Gianluigi Paragone: “Covid, troppi errori ma ora bisogna riaprire” - QdS

Gianluigi Paragone: “Covid, troppi errori ma ora bisogna riaprire”

Paola Giordano

Gianluigi Paragone: “Covid, troppi errori ma ora bisogna riaprire”

sabato 24 Aprile 2021

Il nostro Forum con Gianluigi Paragone, senatore della Repubblica e leader del partito politico ItalExit “Italiani popolo di risparmiatori, vi spiego perché non c’entriamo nulla con l’Unione europea”

Partiamo subito dal suo partito, ItalExit, che già nel nome indica un progetto politico chiaro. Ritiene che sia anche realizzabile? La Gran Bretagna, uscita dall’Ue con la Brexit, è una nazione che ha un’economia molto più forte della nostra e non ha mai aderito alla politica monetaria comune. Che vantaggi avrebbe l’Italia ad uscire oggi dall’Europa?
“Il discorso di Brexit è solo foneticamente sovrapponibile a ItalExit perché la Gran Bretagna aveva ed ha sovranità monetaria. Avere sovranità monetaria, specialmente in un momento come questo, significa avere lo strumento e la leva per capire dove portare il tuo Paese in una visione macroeconomica. Io contesto ciò che l’Unione europea e l’Eurozona non hanno dato all’Italia. Siamo entrati in una specie di bolla dove, fin dall’inizio, abbiamo partecipato a una costruzione asimmetrica: è vero avevamo un debito pubblico elevato, ma questo è stato contabilizzato al netto di quella che era la nostra forza e cioè il popolo di risparmiatori, cosa che non esiste negli altri Paesi membri dell’Ue. Noi eravamo un’anomalia. Franco Modigliani definiva l’economia italiana come un ‘calabrone’ che sfida le leggi dell’aerodinamica eppure vola”.

Quindi sostiene che l’Italia non sarebbe “fatta” per stare nell’Ue…
“Noi siamo un’atipicità che mal si combina con l’Unione europea, il cui parametro di riferimento è germanico e si pone in una situazione di standardizzazione, in cui si deve cercare un comune denominatore. Ma questo, per un Paese come l’Italia che fa dell’eccellenza e delle identità il suo valore aggiunto, vuol dire smontare la nostra tipicità. È come se, riprendendo l’esempio di prima, avessero detto al calabrone: ‘Non devi volare, non mi interessa che voli’. Ecco perché io insieme a un gruppo di persone che studiano da tempo l’anomalia dell’euro poniamo la questione sul tavolo. Siamo un popolo di risparmiatori e ciò si sta confermando anche con la pandemia perché se si fa leva sulla paura – di soffrire, morire, perdere il posto di lavoro – cosa mi resta? Il risparmio. Stiamo recuperando ciò che era la cultura dei nostri nonni, che non si esponevano al debito o, se lo facevano, puntavano su prodotti bancari standardizzati. Oggi entri in banca e ti prospettano formule di prestiti in tutte le salse, con tutte le insidie del caso. Quindi è normale che non si muova questo capitale perché hai la paura di dover affrontare l’ignoto”.

Lei vuole portare l’Italia fuori dall’Europa, ma intanto il Paese è spaccato in due tra un Nord produttivo e un Sud arretrato.
“Non mi sembra che le politiche comunitarie e la moneta unica siano riuscite a colmare questo gap. Nei programmi di Bruxelles si parla di digitalizzazione da una parte e sviluppo sostenibile dall’altro. Voi pensate che faranno il bene del Sud e della Sicilia? Io non ci credo perché se punti solo sulla digitalizzazione, sullo smartworking, sulla robotizzazione e, dunque, sul trionfo dell’algoritmo, di fatto metterai progressivamente fuorigioco il lavoratore. Per quanto riguarda il cosiddetto ‘green’, chi vende auto elettriche oggi? L’unica casa automobilistica italiana interessata allo split sull’elettrico è Fca che, però, produce in Polonia. Qual è la moneta in Polonia? La loro. Quando Draghi ha fatto il discorso di apertura e ha parlato della riforma fiscale ha citato come paese di riferimento la Danimarca che ha come moneta la corona danese. Mi dici quindi che vuoi prendere come modello fiscale di riferimento un Paese non Eurozona? Ma se tu hai una tua moneta con una banca centrale, i flussi per fare politica monetaria sono diversi”.

