Malattie terminali, cure palliative e sedazione profonda sono alcuni dei temi trattati nella nostra intervista con Roberto Garofalo, direttore Uoc di Integrazione socio-sanitaria dell’Asp palermitana
PALERMO – La morte è un evento inevitabile, eppure diversamente vissuto da ciascuno sia in termini medici che esistenziali. Si parla oggi tanto di dignità del morire (e del vivere), di morte come evento temuto, negato, e di medicina come scienza garante di una morte indenne, per quanto possibile, dalle sofferenze fisiche e psichiche, spesso devastanti, tipiche della fase terminale di ogni malattia cronica.
Di terminalità, buona morte e accoglienza medica e umana alle soglie del morire abbiamo parlato con Roberto Garofalo, direttore facente funzione della Uoc di Integrazione socio-sanitaria dell’Asp di Palermo.
Dottor Garofalo, può parlarci del significato specifico di malattia terminale?
“Premesso che oggi parlare di morte è un tabù, qualcosa cui non fare cenno per paura, preferendo vivere in una cultura dell’eterna giovinezza, ci scontriamo però inevitabilmente con le malattie croniche con cui, non potendo esse guarire, siamo destinati a convivere, fino alle fasi più avanzate. Penso alle molteplici possibili complicanze del tumore, dal dolore alla nausea, alla dispnea e all’assistenza richiesta. Tengo però a precisare un concetto basilare: mentre nelle fasi non terminali la cura è destinata alla malattia, in quelle terminali il punto di riferimento è il malato e il concetto del Buon morire”.
Quali sono le principali cause delle malattie croniche oggi riscontrabili?
“Al centro di malattie croniche come i tumori esistono cause oggi note quali i cattivi stili di vita, tra cui l’abuso di alcool, peraltro tra i fattori scatenanti alla base della cirrosi epatica. Abbiamo così due scenari: da un lato il tema delle Dat, Disposizioni anticipate di trattamento; dall’altro dei servizi assistenziali dedicati al fine vita”.
Cosa può dirci di servizi assistenziali in caso di terminalità e delle terapie all’avanguardia?
“Vorrei in primo luogo riferirmi ai malati di Sla, che pongono i medici di fronte a situazioni bioetiche, come per l’utilizzo del ventilatore meccanico, e al problema delle cosiddette Dat, che valuto un’opzione da considerare anche nella loro revocabilità e non incompatibilità con una prospettiva di carattere religioso. In secondo luogo, in caso di malattia inguaribile, oggi disponiamo di due possibili opzioni assistenziali utilizzanti le cure palliative. La prima è l’assistenza domiciliare, che si avvale di una multiprofessionalità composta da medico, infermiere, psicologo, fisioterapista e assistente sociale, opzione preferita dai familiari. Esistono altresì i cosiddetti hospice, un vero e proprio luogo personalizzato e accogliente con letto, bagno, cucinino e posto dedicato al caregiver, finalizzato al buon morire e alla presenza di un familiare. In ogni caso verranno somministrate le cure palliative consistenti in farmaci specifici come oppioidi, steroidi e psicofarmaci con l’obiettivo del controllo dei sintomi”.
Qual è la situazione siciliana nei termini dei suddetti servizi e quali le prospettive future?
“A Palermo, per ciò che è di mia competenza territoriale, a oggi disponiamo di tre hospice che seguono la regola aurea ‘Quando non c’è più niente da fare, c’è ancora molto da fare’. Il concetto è quello di morire soffrendo il meno possibile o non soffrendo affatto. A tal fine mi pare importante fare un appunto sulla sedazione profonda, opzione da considerare per spegnere la coscienza nei casi di dolore incoercibile. Si tratta di un’operazione accettata trasversalmente da tutti i fronti, anche teologici, e da non confondere con l’eutanasia, nella prospettiva e nella speranza di un fine vita dignitoso che restituisca alla morte e alla vita pari dignità”.