Inchiesta

La crisi delle imprese? Inizia dalla scuola. Istruzione inadeguata a preparare al lavoro

Passano gli anni ma il fenomeno dell’abbandono scolastico continua a rappresentare un grosso problema in Italia. Nel 2018, la percentuale di abbandono tra i giovani in età compresa tra 18 e 24 anni è stata del 14,5 per cento, il che significa circa 598 mila giovani. Un problema che si presenta con una doppia faccia. Da una parte pesa sulle spalle degli stessi studenti che lasciano gli studi, concorrendo ad aumentare la disoccupazione giovanile, il rischio povertà ed esclusione sociale; dall’altra pesa sulle aziende che, anche per colpa della denatalità, nei prossimi anni rischiano di non poter contare su nuove maestranze sufficientemente preparate.

Si tratta di dati che emergono da numerose statistiche, non ultima quella dell’ufficio studi della Cgia. Emerge che una persona che non ha un livello minimo di istruzione è in genere destinata per tutta la vita ad un lavoro dequalificato, precario e con un livello retributivo molto basso, rispetto a quello cui potrebbe aspirare, almeno potenzialmente, se possedesse un titolo di studio medio-alto.

Una situazione che come una catena provocherebbe un recesso dell’intero Paese. Molto si potrebbe fare perché si conoscono le cause del problema, sono le disuguaglianze sociali, culturali ed economiche. Chi proviene da ambienti svantaggiati ha maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima di aver completato il percorso di studi. Secondo la Cgia c’è anche un fattore di genere: ad abbandonare precocemente la scuola sono più i maschi che le femmine.

Il problema è in calo in tutta Europa di circa il 5 per cento e l’Italia rientra in questi numeri segno che il problema è in calo anche nel Belpaese, ma a fronte di una media Ue dell’11 per cento, l’Italia è dietro. I numeri la collocano al terzo posto tra i 19 Paesi dell’area dell’euro e il dato preoccupante è che a fronte di una tendenza al ribasso dal 2008 al 2016, nel 2017 e nel 2018 gli abbandoni hanno ripreso a crescere. Peggio fanno solo Malta (17,4 per cento) e Spagna (17,9 per cento) che però hanno grossi numeri di decremento del fenomeno, rispettivamente 8,9 e 13,8.

Il Paese che sin dal 2008 conta meno abbandoni è la Slovenia. È passata dal 5,1 per cento al 4,2 del 2018 con una riduzione di quasi un punto percentuale. Segue la Lituania, anch’essa stabile al secondo posto dal 2008. Nell’arco temporale analizzato ha anche fatto meglio della Slovenia riducendo il dato di quasi tre punti percentuali.

Le differenze ci sono anche all’interno degli stessi Paesi e per l’Italia il problema è più rilevante al Sud. D’altra parte numerosi studi, come quelli di Bankitalia o Eurispes, sottolineano come le difficoltà economiche e sociali sono evidenti soprattutto nelle regioni meridionali, anche e soprattutto a causa dei minori trasferimenti statali e delle minori politiche sociali in questi territori.

Fanalino di coda è la Saredegna con il 23 per cento dei giovani che ha lasciato la scuola prima del conseguimento del titolo di studio e un aumento dello 0,5 per cento dal 2008 al 2018. Seguono la Sicilia con il 22,1 per cento (che in dieci anni ha comunque ridotto il dato di 4,1 punti percentuali e la Calabria con il 20,3. Qui, secondo la studio Cgia, la situazione è più preoccupante che altrove dato che la tendenza è opposta a quella del resto del Paese. Gli abbandoni aumentano invece che diminuire, negli ultimi 10 anni dell’1,8 per cento.

La Valle d’Aosta è la regione che ha saputo ridurre di più il gap passando dal 26,1 per cento del 2008 al 15,2 del 2018, una riduzione di quasi 11 punti percentuali. Secondo i dati Cgia è il Nord-Est l’area che soffre meno di questo fenomeno con Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia (entrambe con l’8,9 per cento), ma sono l’Abruzzo (8,8 per cento) e l’Umbria, con il suo 8,4 per cento, le regioni in cui si soffre meno il fenomeno.

Gli abbandoni sono solo la punta dell’iceberg perché, come detto, non studiare e dunque non prepararsi, soprattutto non specializzarsi, ha delle conseguenze nel mondo del lavoro.

Secondo le indagini di Unioncamere e Anpal, sarebbero stati oltre 1 milione i posti di lavoro di difficile reperimento nel 2018 a causa del disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro. Insomma, è come dire che mondo scolastico e mondo lavorativo non solo non dialogano, percorrono strade diverse e spesso non si incontrano.


