L’immagine di una sanità siciliana al collasso ha il volto della professoressa di Mazara del Vallo, Maria Cristina Gallo, 57 anni. In questi giorni la sua fotografia sorridente è apparsa sui giornali come simbolo di fallimento della sanità pubblica in Sicilia. La donna è deceduta alcuni giorni fa a causa delle metastasi che avevano devastato il suo corpo. Chissà che calvario fisico e interiore ha dovuto sopportare questa donna, tradita da una sanità pubblica che ha dimenticato il suo dramma, lo ha metabolizzato e già archiviato.
La professoressa l’anno scorso era stata la protagonista di uno degli scandali più dolorosi e incredibili che hanno caratterizzato la sanità siciliana negli ultimi anni, un settore che vive di luci e di ombre, con grandi professionalità e grandi disservizi. Quello che ha colpito la povera professoressa è uno dei più inaccettabili. Sottoposta nel 2023 a una esterectomia per l’asportazione di un semplice fibroma, aveva poi atteso otto mesi il referto istologico. Nel frattempo il tumore si era diffuso e così quando le è stato consegnato il referto ormai per lei era troppo tardi. La donna, però, prima che il suo destino fosse segnato, ha presentato una denuncia alla Procura per i ritardi nel referto e l’indagine successiva ha scoperchiato uno scandalo di proporzioni inimmaginabili, perché sarebbero migliaia i referti ancora non consegnati all’Asp di Trapani o mai consegnati ai pazienti che si erano sottoposti ad un intervento.
Oggi gli indagati per questa vicenda sono 19 tra medici e dirigenti dell’Asp di quel territorio. Un dramma senza nessuna scusante, che brucia ancora e che dimostra come in un mondo spietato come quello della sanità, che soltanto chi può permettersi una assistenza a pagamento spesso se la cava col minimo danno. Chi invece si affida al servizio sanitario pubblico rischia grosso. Il dramma di Maria Cristina non è soltanto umano, ma mette a nudo un sistema inefficiente che rischia di fare da spartiacque tra lo Stato e il cittadino e che al momento del processo dovrà mettere a nudo tutte le responsabilità che sono emerse che, ci si augura, vengano punite con provvedimenti severi. Ma il dolore per questa vicenda si è ulteriormente acuito solo alcuni giorni fa quando ai funerali della professoressa, in una cattedrale di Mazara gremita, non c’era un solo componente del governo siciliano. Né l’assessora alla Sanità Daniela Faraoni, né il presidente Schifani.
L’Odissea delle liste d’attesa
Partendo da questo episodio abbiamo fatto il punto su un’altra piaga del nostro sistema: quello delle liste d’attesa negli ospedali catanesi e siciliani. Sei mesi fa, nel marzo di quest’anno, sempre dalle pagine di questo giornale, avevamo appurato, numeri alla mano, che la situazione era davvero esplosiva. Da quello che emerge dai numeri aggiornati ad oggi non è che la situazione sia cambiata in senso generale e la problematica potrebbe entrare prepotentemente nel dato emerso dal ventesimo “Rapporto Meridiano sanità che european House-Ambrosetti” che ha riscontrato, ad esempio, che in provincia di Siracusa c’è una aspettativa di vita inferiore di tre anni rispetto ai cittadini di Trento che sarebbe bene approfondire per capire accuratamente le cuase.
I pronto soccorso sono ancora al collasso
Ma oltre al nodo liste d’attesa, i pronto soccorso sono ancora al collasso, le assenze croniche di medici sono ancora la normalità anche se negli ultimi mesi la situazione è migliorata. E poi ci sono le carenze di posti letto. Secondo uno standard nazionale ci vorrebbero negli ospedali 3,6 posti letto per mille abitanti per acuti e non. Ma l’assenza di personale costringe in Sicilia ad avere questo “range” al 2,5 per mille con molti pazienti che devono essere ricoverati, ma finiscono “parcheggiati” per giorni nei pronto soccorso. Sul nodo delle liste, in verità qualcosa si muove, ma siamo ancora in alto mare. Dopo il blocco della pandemia il servizio non si è più ripreso ed è sempre a un passo dal baratro di un collasso generale del sistema in una confusione generale che rende farraginoso il servizio tra pubblico e intramoenia. Inoltre spesso i medici sono impegnati per urgenze e non ci sono sostituti per gli ambulatori. E poi ci sono le discrasie causate da molteplici fattori, soprattutto dall’abitudine del cittadini di prenotarsi e poi non presentarsi senza avere disdetto l’appuntamento.
