato – neanche 1,5. Meno del 30 per cento. A rilevarlo è il report “La dimensione territoriale nelle politiche di coesione. Stato di attuazione e ruolo dei Comuni nella programmazione 2014-2020” redatto dalla Fondazione Ifel-Anci per la Finanza locale.

Alla luce di tali dati una domanda sorge spontanea: se non siamo stati in grado di spendere quanto programmato, come potremmo gestire le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza?

L’intervento del direttore di Svimez, Luca Bianchi, nel webinar “La Questione meridionale nel post Covid: dall’Unione europea una occasione di rilancio” organizzato lo scorso giovedì in diretta streaming da Confindustria Siracusa insieme al Lions Club Augusta Host e al Leo club di Augusta, risponde a tale quesito: “La storia del Mezzogiorno – ha detto Bianchi – è ricca di esperienze in cui i soldi c’erano ma non siamo stati in grado di spenderli. C’è bisogno di una profonda riforma della Pubblica amministrazione. La bozza predisposta dal precedente governo sul Pnrr nulla diceva sul sistema di governance, che è fondamentale. La possibilità per il Mezzogiorno di spendere una così grande quantità di risorse e di non sprecarle passa da una profonda modifica del sistema di governance: non possiamo applicare nel Sud il sistema che abbiamo utilizzato per la spesa e l’utilizzo dei fondi di Coesione europea. Serve un meccanismo di governance diverso insieme a un investimento straordinario sulla pubblica amministrazione”.

Il punto è quindi quello di risolvere i problemi a monte per evitare che l’inefficienza si ripercuota a valle. “Il Pnrr – ha aggiunto Bianchi – rappresenta una grandissima opportunità di ridefinizione di un nuovo modello di sviluppo che dovrebbe partire da una considerazione: serve un investimento aggiuntivo soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno”.

Il QdS lo sostiene da anni: far ripartire la Sicilia per far ripartire l’Italia, trasformando l’Isola da oggetto trainato a soggetto trainante. “Una buona spiegazione della bassa crescita italiana degli ultimi anni – ha spiegato infatti il direttore di Svimez – è dovuta al fatto che abbiamo tenuto spento il motore interno della crescita nazionale, che era il Mezzogiorno. Riducendo il flusso degli investimenti in questa area, riducendo i livelli di spesa pubblica in questa area, complessivamente facendo prevalere un intervento che privilegiava le locomotive del Nord sperando che questo avrebbe trascinato tutto il Paese ma, di fatto, ha rallentato la crescita nazionale”.

Il direttore Bianchi ha suggerito quindi una profonda modifica della bozza di Piano distribuita a gennaio: “Va chiaramente identificata l’opzione rilancio degli investimenti nel Mezzogiorno, che vuol dire riequilibrio nei servizi pubblici ma anche puntare su alcune potenzialità di crescita che nel Mezzogiorno ci sono. Il caso più eclatante è quello della potenzialità della logistica, tema fondamentale insieme a quello di un nuovo disegno di nuova politica industriale perché è proprio nel mezzogiorno che abbiamo dei settori, penso alla possibilità di sfruttare l’opzione Mediterraneo, che richiedono investimenti.”

Non ci resta che attendere le modifiche del neonato governo Draghi al Piano da presentare all’Europa entro aprile. E confidare in una vera inversione di tendenza rispetto all’utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Europa. Soltanto così sarà possibile invertire il trend per la Sicilia e, di conseguenza, anche per l’Italia.

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