In dieci anni in Sicilia più part-time e crollo del monte ore lavorate - QdS

In dieci anni in Sicilia più part-time e crollo del monte ore lavorate

Serena Giovanna Grasso

In dieci anni in Sicilia più part-time e crollo del monte ore lavorate

venerdì 24 Gennaio 2020

Cgia di Mestre: nell’Isola lavoratori a tempo parziale passati dai 154 mila del 2008 ai 220 mila del 2018. La nostra regione seconda in Italia per riduzione percentuale di ore lavorate (-12,4%, -300 mln di ore)

PALERMO – Meno ore lavorate e più dipendenti part-time: questo è il triste slogan che risuona inalterato in Sicilia e più in generale in tutte le regioni meridionali. Secondo i dati contenuti all’interno del report dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, in dieci anni il numero di dipendenti a tempo parziale in Sicilia è cresciuto del 42,6%: infatti, si è passati dalle 154 mila unità del 2008 alle 220 mila del 2018 (+66 mila), un incremento percentuale superiore rispetto a quello registrato mediamente a livello nazionale (+40,2%).

Sono tutte meridionali le prime quattro regioni con il tasso di precarizzazione più sostenuto a livello nazionale: nel dettaglio, si tratta di Campania (+68,6%, dai 132 mila del 2008 ai 222 mila del 2018), Calabria (+66,7%, da 55 mila a 92 mila), Puglia (+62,3%, da 116 mila a 189 mila) e Basilicata (+57,3%, da 16 mila a 25 mila).

In generale, il numero di dipendenti a tempo parziale nei dieci anni in questione è aumentato in tutte le regioni italiane, nessuna esclusa. Ad ogni modo, nelle regioni centro-settentrionali l’incremento percentuale è stato ben più contenuto rispetto a quanto si è verificato nel Mezzogiorno: in particolare, Veneto (+12%), Umbria (+22,8%) e Marche (+26%) sono state le regioni con l’incremento percentuale più basso a livello nazionale nel decennio in questione.

Quanto alle ore lavorate, la Sicilia è la seconda regione in Italia per decremento percentuale più sostenuto: infatti, nel decennio oggetto di analisi, nell’Isola il numero di ore lavorate è passato da poco più di 3 miliardi a 2,7 miliardi (ovvero, 375 milioni di ore in meno, corrispondenti al 12,4% in meno, oltre quattro punti percentuali in meno rispetto al decremento medio italiano pari al -7%). Un decremento percentuale superiore si osserva solo in Molise (-12,5%, da 224 milioni di ore a 197 milioni). Naturalmente, anche in questo caso, le peggiori performance si registrano nelle regioni meridionali: infatti, i primi cinque posti della classifica sono occupati da regioni del Mezzogiorno; dopo Molise e Sicilia troviamo Campania (-12,3%), Basilicata (-11,1%) e Sardegna (-10,9%).

Anche stavolta, il peggioramento della situazione ha interessato tutte le regioni italiane, con effetto più contenuto nelle realtà centro-settentrionali: infatti, agli ultimi posti della classifica troviamo il Trentino Alto Adige (-1,1%), Lazio (-2,9%), Lombardia (-4,8%) e Veneto (-4,9%).

Complessivamente a livello nazionale il monte ore lavorate è crollato di 2,3 miliardi. Secondo, la Cgia di Mestre a patire di più di questa condizione sono stati i lavoratori autonomi: infatti, mentre i lavoratori dipendenti tra il 2008 e la fine del 2018 hanno registrato una contrazione delle ore lavorate pari a 121 milioni (-0,4%), i lavoratori autonomi hanno perso quasi 2,2 miliardi di ore (-14,4).

“Sebbene dal 2015 il monte ore lavorate sia tornato a crescere – dichiara Paolo Zabeo, il coordinatore dell’Ufficio studi – il gap con il livello pre-crisi è ancora fortissimo e a pagare il conto sono stati, in particolar modo, gli artigiani e i piccoli commercianti. In questi ultimi dieci anni, infatti, il numero complessivo di queste piccole attività di vicinato è diminuito di 200 mila unità. Chiusure che hanno desertificato molti centri storici e altrettante periferie di piccole e grandi città, con una veemenza che dal secondo dopoguerra non si era mai verificata”.

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