La pandemia manda in fumo il Pil della Sicilia, quasi sette i miliardi bruciati per colpa del virus - QdS

La pandemia manda in fumo il Pil della Sicilia, quasi sette i miliardi bruciati per colpa del virus

Pessina Raffaella

La pandemia manda in fumo il Pil della Sicilia, quasi sette i miliardi bruciati per colpa del virus

venerdì 10 Luglio 2020

Defr 2021-23, alla fine dell’anno scenderà da 86,2 a poco più di 79 miliardi di euro: “Grave arretramento che si aggiunge al mancato recupero del calo prodotto dalla precedente crisi”. La ricchezza prodotta nell’Isola non vale neanche un quinto di quella prodotta dalla Lombardia: tra il 2016 e il 2018 siamo cresciuti di 270 milioni, loro di 10 miliardi. Una possibile svolta con il Ponte sullo Stretto

Con una crisi economica dietro l’altra, sono anni che la Regione Sicilia “arranca” pericolosamente e adesso rischia di confermarsi la più depressa d’Italia. E rispettando il detto “piove sul bagnato”, l’emergenza sanitaria legata alla pandemia ha aggravato la situazione producendo sull’economia della nostra Isola effetti deleteri che vanno ad aggiungersi alle difficoltà di recupero della caduta del Pil subita fra il 2008 e il 2014 (-14,9%).

Per il 2020 è attesa una sonora batosta. Il Defr 2021-23 contiene previsioni tutt’altro che rosee: il Pil Sicilia valeva 86,2 miliardi nel 2018 (valore al netto dell’inflazione). Nel 2019 scenderà a 86,11 miliardi (- 0,1%) e nel 2020 perderà -7,8% , scenderà cioè a 79,3 miliardi, perdendo la bellezza di 6,7 (miliardi).
“Si tratta di un grave arretramento – si legge nel documento – che si aggiunge al mancato recupero del calo prodotto dalla precedente crisi”.

La crisi in Sicilia si riflette sull’occupazione i cui dati sono evidenziati, rilevando un grave decremento (la rilevazione registra in Sicilia 1 milione 320 mila occupati, in flessione congiunturale del 4,8% rispetto al trimestre precedente a fronte di una contrazione dell’1,3% a livello nazionale). Situazione che si è ulteriormente aggravata con il lockdown per il contenimento della pandemia.

“Per invertire la tendenza sono necessari sostegni finanziari efficienti e tempestivi nell’immediato – viene scritto nella premessa del documento – proprio per far fronte agli effetti più devastanti e paralizzanti della chiusura delle attività e della vita sociale, ma sopratutto investimenti che rimettano in moto l’economia regionale che corre il rischio di avvilupparsi in una sindrome depressiva”.

La spesa per gli investimenti era già diminuita sensibilmente dal 2008 a causa delle imposizioni del Patto di stabilità, posizionando la Sicilia al livello più basso fra le Regioni. La legge di stabilità nazionale per il 2020 ha destinato ingenti risorse per la ripresa dell’economia ma, come si legge nella premessa del Defr regionale, il divario non può essere misconosciuto dalle misure di sostegno all’economia soprattutto in Sicilia e nel Mezzogiorno, dove vi è un’economia “sommersa” e priva di merito bancario. “Dietro queste formule – ha detto l’assessore regionale all’Economia Gaetano Armao – ci stanno cittadini, persone che hanno diritto ad essere aiutate ed a superare difficoltà, ma sopratutto ad intraprendere un percorso di crescita nella legalità e nell’equilibrio finanziario”.