Le azioni messe in atto dall’assessore regionale all’Istruzione, Roberto Lagalla

La situazione degli abbandoni scolastici in Sicilia è in corso di miglioramento ma c’è ancora molto da fare. Abbiamo quindi chiesto all’assessore regionale all’Istruzione, Roberto Lagalla, quali azioni ha messo in campo e cosa intende fare nel prossimo futuro. Lagalla fa riferimento al recentissimo Piano di intervento nazionale per la riduzione dei divari territoriali in istruzione. Un piano governativo che punta ai territori più svantaggiati con l’obiettivo di contrastare la povertà educativa e che parte proprio dalla Sicilia.

“L’obiettivo del Piano di intervento proposto dal Ministero dell’istruzione è quello di monitorare la situazione con analisi precise sulle problematiche connesse ai livelli di apprendimento dei ragazzi e quindi predisporre un ‘Repertorio di interventi’ dal quale le scuole potranno individuare quelli più idonei al proprio contesto”. Non solo. Anche gli ultimi dati Invalsi sui livelli di apprendimento confermano una situazione ancora particolarmente complessa soprattutto per la Sicilia. Su 520 scuole monitorate, 219 (42,2 per cento) sono da definirsi “scuole in difficoltà” e 59 “scuole in forte difficoltà” (11,3 per cento).

“Su questo dato abbiamo già iniziato a lavorare lo scorso anno, dando alle scuole risorse e strumenti per potenziare le competenze di base con attività didattiche pomeridiane ed extracurriculari ed intervenendo massicciamente sul fronte dell’edilizia scolastica. Anche l’ambiente nel quale si svolge il percorso didattico degli alunni, infatti, incide in modo significativo sul rendimento complessivo. In questa direzione continueremo a lavorare potenziando in modo particolare il tempo pieno scolastico per contrastare anche il fenomeno della dispersione scolastica, ancora particolarmente presente soprattutto in alcune province”.

Inoltre Lagalla spiega che ci sono in campo iniziative anche per il passaggio dalla scuola superiore all’università. “Stiamo puntando sull’apprendistato di primo livello che, nell’ultimo biennio, ci ha permesso di siglare oltre 900 contratti”. Un passaggio considerato importante per il contrasto al disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, quindi tra la ricerca di professionalità e la mancanza di competenze specifiche. Il riferimento è al progetto Giovani 4.0, ancora in corso.

“Stiamo promuovendo l’alta formazione, finanziando Master e corsi di specializzazione, e l’acquisizione di skills utili all’inserimento lavorativo: corsi di lingua, patenti, licenze e brevetti”, spiega l’assessore regionale all’Istruzione. A tutto questo va aggiunto il bando regionale appena pubblicato “attraverso cui la Regione Siciliana si impegna a supportare le imprese attraverso un processo di formazione e aggiornamento professionale che vedrà tanti giovani impegnati prima in attività formative e poi in un tirocinio, al termine del quale, per alcuni di loro (il 25 per cento), seguirà direttamente l’assunzione in azienda. Si tratta di un’azione sperimentale per la Sicilia alla quale auspico possano partecipare il maggior numero possibile di aziende per dare ai nostri giovani importanti opportunità professionali”, afferma ancora Roberto Lagalla.


Le esperienze dei presidi Egidio Pagano e Francesco Musarra

Cercare di mettere insieme il mondo scolastico e quello lavorativo è l’obiettivo dichiarato dal preside Egidio Pagano che guida gli istituti Marconi e Mangano di Catania. Il primo è un istituto tecnico, il secondo un profesionale. “Vogliamo fare in modo che i ragazzi, già in corso d’opera, abbiamo contatti con le aziende così da acquisire competenze e avere stimoli in più” afferma Pagano. “La scuola non è solo nozionistca, ma serve a potere immettersi nel mondo del lavoro”.
Anche gli ambiti di riferimento seguono questo obiettivo così gli studenti studiano, quanto più possibile, ciò che serve alle imprese, come informatica, robotica, realtà virtuale. “Cerchiamo di curvare i nostri programmi alle necessità d base dell’impresa senza legarci in modo specifico a loro”, spiega Pagano. La dispersione scolastica è più evidente nell’istututo professionale “per questo il nostro impegno è ancora maggiore”.

Il preside sta puntando sulla moda, settore di studio alla Mangano. “Sto provando a collegarci a imprese del territorio e fare attività che trasformino la teoria in pratica. Abbiamo un accordo con i burattinai fratelli Napoli per cui i nostri ragazzi disegneranno e cuciranno i vestiti dei pupi”.

Anche a Ragusa, al liceo scientifico Enrico Fermi guidato dal preside Francesco Musarra, che conta poco meno di milla studenti, si fanno attività per mettere in relazione scuola e lavoro nonché attività di recupero sia durante l’attività didattica che nel pomeriggio. “Abbiamo diverse iniziative sin dal momento in cui incontriamo le famiglie per l’iscrizione”. Ci si dedica anche alla musica con un’orchestra interna all’istituto, ma ci sono anche diverse convenzioni per sviluppare le attività sportive. “Utilizziamo le diverse strutture in città e tante attività sono legate all’alternanza scuola lavoro, gli assi culturali e così via”.