Se andiamo a osservare tempi e numeri delle liste d’attesa, che costringono molti cittadini a non potersi più curare, lo scenario è a dir poco desolante e riguarda tutti gli ospedali. Nessuno escluso. Ogni giorno numerosi siciliani che riescono a prendere la linea si sentono rispondere dagli addetti al call center dei Cup la tradizionale frase: “Buongiorno. La sua visita… è fissata tra tre, sei mesi…”. Ma talvolta questi tempi sarebbero più che tollerabili se paragonati a quelli per prestazioni strumentali come colonscopia, gastroscopia….. Nel frattempo i Nas stanno girando in molti ospedali della Sicilia per verificare se sono applicate regolarmente le norme per ridurre le scandalose attese.
Questo complesso meccanismo che già prima del Covid non funzionava adesso è diventato una macchina impazzita tanto che talora si insinua il sospetto di presunte concessioni verso la sanità privata. Le liste sono, comunque, terreno delle direzioni sanitarie che dovrebbero nominare un responsabile delle liste d’attesa per ogni azienda. Ogni ospedale dovrebbe avere, inoltre, un responsabile del Cup. Invece è una giungla e non si capisce chi ha realmente la responsabilità.
L’ultima disposizione della Regione
La Regione meno di un mese fa, il 4 settembre ha emanato una nota urgente a tutte le direzioni sanitarie dell’isola per disciplinare le nuove modalità operative di gestione delle prestazioni sanitarie di primo accesso classificate con U (urgenti) e B (brevi) che – dispone la nota – “devono essere assicurate entro i termini di legge, tre giorni per la classe U e dieci per la classe B come stabilità dal Piano nazionale Governo Liste d’attesa”. Quindi la nota decreta che “La gestione delle predette prestazioni U e B deve essere garantita anche dal privato acceditato contrattualizzato”. “L’adempimento qui assegnato – continua la circolare – dovrà essere svolto con l’immediatezza e comunque entro e non oltre l’1 ottobre, anche attraverso l’utilizzo di acessi straordinari”.
Da quello che emerge dalle aziende, ci sarebbe stato nei giorni scorsi una sorta di patto sinergico tra le varie aziende per ottemperare alle disposizioni e sembra che questo avverrà attraverso la creazione di ulteriori accessi ambulatoriali rispetto agli standard per smaltire le visite urgenti e brevi. Nell’ambito degli stessi ambulatori disponibili saranno erogate ogni giorno più visite di queste due categorie attraverso orari extra lavoro, che saranno poi pagate ai medici con fondi ad hoc. Il nuovo piano di smaltimento delle visite specialistiche urgenti dovrebbe scattare entro pochi giorni da adesso. Al Cannizzaro l’1 ottobre è stata fatta una delibera ad hoc per individuare gli operatori e gli ambulatori che saranno utilizzati. A livello informatico si stanno configurando le agende ed entro gli ultimi giorni di ottobre il grande ospedale catanese delle emergenze aprirà questo nuovo servizio.
Ma attenzione, stiamo entrando in un terreno molto scivoloso, quello di una possibile mancata risoluzione del problema liste d’attesa in senso generale. Lo spiega un medico che preferisce restare in anomimo: “Il problema è molto delicato. Con l’aumento delle visite, che va detto è un diritto del cittadino, giocoforza emergeranno numerose patologie aggiuntive a quelle già preesistenti che necessiteranno di un intervento chirurgico urgente o non. E queste persone, legittimamente entreranno nella lista dello smaltimento degli interventi chirurgici. L’assessorato regionale alla Salute e i suoi funzionari hanno in mente un piano per poi soddisfare questa nuova mole di interventi che verranno presi in carico?”.
