Giorgia, cavallo di Troia di Trump - QdS

Giorgia, cavallo di Troia di Trump

Giorgia, cavallo di Troia di Trump

sabato 19 Aprile 2025

Il primo incontro di molti altri

Lo scorso giovedì, alle 18 ora italiana (ore 12 di Washington), la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è stata ricevuta dal quarantasettesimo presidente degli Usa – eletto per la seconda volta – Donald Trump, alla Casa Bianca e poi nello Studio Ovale.
Trump ha atteso con un ampio sorriso la Meloni sulla soglia dell’edificio e dopo averla salutata cordialmente, l’ha accompagnata all’interno.
Queste visite hanno procedure rigorosissime, per cui i due sono passati da sale e salotti per finire nello Studio Ovale del Presidente, ove sono ricevuti i giornalisti attrezzati con tutto il materiale necessario a registrare l’incontro.

La conversazione fra i due Capi di Stato è avvenuta ovviamente in inglese, per cui vi sono state le condizioni per un incontro-contenitore cordiale, riportato urbi et orbi da tutti i media nazionali di ogni genere e tipo, compresi i quotidiani.
Ovviamente ogni informatore ha dato la propria interpretazione dell’incontro, per cui bisogna tentare di andare al di là della cortina creata per il Popolo.

Nessuno riesce a capire quale sia il disegno di Trump perché, con il suo fare istrionico e semiserio, non si capisce mai bene se quello che dice sia vero o meno, che cosa intenda e soprattutto dove voglia andare a parare. Una cosa però appare chiara: che questo incontro ha una funzione non solo esplorativa da parte della Meloni nei confronti di Trump e viceversa, ma è anche il punto di partenza per riannodare le fila fra le due sponde dell’Atlantico.

I reportage non hanno indicato l’intera serie di argomenti trattati, ma non sembra che le due guerre – quella in Europa e l’altra in Medio Oriente – siano state discusse prioritariamente. Sembra invece che si sia parlato innanzitutto di energia e di armi, che sono i due temi che stanno a cuore al Presidente americano, ovviamente senza arrivare ad alcuna conclusione appunto perché la missione è esplorativa.
Tuttavia, a voler guardare dietro la cortina di ciò che appare, si potrebbe intuire che Donald intenda usare Giorgia come cavallo di Troia per entrare nel cuore dell’Unione europea, la quale, così com’è, è piuttosto squinternata.

Trump sembra spesso Giano Bifronte: da un canto, liscia il pelo a Putin per cercare di chiudere quella guerra con una pace possibile e mantenere così la promessa fatta durante la campagna elettorale. Dall’altro, la sua intenzione si scontra con l’Ue, a guida francese e tedesca, cui si è aggiunta dall’esterno la Gran Bretagna, che invece appare guerrafondaia, pensando addirittura di mandare truppe in Ucraina nell’impossibile impresa di abbattere le forze armate russe.

Trump probabilmente intende entrare anche per altri versanti nel cuore dell’Ue, soprattutto su filoni economici, facendo il noto gioco delle tre carte, in modo da trarre il massimo vantaggio dai futuri scambi commerciali.
In questo disegno rientra la sua iniziativa di imporre dazi di alta percentuale a tutti i Paesi del mondo con la spiegazione poco credibile che servono a fare entrare più quattrini negli Stati Uniti; ma, contemporaneamente, non ne entrano sull’esportazione: quindi il conto si pareggia.

La Meloni ha ottenuto un buon risultato consistente nella conferma di una prossima visita di Trump a Roma, ovviamente visita di Stato e non di tipo amichevole o familiare.
La Presidente vorrebbe tentare il colpaccio di riunire a Roma i vertici dell’Unione europea, in modo da riprodurre ciò che avvenne nel 1957, quando si costituì a Roma l’Unione con le sei Nazioni fondatrici. Non sappiamo se questo disegno andrà in porto, però esso è ambizioso e se riuscisse potrebbe far ripartire un dialogo fra Stati Uniti e Unione europea.

Meloni ha portato in omaggio la promessa di spendere in armi il due per cento del Pil italiano, come dire oltre una quarantina di miliardi l’anno, sottintendendo che una parte di queste potranno essere comprate negli Usa.
Non si capisce, a livello europeo, a cosa possa servire tale spesa in più rispetto al bilancio 2025, visto che ancora non esiste un comando unificato che possa utilizzare tutte le risorse militari dei ventisette Paesi.

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