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sabato 31 Luglio 2021

È estremamente difficile parlare, immaginare, progettare un futuro se si salta la fase del presente e si rimane costantemente con lo sguardo rivolto all’indietro

Abbiamo pubblicamente discusso da poco con il Prof. Maurizio Carta di Futuro. Il tempo è scandito da tre parole fondamentali passato, presente e futuro. È estremamente difficile parlare, immaginare, progettare un futuro se si salta la fase del presente e si rimane costantemente con lo sguardo rivolto all’indietro.

Questa è sostanzialmente la condizione in cui si trova la Sicilia. Ovviamente un’isola grande come questa ha al suo interno delle piccole isole felici, con una proiezione avanzata. Ma sono come le piccole macchie maculate del gattopardo che di fatto siamo. L’isola ha rotto la fune che l’agganciava al contemporaneo. L’architettura potrebbe essere guida per capire questo fenomeno di distacco temporale.

Per esplicitare questo concetto faccio l’esempio di una significativa e bellissima città siciliana Siracusa. La città di Archimede ai tempi dell’ellenismo era potentissima e fulgida, era la punta di tendenza di quello che allora era contemporaneo. Siracusa era la New York di quel periodo ed Ortigia era Manhattan. Nel periodo del Barocco, che esprimeva un’architettura di tendenza, Siracusa, la Sicilia, L’Italia erano fiorenti di esempi barocchi. Si pensi a tutta la Val di Noto. Eravamo contemporanei.

Prima della seconda guerra mondiale il mondo dell’architettura da Basile a Loyd Wright era un fluorilegio di scuole e di immaginazione di pensiero. La Sicilia e Siracusa erano nel solco della Storia. Faccio l’esempio di corso Matteotti ad Ortigia che rappresentava perfettamente lo spirito del ventennio. Poi è come se Siracusa, la Sicilia più dell’Italia, abbiano rotto l’ancora che li agganciava al contemporaneo.

Certo ci sono state tracce, soprattutto nell’edilizia popolare, di un’architettura razionalistica di stampo quasi sovietico come la Madonna delle Lacrime nella parte nuova di Siracusa o lo ZEN di Palermo progettato da Gregotti. La Sicilia con scrittori, artisti, musicisti, come Sciascia, Bufalino, Guttuso cercava con le unghie e con i denti fino ai primi anni 70 di essere nel mood del mondo. Di accendere radio Londra e capire la contemporaneità.

Poi un buio della coscienza collettiva, di rintanamento in
un piccolo mondo autarchico. Come Nanni Moretti nel suo film d’esordio.

Le cause? Il Prof. Carta mi ha fatto riflettere che la norma
Urbanistica voluta nel 1978 da Mattarella aveva sottratto, a causa della
preponderante presenza mafiosa nelle costruzioni, la partecipazione è la
visibilità dei piani regolatori. Venivano chiusi e resi inaccessibili, o quasi,
dai burocrati nei cassetti. Impedendo la partecipazione degli ordini
professionali, dei portatori di interessi legittimi, dei cittadini in forma
associata al dibattito sullo sviluppo delle città.

Il piano regolatore di Palermo di cui si fantastica da anni
è formulato con questa impostazione di paurosa segretezza. La Mafia potente
degli anni 70,80 e 90, per merito dell’azione dello Stato risvegliatosi, è in
declino ma la portata di quegli effetti è presente nel nostro modo di
affrontare il mondo.

Palermo ne è il massimo esempio. Una città chiusa, con cinte
murarie immateriali, ferma agli anni 80 per paura della modernità e di un
global in cui non trova il suo ruolo. Come una diva del cinema sul viale del
tramonto.

La Sicilia deve uscire dal suo piccolo mondo autarchico e lo può fare solo con una nuova generazione, non sufficientemente intrisa da errori e paure. Deve rientrare nel contemporaneo se vuole un futuro.

Giovanni Pizzo

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