Lei è particolarmente critico nei confronti delle restrizioni per fermare la diffusione del covid, tanto da aver partecipato alle proteste a Roma di ristoratori e imprenditori dello sport. Cosa dovrebbe fare il Governo?
“Dopo oltre un anno ci ritroviamo alla casella del via: non hai superato l’emergenza, non l’hai saputa affrontare e, a fronte di questo, credi che l’unica soluzione possibile sia continuare a tenere bloccato il Paese. Sono stati commessi solo errori: non c’era un Piano pandemico, sono stati scelti ‘super commissari’ senza alcun bilanciamento costituzionale in Parlamento, abbiamo problemi con ventilatori e prodotti di sanificazione. E poi ci sono le mascherine: nessuno ha controllato che entrassero nel Paese mascherine realmente utili ai fini della sicurezza. Una su due importata dalla Cina a caro prezzo è risultata inefficace. Nonostante tutto questo, si gioca sulla pelle dei lavoratori con aperture a fisarmonica: questo vuol dire che il Governo non ha alcun controllo sulla vicenda sanitaria e si limita solo ad accorciare e allungare il guinzaglio. Non sono riusciti neanche a formulare un protocollo sulle cure domiciliari, il che è gravissimo perché parte dei morti è addebitabile alle terapie troppo aggressive in Ospedale che hanno complicato notevolmente il quadro clinico”.

Di fronte a una campagna vaccinale che arranca e a un numero di morti che continua a destare allarme, cosa farebbe se fosse lei il premier?
“Intanto non avrei commesso gli errori di prima perché subito avrei quantomeno aperto seriamente alla cure domiciliari. Tra la prima ondata e la seconda non mi sarei trovato con le terapie intensive in affanno. Sul piano vaccinale avrei cercato la contrattazione. Il Governo britannico e quello americano hanno finanziato la ricerca, l’Europa invece è al gancio, con un potere contrattuale ridotto rispetto alle multinazionali, le quali impongono la segretezza sui vaccini. Io un vaccino con un contratto secretato non lo avrei accettato”.

E sul coprifuoco prorogato fino a luglio? Non si rischia di tirare troppo la corda?
“Questo la dice lunga sullo stato confusionale del Governo. Se non hai fatto la pianificazione prima, non puoi tenere tutto sospeso: quindi adesso devi aprire perché i problemi dell’economia reale stanno diventando insostenibili. Devi correre con le vaccinazioni senza inseguire l’obbligatorietà vaccinale. Il punto è capire se hai i vaccini”.

Tra poco più di un anno si tornerà al voto in Sicilia. Potreste sostenere una eventuale ricandidatura del presidente Musumeci?
“Assolutamente no. Andremo alle urne con un nostro candidato”.

Pensa che il Mezzogiorno sia poco presente nel Governo Draghi?
“Il Sud dentro questo governo non c’è. Secondo me, un Ministero del Mezzogiorno o un vice ministro degli esteri con delega al Mediterraneo deve avere base in una regione meridionale. La butto lì: in Sicilia si dovrebbe creare la sede della Farnesina che guarda al Mediterraneo. Anche il Viminale dovrebbe avere una sede operativa nell’Isola per quanto riguarda le politiche migratorie (e non i semplici uffici della Prefettura)”.

Il vicedirettore Raffaella Tregua con Gianluigi Paragone

“Ho paura del Ponte perché temo
sia un continuare a giocare sulle sfide”

Esiste ormai da decenni un grande gap tra Nord e Sud. A suo avviso il Ponte potrebbe aiutare a colmarlo?
“Una grande sfida è sempre affascinante. Posso anche accettare la sfida della grande scommessa ma se non la gioco dopo avere vinto il campionato minore – l’articolazione delle reti infrastrutturali che sono primarie in Sicilia – non posso vincerla”.

