Italia: grande Paese, ma con nani e ballerine - QdS

Italia: grande Paese, ma con nani e ballerine

Carlo Alberto Tregua

Italia: grande Paese, ma con nani e ballerine

martedì 07 Dicembre 2021

Il Popolo scelga meglio i politici

Il non dimenticato Rino Formica, ministro delle Finanze durante il Governo Craxi, era un forte critico della classe politica dell’epoca (siamo negli anni Ottanta), costituita da membri che definiva sovente come “nani e ballerine”. Una frase signorile dal significato sprezzante. Per questo era inviso ai suoi colleghi e in genere a tutti coloro che si sentivano colpiti da quella definizione.

Poi, nel ‘94, i vecchi partiti andarono in soffitta, emerse l’imprenditore Silvio Berlusconi col suo “Contratto con gli italiani” e lo scenario mutò perché i cittadini erano stufi degli altarini e delle stucchevoli commedie che avevano portato l’Italia a quel punto (ricordiamo l’enorme inflazione e l’aumento del debito pubblico) e speravano in una nuova era.

Così non fu perché il cavaliere Berlusconi, detto il Dottore dai suoi collaboratori, nonostante disponesse di un’enorme maggioranza, non ebbe la capacità di fare quelle riforme strutturali che avrebbero messo in moto l’economia adeguatamente.


Ma neanche l’altra parte, di cui fu protagonista Achille Occhetto con la famosa “macchina da guerra”, e successivamente Romano Prodi (venuto come Presidente della Commissione Europea al nostro forum pubblicato il 19 febbraio 2003) con il suo “Ulivo” riuscì a fare le necessarie riforme strutturali.

Pierluigi Bersani, allora ministro dello Sviluppo economico, ci provò con delle riforme timide, che lui chiamò “Lenzuolate”. Cosicché l’Italia si ammalò di riformite senza riforme e restò il vecchio Paese attardato sulla strada dello sviluppo e del progresso che guardava avanti in modo miope senza riuscire a vedere il futuro.

Risultato di quanto precede è lo scarso incremento del Pil negli anni successivi fino al 2019 e il vertiginoso aumento del debito pubblico per effetto di un’economia assistenziale, miope e corrotta.
Nonostante ciò, l’Italia rimane un grande Paese, che racchiude tesori di ogni genere e il maggior numero al mondo di riconoscimenti Unesco. Però, d’altro canto, metà di esso non è infrastrutturato e soprattutto “gode” di una burocrazia che ancora segue leggi dell’anteguerra e il Codice civile del 1942, seppure aggiornato.

Nessun ministro della Pa è riuscito a riformarla perché non ha avuto la forza etica e politica di cambiare i suoi perversi meccanismi e la totale disorganizzazione.

L’attuale ministro della Pa, Renato Brunetta – che ebbe lo stesso incarico nel 2008 – è immobilizzato come lo era allora, con la conseguenza che la macchina pubblica, dotata di 3,2 milioni di dirigenti e dipendenti, costituisce una palla al piede dell’intero Paese.

Senza una burocrazia efficiente, organizzata secondo i più moderni criteri, totalmente digitalizzata, di cui si controllano i risultati ragguagliati agli obiettivi, premiando e sanzionando i dirigenti responsabili, sarà impossibile qualunque evoluzione.

In queste ultime settimane, sentiamo notizie trionfalistiche relative alla crescita del Pil del 2021, che si dovrebbe attestare intorno al 6,4 per cento. Il dato è vero, ma non è reale perché tale indice del Pil è raffrontato con quello del 2020, quando l’Italia era chiusa di fatto. Ma se si va a guardare il dato del 2019, ci si accorge che la crescita è modesta, inferiore a quella media europea.


L’Italia, ripetiamo, è un grande Paese per la sua cultura, per le sue tradizioni, per i suoi geni, riconosciuti in tutto il mondo, però fa scappare via i nuovi potenziali geni che vanno in altri Paesi dove sono valorizzati adeguatamente e quindi sottraggono all’Italia intelligenze formidabili.
Ciò accade perché, ecco un altro grave difetto, nel nostro Paese e nel Mezzogiorno in particolare, vince la cultura del favore, secondo la quale non vanno avanti i più meritevoli, ma quelli che appartengono alle caste, alle “famiglie” e alle organizzazioni criminali.

Il peggio del quadro che delineiamo riguarda la classe politica, la cui ignoranza generica mai si era vista prima del 4 marzo 2018, quando sono approdati agli scranni parlamentari gli ignoranti, i disoccupati, i nullafacenti e tanti altri non certo meritevoli di diventare classe dirigente, fra cui ministri e sottosegretari.

Il Popolo allora scelse male perché fu drogato da una comunicazione falsa. Ci vogliamo augurare che la cultura popolare cresca, in modo che alle prossime elezioni politiche riesca a scegliere il meglio dei cittadini, cioè coloro che devono essere una vera classe dirigente.

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