Il ministro intossica i cittadini. Più Stato in economia regola del fallimento - QdS

Il ministro intossica i cittadini. Più Stato in economia regola del fallimento

Carlo Alberto Tregua

Il ministro intossica i cittadini. Più Stato in economia regola del fallimento

venerdì 03 Gennaio 2020

Il nostro Paese ha ben 8.000 partecipate pubbliche, oltre tanti gruppi di società a partecipazione totale o parziale del ministero dell’Economia e delle Finanze. Alcune di queste ultime vanno molto bene e producono ricchezza e occupazione, nonché imposte. Spiccano le società energetiche. Altre invece perdono.
Poi vi è la più grande partecipata pubblica che è la Cassa Depositi e Prestiti, la quale amministra il risparmio postale stimato in una cifra di circa 300 miliardi. La Cdp, oltre ad avere una propria autonoma attività, viene anche adoperata dal Governo per inserirsi in questa o quella branca economica.
Da questo quadro emerge con grande chiarezza che il settore pubblico ha messo le mani in quello privato forse in maniera eccessiva. Non si capisce perciò la sparata dell’attuale ministro del Mef, il quale ha esclamato “Ci vuole più Stato”.
Evidentemente Roberto Gualtieri non ha grandi competenze in materia di macroeconomia, oppure è ancora impregnato nella errata ideologia comunista, che tanto danno ha fatto alle nazioni in cui dominava i popoli.

Le 8.000 partecipate pubbliche drenano enormi risorse perché sono quasi tutte in perdita, in quanto mal gestite. è noto a tutti come i dirigenti pubblici non abbiano competenze organizzative per raggiungere un grado di efficienza accettabile. Ragionano da burocrati, da chi lavora per lavorare e non per raggiungere obiettivi. Tanto che gli stessi non sono mai posti in prima linea quando si devono attuare progetti.
Salvo casi sporadici nei quali l’attività è svolta con proficuità, nella maggior parte dei casi delle partecipate pubbliche i risultati sono negativi e non realizzano servizi adeguati per i cittadini.
La questione in fondo non riguarda tanto se gli amministratori siano pubblici o privati, ma come si amministra, se si usano regole adeguate e competenti, oppure nessuna regola. Quando si parla con i dirigenti pubblici e si chiede se loro abbiano preparato il Piano aziendale prima di cominciare l’attività, sgranano gli occhi, non sapendo neanche di che si tratti. Ci sorprendiamo della loro sorpresa.
Ma poi la sorpresa non può essere prolungata perché ormai tutti sanno che dalla Pubblica amministrazione non ci si possono aspettare servizi efficienti, in quanto alla base non vi è la cultura del Merito e della Responsabilità, per cui ognuno può fare quello che vuole, tanto riceve lo stipendio puntualmente a fine mese a prescindere che abbia lavorato bene o male, che abbia raggiunto o meno gli obiettivi.
Sembra una tiritera quella che ripetiamo, ma abbiamo l’obbligo di tenere viva l’opinione pubblica sull’incapacità di quattro milioni di nostri dipendenti, quanti sono quelli pubblici, compresi quelli delle partecipate, per spiegare l’arretratezza del nostro Paese in termini di Pubblica amministrazione e relativi servizi, inclusi quelli sanitari.
Come può un ministro che abbia la vista normale su uno scenario di tal genere, esclamare che ci vuole più Stato? Se è proprio la Pa che non funziona dovrebbe esclamare: “Ci vuole meno Stato e più efficienza”.

Quello che scriviamo è sotto gli occhi di tutti: uno scenario senza più e senza meno; una fotografia nitida che molti commentano tutti i giorni anche sui media sociali.
La verità è che lo Stato deve formulare progetti poliennali di crescita e di sviluppo e altri progetti per la cura e il mantenimento del nostro fragile territorio, il sostegno alle attività produttive, lo sblocco effettivo di decine di migliaia di cantieri. Tutto questo creerebbe milioni di posti di lavoro e conseguente ricchezza con il pagamento delle relative imposte.
Fatti i programmi di sviluppo lo Stato deve poi affidarli al settore privato delle imprese che vanno controllate sul campo, effettivamente e non formalmente, come ha fatto il ministero delle Infrastrutture nel caso delle autostrade.
Affidarle ai privati ma a condizione di controllarne l’efficienza e l’ottima manutenzione in modo costante e concreto.
Dunque, meno Stato e più controlli effettivi, meno sperpero di risorse pubbliche e più produzione di utilità.
Possono farlo i veri statisti. Certo, peccato che manchino.

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