Inoltre più di un giovane su sei ha perduto il posto di lavoro, e chi è rimasto al lavoro, troppo spesso precario, ha subìto una riduzione di un quarto delle ore di lavoro. Mentre per i Neet (persone che non hanno un lavoro e non studiano), giunti al 38,6 % in Sicilia su una percentuale del 23% in Italia, si allontanano sempre più le prospettive concrete di lavoro. La situazione di crescita dei Il regionali negli anni è ben delineata dalle tabelle Istat, che fotografa impietosamente il divario tra Nord e Sud ed in particolare il gap della Sicilia: il Pil della Lombardia è passato da 371.092,6 nel 2016 a 379.055,2 nel 2017, a 381.461,9 (in miliardi).
Quello della Sicilia ha registrato aumenti minimi (2016/86.027,2 . 2017/86.514,8 e 2018/86.297,4).

In pratica il Pil siciliano non vale neanche un quinto di quello della Lombardia: la ricchezza prodotta in Sicilia, infatti, corrisponde ad appena il 22,6% di quella lombarda.

Attuazione dello Statuto siciliano, tema ancora aperto: il difficile negoziato con lo Stato

Grazie agli accordi sottoscritti nel 2018 tra il Governo Musumeci e Roma, il concorso straordinario della Sicilia alla finanza pubblica si attesta attualmente a 1 miliardi di euro per il triennio 2020/2022.
Nel 2018 invece ammontava a 1,3 miliardi. L’obiettivo del governo Musumeci è quello di ottenere piena attuazione dello Statuto siciliano, aumentando le entrate tributarie della Sicilia con nuove forme di prelievo erariale come la tassa sulle transazioni digitali. Il negoziato ancora aperto con Roma è volto ad assicurare che la Sicilia non resti esclusa dalle misure fiscali attrattive per investimenti esteri, ad esempio, nelle Zone Economiche Speciali. Con il negoziato si mira all’attuazione in particolare dell’articolo 36 dello Statuto in merito al federalismo fiscale, ottenendo il trasferimento di funzioni statutariamente previste e mai trasferite, dando idonea copertura agli oneri relativi ai costi delle funzioni.

In merito, la Magistratura contabile ha puntualizzato che “nell’ambito delle risorse complessive, pari a 20.352 milioni (comprese le partite di giro), se si escludono le risorse specificamente destinate alla sanità, (7.356 milioni) dei rimanenti 12,9 miliardi, altri due miliardi circa sono assorbiti per assicurare il livello dei Lea della Sanità, residuano per tutte le altre funzioni appena 10 miliardi di euro che, con tutta evidenza, non appaiono ancora sufficienti, al rilancio di settori di attività produttive”.

Ponte Stretto, Cisal: “Governo dimentica la Sicilia, Musumeci intervenga”

“Nonostante i roboanti annunci, il Decreto semplificazioni del Governo Conte ha dimenticato la Sicilia escludendo il Ponte sullo Stretto dalle grandi opere pubbliche di cui avrebbe bisogno l’intero Paese. Una scelta miope e profondamente sbagliata che dimostra, ancora una volta, come a Roma si usino due pesi e due misure fra il Nord e il Sud”. Lo dice in un nota il segretario della Cisal Sicilia Nicola Scaglione.

“A che serve ammodernare la Palermo-Catania-Messina o portare l’alta velocità al Sud – si chiede Scaglione – quando poi bisogna fermare tutto per usare i traghetti? Il Ponte sullo Stretto costerebbe appena quattro miliardi di euro, una cifra nettamente inferiore a quelle di altre opere che invece si realizzeranno nelle altre regioni, e gli stanziamenti europei del Recovery Fund rappresentano l’ultima, vera chance di costruire un’infrastruttura che collegherebbe in modo stabile e veloce la Sicilia al resto d’Europa, rendendola realmente il punto di contatto fra i continenti e ponendola al centro del commercio internazionale”.
“Chiediamo al presidente Musumeci di far sentire la voce del Governo regionale e di reclamare con forza la realizzazione del Ponte, ma ci appelliamo anche ai deputati e senatori eletti nella nostra Regione: i siciliani – conclude Scaglione – sono stanchi di promesse tradite e questa è un’opportunità unica di sviluppo che non possiamo perdere”.

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