Intervista ad Angelo Mazza, professore associato di demografia al dipartimento di economia e impresa dell’Unict
Secondo le previsioni dell’Istat, nel 2068 la Sicilia perderà quasi un milione e mezzo di abitanti. Dal 2011 ad oggi la popolazione residente è diminuita di oltre 310mila unità.
Per comprendere meglio i fattori
che stanno determinando un processo di spopolamento della Sicilia e le misure
volte a favorire un’inversione di tendenza, abbiamo intervistato Angelo Mazza,
professore associato di demografia al dipartimento di Economia e impresa
dell’Università di Catania.
Questi dati sono preoccupanti o si inseriscono in quadro ordinario?
“Le tendenze della popolazione,
sia italiana che siciliana, nel corso degli ultimi vent’anni presentano delle
caratteristiche tutt’altro che ordinarie, addirittura estreme se paragonate a
quelle degli altri Paesi, in particolare all’interno dell’Ue. È fondamentale
riconoscere quello che i demografi italiani hanno definito eccezionalismo
demografico. Siamo tra i primi per l’invecchiamento della popolazione, siamo
tra gli ultimi in termini di bassa fecondità. Tra i paesi occidentali, siamo
tra i primi per la lunga transizione dei giovani verso lo stato adulto. Siamo
anche tra i primi per la lunga durata della vita e siamo tra i primi in termini
di velocità di crescita della popolazione straniera. Il veloce e persistente
declino demografico in alcune aree del paese è un elemento importante che è
connesso a tutti gli aspetti dell’eccezionalismo demografico dell’Italia”.
A cosa è dovuto questo fenomeno?
“Le variazioni della popolazione
sono determinate dal saldo naturale, cioè i decessi meno le nascite, e da
quello migratorio. Tradizionalmente, in Italia si facevano più figli al Sud e
nelle Isole. E questo succede ancora fino alla fine del millennio scorso. Ma,
dalla metà degli anni 2000, c’è il sorpasso. In generale, si fanno più figli
nelle regioni dove la situazione economica è migliore, e questa è una novità
nella geografia della demografia italiana. Ma è coerente con alcuni dati che
mostrano che anche a livello europeo si fanno più figli dove l’economia è migliore,
dove le donne sono più incluse nel mercato del lavoro e dove si mettono in atto
politiche pronataliste più decise. Se osserviamo l’andamento del tasso di
crescita naturale in Sicilia, vediamo che questo non si discosta a partire dal
2010 troppo da quello Italiano. Ma, allora perché il tasso di incremento della
popolazione siciliana è negativo? Ciò è dovuto al saldo migratorio negativo. Le
migrazioni sono un po’ come le nascite, vanno dove le cose vanno meglio. Per
gli immigrati stranieri, la Sicilia è una regione di passaggio, per andare in
zone, anche dell’Unione europea, di maggiore benessere economico. Il saldo
migratorio negativo determina la scomparsa di molti centri siti nelle aree
interne; i dati mostrano che ad andar via è la fascia più giovane e qualificata
della popolazione, quella che ha maggiore probabilità di trovare migliori
opportunità lavorative lontano da casa”.
Quali iniziative dovrebbero
essere intraprese dai Governi regionale e nazionale?
“Il continuo invecchiamento della
popolazione, i bassi livelli di fecondità, l’allungamento dell’aspettativa di
vita, il rapido incremento della popolazione immigrata, lo spopolamento delle
aree interne. Si tratta di dinamiche che innescano sfide difficili per i
governi, specialmente se non operano velocemente e con la consapevolezza delle
conseguenze di breve e lungo periodo delle loro azioni. Purtroppo, le tematiche
demografiche vengono spesso trascurate. È anzitutto fondamentale acquisire
piena consapevolezza dell’eccezionalismo demografico italiano. I demografi
italiani si sono meravigliati per il fatto che è stata l’Unione europea, con la
commissione presieduta da Ursula von der Leyen, a creare il primo portafoglio
in cui compare la parola demografia, mi riferisco al portafoglio democrazia e demografia
di Dubravka Šuica. I governi devono pensare anche alle esigenze delle
generazioni future, e non solo al presente; non si può dire che questo, nel
passato, sia stato fatto. L’Europa, ci offre un’opportunità, forse l’ultima,
con il Recovery plan, che non a caso si chiama Next generation Eu”.