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La “disruptive innovation”

La “disruptive innovation”

Negli ultimi 20-30 anni, si è investito molto poco nella innovazione di rottura

continua dal QdS dell’11/6/2025

Clayton Christensen, dell’Harvard Business School, inventore del concetto di “disruptive innovation” (innovazione di rottura) sviluppato nel 1997 e molto ascoltato da Steve Jobs, Bill Gates, Andrew Grove, Michael Bloomberg, ha attributo la crisi al fatto che in Europa e America, negli ultimi 20-30 anni, si è investito molto poco nella innovazione di rottura e ciò è, in parte, da ricondurre al modo “in cui i professori di finanza nelle business school insegnano a valutare gli investimenti. Usano parametri come l’Internal rate of return, che incentiva la ricerca di guadagni veloci, o come il Return on net assets, che mette in relazione i profitti con il patrimonio netto di un’azienda e può essere aumentato diminuendo gli asset con l’outsourcing. Altri modi più giusti che promuovono l’innovazione di rottura guardano per esempio all’aumento della quota di mercato di un prodotto”.

Un altro importante e inquietante pentimento è stato quello di Sandy Weill, il banchiere che quindici anni fa aveva trasformato Citygroup nel primo grande supermercato finanziario d’America, che poi si accartocciò sulle sue super dimensioni. In una intervista a Cnbc ha dichiarato: per difendere i soldi dei contribuenti “dovremmo separare l’investment bank dal banking, avere banche che prendono depositi, fanno prestiti commerciali e immobiliari e che non siano troppo grandi per essere lasciate fallire”. Esattamente quello che, quindici anni fa, dicevano i pochi grilli parlanti inascoltati. Meglio tardi che mai, anche se il mito greco insegnava che colui che capisce sempre dopo, come Epimeteo, non capisce mai. La cosa più sorprendente di questa vicenda è vedere che Sandy Weill è ancora presidente, sia pur onorario, di City Corp.

Ma, forse, l’intervista più interessante in materia e più in sintonia con quello che dicevano le nostre lezioni di quindici anni prima l’ha rilasciata Henry Mintzberg nel 2003. Dice Mintzberg: “Il problema non è Enron. Enron è solo un caso di corruzione illegale. Il vero problema è la corruzione legale. È la corruzione dei manager… Ci sono troppi manager mercenari, che gestiscono le società solo per quello che loro pensano essere il beneficio degli azionisti e a esclusione di ogni altro. Le imprese sono istituzioni sociali. Se esse non svolgono attività utili alla comunità, esse non hanno diritto di esistere… Non è vero che l’idea che le imprese devono servire primariamente ed esclusivamente i propri azionisti è diventata di generale accettazione. È un fenomeno anglosassone. Nonostante le pressioni esercitate su di loro i tedeschi ed i giapponesi non credono che le imprese debbano essere guidate solo e primariamente dal principio della massimizzazione del valore per gli azionisti. La Germania ha cambiato solo molto poco in questa direzione. E il Giappone altrettanto… Ma le società americane sono politicamente troppo forti perché qualcuno possa esercitare sulle stesse un freno significativo… Una grande parte del management è fuori strada. Un gran parte della formazione manageriale è fuori strada”.

Ma ci vorranno le sofferenze portate dalle crisi dei primi venti anni del 2000 per avere la riprova definitiva. Fu una specie di autocritica che venne proprio dai centri di pensiero e di potere che erano stati il cuore della dottrina del “shareholder value”.

continua…