La pantomima politica cui abbiamo assistito in questo mese di Agosto ha avuto un solo aspetto positivo: la costrizione dei parlamentari a lavorare, mentre avevano in mente di godersi quaranta giorni di ferie.
Per il resto, abbiamo visto una sceneggiata di stampo democristiano, di cui oggi non conosciamo l’epilogo.
Il Partito democratico è dilaniato fra Renzi e Zingaretti, Matteo Salvini si è trasformato in mendicante con la mano tesa, aspettando i desideri della coppia Grillo-Casaleggio, anche perché Di Maio non conta e non ha mai contato.
Lo stesso Movimento non sembra avere le idee chiare: una parte minoritaria vuole riabbracciare il Capitano, mentre quella maggioritaria vuole fare questa esperienza col Pd. Contano poco le voci di Berlusconi, di Meloni e degli ultimi residui della vecchia sinistra.
Il caos ha raggiunto l’acme, ma ora il Presidente della Repubblica deciderà.
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Mentre tutto questo accade, le istituzioni del Paese, di qualunque livello, sono sempre meno efficienti e funzionali, perché non governate da una dirigenza burocratica professionale, e con una burocrazia priva dei tre valori fondamentali di qualunque organizzazione che funzioni: merito, responsabilità e produttività.
In queste condizioni il sistema economico si è bloccato, le opere pubbliche non si realizzano, e assistiamo con sgomento a interi territori martoriati dal terremoto, come Amatrice e Accumoli, nei quali a distanza di tre anni non sono ancora cominciate le opere di ricostruzione, nonostante la presenza di commissari straordinari.
A qualunque servizio cittadini e imprese si rivolgano, ricevono risposte dilatorie e negative. I tempi dei procedimenti sono infiniti, il loro esito è sempre incerto. Nessuno paga per questo comportamento deficitario ed incivile. Anzi, alla fine di ogni anno, i dirigenti ricevono il massimo punteggio relativo alla loro cosiddetta efficienza e di conseguenza ricchi premi in denaro.
La situazione è sempre più insostenibile perché si diffondono sempre di più la corruzione e la regola del favore secondo cui gli atti dovuti, invece, sono concessi.
Le Istituzioni italiane, di qualunque livello, sono ammalate, molto ammalate. Si sa che ogni malattia va curata e guarita, oppure prima o dopo vincerà con la morte del malato.
Si può convivere con una malattia , ma non per molto tempo. Le Istituzioni italiane sopportano questa grave morbilità da troppo tempo mentre bisogna intervenire drasticamente. Ma come?
Avevamo qualche speranza che l’attuale ministro dimissionario della Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno, preparasse un disegno di legge di riforma, ma a distanza di quattordici mesi esso non ha visto la luce.
Anche se così fosse stato, dalle informazioni in nostro possesso, non ci sembra che le linee guida, cioè la cura, sia adeguata alla malattia, perché dei tre valori prima indicati non vi é alcun cenno.
Certo mettere nei tornelli il rilevamento delle impronte digitali è un piccolo passo avanti, ma nulla si prevede per il lavoro che si dovrebbe svolgere dentro gli uffici.
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Non facciamo catastrofismo, bensì fotografie, le quali fanno emergere lo stato effettivo delle questioni.
Rispetto al disastro della burocrazia, per fortuna ci sono dati di solidità del Paese: il cospicuo risparmio, il patrimonio mobiliare e immobiliare, la forte produttività del settore privato, che esporta sempre di più, e le grandi aziende pubbliche (come Eni, Poste, Enel ed altre) che macinano utili e pagano cospicui assegni al loro azionista (il ministero di Economia e Finanza) sia sotto forma di dividendi che di imposte.
Tuttavia queste ricchezze si stanno erodendo e non vorremmo che per effetto dell’enorme debito pubblico si arrivasse alla catastrofe, come accadde in Grecia, con la chiusura dei bancomat.
Sappiamo però che un Paese può risorgere dopo essersi ridotto in cenere. Solo da quella risorge l’Araba Fenice.
Allora ci sarebbe da augurarsi che questo evento accada nel Paese? No. Ma per evitarlo è necessario che il ceto politico rinsavisca e metta al primo posto della sua azione l’interesse generale.