Da quarant’anni ci dicono che prima del Ponte sono necessarie altre infrastrutture, ma non sono state realizzate né le opere pubbliche fondamentali né il Ponte.
“È un po’ come, nella similitudine del calcio, stabilire se sia più importante difendere la porta o attaccare e segnare goal. Una volta che scegli un modulo lo devi seguire. Qui il problema è che non giochiamo in undici: cioè se non hai un’articolazione infrastrutturale degna di una qualsiasi Regione importante come la Sicilia è difficile che possa darti la prospettiva della grande sfida”.

Il problema è che nessun governo, di nessun colore politico, ha mai voluto investire realmente sulle infrastrutture siciliane. Per esempio si lavora per accelerare la velocità dei treni lungo la tratta Palermo-Catania-Messina, portandola a 200 km orari, ma al Nord vanno già adesso a 300 km orari. Questo vuol dire che tra cinque anni le nostre ferrovie saranno certamente migliori rispetto a quelle attuali, ma comunque obsolete rispetto al resto d’Italia. Perché questa disparità di trattamento?
“Qui sta il punto: visto l’attuale scenario infrastrutturale delle Sicilia, vado a impegnarmi finanziariamente su un progetto come quello del Ponte? Io ho paura del Ponte, perché temo che sia un continuare a giocare sulle sfide per non andare a pagare le penali”.

Diversi studi mostrano però che il Ponte attirerebbe una serie di investimenti a catena.
“Analizziamo la partita finanziariamente. Temo che ci sia un algoritmo moltiplicatore, rischia di essere più un derivato che non un’opera in sé perché finora il progetto vero non c’è: l’unica cosa certa è che finora stiamo pagando il gioco delle scatole cinesi”.

Il Ponte potrebbe rappresentare una linea di continuità rispetto al resto dell’Italia e farebbe sentire anche meno “isolati gli isolani”.
“Attenzione: al Nord c’è l’alta velocità ma ci sono anche le reti del trasporto locale. Se quindi prima non si soddisfa la domanda di trasporto locale e interlocale non puoi giocare la partita dell’alta velocità. Qui il problema è che non riesci a dare una risposta alla densità di popolazione che deve spostarsi: per me questa è la prima sfida da vincere, visto che la cantierizzazione di queste opere genererebbe un indotto decisamente diffuso sul territorio, dove lavorerebbero le imprese locali a differenza dello Stretto, dove la filiera si accorcerebbe e avrebbe dinamiche diverse. Penso che ci sia una grande opportunità per la cantieristica meridionale. Non accetto il discorso ‘per tanto tempo ci hanno raccontato la favola del completamento delle infrastrutture locali e interprovinciali’ perché questa non è più una favola: deve essere un’esigenza”.

Però, scusi, a noi non interessa guardare solo allo sviluppo locale. A noi serve un’infrastrutturazione che permetta di attirare nei porti siciliani le merci che vengono dal Mediterraneo per poi trasportarle nei centri produttivi di tutta Europa.
“Perfetto. C’è qualcosa nel Pnrr sul potenziamento dei porti? No. La Vestager alcuni mesi fa ha scritto una lettera al Governo italiano – allora era in carica il Governo Conte II – per contestare la fiscalità di vantaggio del sistema portuale italiano, lo ha messo sotto monitoraggio: o paghiamo il gap oppure si avvierà un processo di privatizzazione dei porti italiani. In altre parole, la Commissione europea, stimolata dagli olandesi e dai tedeschi, ha contestato la fiscalità di vantaggio sui porti italiani perché lo Stato, essendo monopolista attraverso le Autorità portuali, gioca con una fiscalità diversa rispetto a quella dei competitor del Nord Europa. Quindi ci hanno contestato una concorrenza sleale ed è partita una procedura di infrazione per cui il Governo italiano deve chiedere all’Autorità portuale – che è senza soldi – di pagare gli arretrati, altrimenti si deve andare a gara”.

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