La sanità ha retto a fatica, dal virus è emersa l’inefficienza della Pa - QdS

La sanità ha retto a fatica, dal virus è emersa l’inefficienza della Pa

Carlo Alberto Tregua

La sanità ha retto a fatica, dal virus è emersa l’inefficienza della Pa

sabato 11 Luglio 2020

Sono decenni che noi evidenziamo l’inefficienza della Pubblica amministrazione, e segnatamente quella meridionale, la quale non è stata in condizione di fornire servizi moderni ai cittadini e alle imprese.
Il nostro punto di vista, supportato da dati ufficiali, è stato condiviso dall’opinione pubblica e da tante altre fonti. Anche i governi che si sono succeduti, sapevano del buco nero dello Stato italiano, delle Regioni e dei Comuni, salvo eccezioni, tanto che hanno nominato di volta in volta un ministro per la riforma della Pubblica amministrazione.
Da Brunetta a Madia a Dadone, ma tutti i loro tentativi si sono infranti sulla fortissima resistenza dei burocrati pubblici che non vogliono perdere la loro capacità di gestire i servizi in modo da trarne personali benefici. Dal che, l’estensione e la moltiplicazione della corruzione, che è diventato il cancro del Paese.
La situazione si è fatta sempre più intollerabile, ma non c’è stato un evento o un fatto che l’avessero certificata.

Il fatto, però, si è verificato ed è stata la pandemia che ha travolto l’Italia, trovandola totalmente impreparata sul piano sanitario e della capacità di approntare adeguati e tempestivi rimedi per ridurre i riflessi sanitari, sociali ed economici.
La sanità si è trovata a dover affrontare un problema di enormi dimensioni, senza un’adeguata organizzazione. Ha retto in qualche modo perché la prima linea, formata da medici, infermieri ed operatori sanitari, ha prodotto uno sforzo ragguardevole, che ha consentito di fermare tale pandemia.
Però, tutta la parte della Pubblica amministrazione che doveva affrontare l’attuazione dei provvedimenti governativi, sotto forma di ristoro per cittadini ed imprese, si è inceppata, creando ulteriori disagi e delusioni per coloro che si aspettavano provvidenze, arrivate con notevole ritardo.
Ma la fame non si può soddisfare col ritardo, eppure per molti cittadini è stato così. L’Inps, che è un mastodonte digitalizzato, non è stato in condizione di erogare le risorse finanziarie stanziate dal Governo con quella tempestività necessaria e ancora oggi è in palese ritardo per il pagamento di una parte della Cig a dipendenti ordinari ed ai giornalisti.
Poi il Governo ha avuto la bella pensata di far stare a casa i quattro quinti dei dipendenti pubblici, mascherando questa indicazione dietro la formula del lavoro agile. Il lavoro a casa si può fare se ci sono almeno due condizioni: la prima riguarda il possesso di computer di adeguata potenza e muniti dei software per potere dialogare con i propri e con gli altri uffici; la seconda condizione è che tutti i dipendenti a casa dovevano essere nelle condizioni di sapere usare i software. Senza di che nulla di questa iniziativa era attuabile.
Ancora oggi il Ministero del settore non comunica quanto lavoro è stato svolto a casa, anche perché sono mancati altri due elementi: il primo riguardava l’assegnazione di obiettivi da raggiungere con il lavoro casalingo; il secondo si riferiva al sistema di controlli che devono confrontare i risultati con gli obiettivi. Questi due elementi non esistono nel lavoro presso gli uffici, meno che mai nel lavoro a casa.

Il risultato è stato che la macchina pubblica si è fermata, che le procedure non sono andate avanti, accumulando un ritardo notevolissimo di tipo straordinario che si è sommato al ritardo ordinario. Un ritardo che è difficilmente recuperabile con l’attuale disorganizzazione nel cuore dei circa quattro milioni di soggetti, compresi tutti i dipendenti delle controllate pubbliche, sia a livello centrale che periferico.
Fra una ventina di giorni (il 31 luglio) cessa il decreto che ha dichiarato lo stato di emergenza e che, verosimilmente, potrebbe essere rinnovato.
è il momento di fare un’inversione a centottanta gradi nel funzionamento della Pubblica amministrazione, se è vero, come proclama il Governo, che l’Italia deve cominciare (e non ricominciare) a correre.
Roma dev’essere raggiunta in quattro ore da qualunque parte dello Stivale, non ci dovrebbero essere più cantieri bloccati per la mancanza di questo o quel documento, i provvedimenti richiesti da cittadini e imprese dovrebbero essere rilasciati in trenta giorni, salvo penalizzare i dirigenti.
Ma tutto questo è irrealistico, perché non ci sono le teste capaci di attuarlo.

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