I cittadini benestanti si rivolgono al privato
Il fallimento delle prestazioni pubbliche apre le porta all’efficienza delle strutture private che ovviamente gongolano. Ogni azienda è tenuta ad osservare le indicazioni regionali (D.A. n. 1220 del 30/06/2011) che prevedono la gestione delle visite in base alle seguenti classi: Codice “U”: priorità urgente entro 72 ore dalla prenotazione; Codice “B”: priorità breve entro 10 giorni; Codice “D”: priorità differibile entro 30 giorni; Codice “P”: priorità programmata entro 180 giorni. Secondo l’andamento delle prenotazioni prevalentemente viene rispettata solo la prenotazione delle ricette che riportano la dicitura “U”. Per il resto, soprattutto se si tratta di visite strumentali, ci sono tempi di attesa che non rispettano affatto le disposizioni di legge e possono raggiungere tempi non più tollerabili che spingono i cittadini che hanno urgenza – e che se lo possono permettere – a rivolgersi a pagamento in strutture private, oppure nella stessa azienda, ma in “intramoenia”, pagando per intero lo specialista.
La domanda è perché il settore pubblico non riesce ad uscire da questo “cul de sac”? La prima risposta è la mancanza di organizzazione che perdura da tanti anni e che alla fine favorisce il settore privato dove l’organizzazione non manca. In fondo se il pubblico non funziona il privato continua a incrementare i suoi guadagni. Prendiamo, ad esempio, i reparti di gastroenterologia che effettuano le colonscopie, screening caldeggiato dal ministero della Salute come prevenzione del tumore del colon retto, la seconda causa di morte per cancro nella penisola. Rispetto alle richieste i reparti pubblici che effettuano gastro e colon sono pochi. Tra l’altro il settore è una delle poche branche mediche che non ha accreditamenti esterni eccetto a Catania piccole quote per l’Humanitas Catania (dove a prezzo pieno ci vogliono 270 euro) e il policlinico Morgagni. Non esiste a Catania alcun centro privato convenzionato con il Ssn che effettua colon e gastro.
Quindi a fronte di una richiesta sempre in aumento non corrisponde un numero consono di centri per ridurre le liste d’attesa del pubblico, favorendo così i centri privati dove una colon chiedono non meno di 200-250 euro. Per un determinato numero di abitanti e una popolazione in prevalenza composta da cittadini al di sopra dei 40-60 anni ci vorrebbe un certo numero di colonscopie all’anno. Ma se a fronte di una richiesta le quattro aziende catanesi ne possono garantire molte meno appare evidente che le liste d’attesa in questo settore non saranno mai superate se non verrà disposto un incremento di reparti. di specialisti e di convenzioni. Quindi in alcun i settori siamo davanti a una offerta carente. Il secondo problema riguarda proprio la domanda e l’offerta. Perché nessun centro privato che effettua colonscopie è stato mai accreditato? Bisognerebbe capire cosa si nasconde dietro questo semplice meccanismo.
Terza questione il numero delle prestazioni. Un esempio per tutti. L’Asp di Catania ha 10 Tac nei vari ospedali e tre risonanze. E con i fondi Pnrr presto se ne aggiungeranno altre due. Riesce a fare in un anno un numero adeguato di esami? Inoltre la legge dispone che quando una azienda compra una nuova apparecchiatura, chi fa la richiesta deve garantirne l’uso congruo e il personale che lo deve far funzionare. All’Humanitas con minor numero di tac e di personale riescono a fare più prestazioni degli ospedali pubblici a parità di macchinari. Qual è il meccanismo che impedisce a questo sistema pubblico di funzionare? Possibile che tutto sia collegato solo alla carenza di medici? Si torna alla mancanza di programmazione. Anche la disposizione regionale che ordina ai direttori generali di diminuire i tempi sarebbe un grande bluff senza alle spalle una studiata programmazione dell’intero sistema.
Le possibili soluzioni alternative dei sindacati
“Purtroppo la coperta è sempre corta – spiega Raffaele Lanteri, segretario nazionale Ugl Università e ricerca -. Il problema delle Liste d’attesa non riuscirà a essere risolto soltanto con l’apertura di nuovi ambulatori, ma attraverso una rivoluzione culturale dei cittadini. Noi ogni giorno registriamo all’incirca il 10% delle prestazioni che saltano per assenza del paziente prenotato. Comprendo che chi si sente rispondere dal Cup: ‘La sua visita è fissata tra 6, 9 mesi’, intanto si prenota, ma una volta chiusa la conversazione si mette a cercare altrove. In questi casi dovrebbe scattare un meccanismo sanzionatorio per chi non si presenta alla visita, ma spesso queste persone sono a reddito basso o inesistente e qualora dovessero essere multati neanche pagheranno la sanzione. Bisognerebbe quindi studiare parallelamente all’incremento degli ambulatori, anche un meccanismo che consenta a chi decide di non presentarsi alla visita, perché magari ha trovato una soluzione altrove, una facilitazione del meccanismo di disdetta della prestazione. Non ci sarà quasi nessun paziente che è riuscito a trovare una soluzione alternativa che si metta al telefono per attendere talvolta anche un’ora e mezza che qualcuno gli risponda. Non spetta a me indicare la soluzione, ma se questo passaggio potesse essere effettuato attraverso le farmacie o soprattutto il medico di famiglia noi potremmo recuperare, nei grandi numeri, migliaia e migliaia di prestazioni all’anno. Infine quando parlo di rivoluzione culturale intendo dire che servirebbero messaggi divulgativi ad hoc per far capire al cittadino che se si salta una visita si impedisce a un’altra persone che soffre come lui di avere una prestazione in tempi ragionevoli…”.
G.S.
Palermo, una notte passata al Pronto soccorso
Anche sul fronte dei pronto soccorso Palermo pare abbia qualcosa da mettere a registro. Abbiamo seguito una necessità serale di intervento medico. Primo step la guardia medica, che ha giustamente indirizzato verso un pronto soccorso l’utente con una importante infezione a una mano. Importanza della grossolana diagnosi dedotta dall’indicazione del primo medico incontrato in pronto soccorso, presso quello del Distretto 9 dell’Asp di Palermo, che ha definito la condizione dell’utente ben poco rassicurante ed esternando il dubbio di un principio di necrosi.
Il consiglio, dopo il triage in sala d’attesa è stato di andare – subito e senza dormirci su – al pronto soccorso ospedaliero per esigenza di Chirurgia plastica a supporto. Il pronto soccorso dell’Arnas Civico Di Cristina Benfratelli, a Palermo, sembra la scelta migliore. Purtroppo non è così, perché in sala d’attesa il medico che vede l’utente e la sua mano sostiene la necessità manifestata dal precedente collega ed indirizza al pronto soccorso del Policlinico Giaccone perché al Civico “la chirurgia plastica c’è solo di giorno, la notte bisogna andare al Policlinico”.
Cambio, altra corsa ed altra fermata. Al pronto soccorso del Policlinico Paolo Giaccone c’é la sala “Accettazione – Triage”, ma in sala d’attesa ci sono come al Civico le guardie giurate che prendono i nomi dei sopraggiunti e li dettano a chi tiene lista dentro. Anche il pre triage, se così si può definire, è affidato in qualche modo alle guardie giurate e di medici o infermieri in sala d’attesa non se ne vedono per valutare la priorità ancora prima di assegnare un codice.
Dopo svariate ore, malgrado sia la sera della partita della nazionale e di un brusco temporale che avranno presumibilmente dissuaso quanti accedono al pronto soccorso per malesseri da guardia medica al massimo, finalmente l’accesso alla sala triage in cui un medico, senza tanto osservare la parte dolente dell’utente suggerisce di tornare alle 7:30. Chirurgia c’é? Si, ma di notte per questo … Ma al mattino “questo” sarebbe divenuto urgente. Nessun intervento per ciò che altri avevano definito necessario di pronto soccorso con chirurgia plastica. (M.S.)
Il Cup? È ancora “un’incompiuta”
L’articolo 41 del decreto legislativo n.33/2013 obbliga le aziende sanitarie e le strutture accreditate a pubblicare e aggiornare costantemente i dati sui tempi d’attesa previsti e i tempi medi effettivi di attesa per ciascuna tipologia di prestazione erogata. Ma fino a poco tempo fa, il mancato rispetto della norma è la “regola” nella maggior parte del territorio nazionale, come abbiamo provato in una nostra inchiesta dell’estate 2024.
Tutti i nodi vengono al pettine, in tempo di crisi e pandemie: tra le novità del decreto legge sulle liste d’attesa del luglio 2024 – finalizzato smaltire le code dei pazienti in attesa di prestazione sanitaria – ha introdotto una piattaforma nazionale per le liste, l’istituzione di un organismo di verifica e controllo nazionale, le visite di controllo nel fine settimana, l’obbligo degli erogatori pubblici, dei privati accreditati e ambulatoriali di afferire al Centro unico di prenotazione.
Eppure non esiste ancora un canale unico per le prenotazioni. Così, chi chiama al Cup o accede ai servizi di prenotazione online può pensare che i dati forniti siano esaustivi dell’offerta formativa di tutto il territorio provinciale. Invece, per avere un quadro completo, i cittadini devono rivolgersi al Cup, al SovraCup regionale e ai centralini delle singole strutture. Ciò comporta non solo una grande difficoltà nel rendersi conto delle disponibilità reali, ma anche nel provare l’inefficienza del Ssn per rivolgersi al privato, pur contando sul rimborso delle strutture pubbliche.
Intanto, come confermato dall’ottavo Rapporto Gimbe, la Sicilia è la penultima regione nella classifica degli adempimenti dei livelli essenziali di assistenza, seguita solo dalla Valle d’Aosta. Male anche il fronte trasparenza: non tutti i siti web delle aziende sanitarie pubbliche e accreditate riportano i dati sulle liste d’attesa nella sezione dedicata, nonostante l’obbligo vigente dal 2013, ribadito dal Pngla 2019-2021 e dal successivo Pngla 2025-2027.
I.Z.
Malasanità, Azione chiede il commissariamento dell’Isola. Calderoli: “No, fatti progressi”
“Non posso che dolermi per la drammatica vicenda di malasanità che ha portato al decesso di una donna, lo faccio come uomo, come politico, come medico e ahimè come paziente oncologico. Esprimo la sentita vicinanza del governo e la solidarietà mia personale alla famiglia. Io stesso ho subito, in altra Regione, una vicenda dai contorni analoghi. Tutti noi, a tutti i livelli di governo, ci dobbiamo impegnare affinché tali casi, per fortuna isolati, non abbiano a ripetersi mai più” . Lo ha detto il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, rispondendo nel corso del Question Time della Camera a un’interrogazione di Azione sull’eventuale esercizio dei poteri di cui all’articolo 120 della Costituzione nei confronti della Regione siciliana, ai fini della tutela dei livelli essenziali delle prestazioni.
“Con riferimento al caso richiamato, risulta che il direttore generale dell’Asp di Trapani si sia dimesso e che sia in corso un procedimento penale che chiarirà le eventuali responsabilità della struttura e personali. Circa le iniziative assunte dalla Regione Siciliana, l’amministrazione regionale ha informato che, appena venuta a conoscenza del ritardo diagnostico, si è subito attivata per risolvere tale criticità e ha avviato un’indagine interna, che ha portato all’adozione delle conseguenti azioni”, ha aggiunto. “Segnalo, inoltre, che il Ministero della Salute aveva già tempestivamente disposto l’avvio di un’ispezione sul territorio, per verificare la gestione effettiva del campione di anatomia patologica dal prelievo fino alla consegna del referto. All’esito dell’iniziativa, la Regione Siciliana è stata invitata a porre in essere azioni correttive delle criticità rilevate, articolate su più livelli e ambiti prioritari, e a fornire un riscontro al Ministero”.
“Quanto all’attivazione dei poteri sostitutivi di cui all’articolo 120 della Costituzione, chiesta dagli interroganti, rilevo che, pur in un quadro che mostra criticità nelle altre due aree di assistenza, la vicenda richiamata afferisce ad un’area, quella ospedaliera, che, sulla base dell’ultimo monitoraggio dei Lea, registra un progresso costante degli indicatori monitorati e punteggi superiori alla soglia di sufficienza. In tale contesto, pertanto, il drammatico ma episodico fatto in questione non può costituire elemento per l’esercizio dei poteri sostitutivi”, conclude Calderoli.

