Lavoro e gender gap: settore privato più “vulnerabile” - QdS

Lavoro e gender gap: settore privato più “vulnerabile”

Adriano Agatino Zuccaro

Lavoro e gender gap: settore privato più “vulnerabile”

sabato 15 Ottobre 2022

Lo rileva Eurostat: Italia “salvata” dal settore pubblico, più tutelato

ROMA – Il divario salariale di genere è un tema “caldo” con cui i Governi, oggi più che mai, devono fare i conti. Numeri, percentuali e studi si susseguono ma spesso l’istantanea che ne deriva può risultare di poliedrica lettura perché, ad esempio, se è certamente vero che a livello mondiale l’uguaglianza di trattamento economico tra uomini e donne è lontana da essere raggiunta, è anche vero che l’Italia ha fatto passi avanti e registra il divario salariale di genere tra i più bassi d’Europa.

Nel nostro Paese le donne guadagnano il 4,2 per cento in meno degli uomini, la quarta percentuale più bassa del blocco, rispetto a una media del 13 per cento nei ventisette Stati membri.

Lo certifica Eurostat su dati del 2020 calcolando la retribuzione lorda dei lavoratori per le imprese con più di dieci dipendenti. Le differenze di genere più elevate sono state osservate in Lettonia (22,3%), seguita da Estonia (21,1%), Austria (18,9%) e Germania (18,2%). Mentre il divario è molto piccolo in Lussemburgo (0,7%), Romania (2,4%) e Slovenia (3,1%).

Se però osserviamo il divario retributivo di genere percentuale per i lavoratori a tempo parziale nel 2020 c’è una variazione in controtendenza che va dal -5,1% in Italia al 22,0% nei Paesi Bassi. Il divario retributivo di genere negativo in Italia significa che, in media, la retribuzione oraria lorda delle donne è superiore a quella degli uomini nel nostro Paese. Ma, anche in questo caso, il dato bisogna prenderlo con le pinze e bisogna specificare che è “spesso dovuto – scrive l’Eurostat – a un pregiudizio di selezione, soprattutto quando il tasso di occupazione è inferiore per le donne rispetto agli uomini: le donne impegnate nel mercato del lavoro possono avere competenze e livelli di istruzione relativamente più elevati rispetto agli uomini”.

Altra distinzione interessante e che rimette in gioco numeri e percentuali è quella che riguarda il settore pubblico e quello privato. Nel 2020, la maggior parte dei paesi dell’UE ha registrato un divario retributivo di genere (in termini assoluti) più elevato nel settore privato rispetto a quello pubblico. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che, nella maggior parte dei paesi, la retribuzione nel settore pubblico è determinata da griglie salariali trasparenti che si applicano allo stesso modo a uomini e donne. Il divario retributivo di genere variava nel settore privato dall’8,5% in Belgio al 22,6% in Germania e nel settore pubblico dal -0,6% in Polonia al 18,4% in Lettonia. In Italia nel pubblico il dato si attesta al 4,1%, al 16,5% nel privato.

Il divario retributivo di genere, precisa l’Eurostat, fornisce un quadro generale delle differenze tra uomini e donne in termini di retribuzioni e misure, un concetto che è più ampio della discriminazione nel senso di “pari retribuzione per un lavoro di pari valore”. Infatti, parte della differenza di retribuzione tra uomini e donne può essere spiegata da differenze nelle caratteristiche medie dei dipendenti uomini e donne e differenze nei rendimenti finanziari per le stesse caratteristiche.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha predisposto un documento che analizza il contributo degli interventi previsti nel Pnrr e presenta una valutazione ex ante sugli impatti che gli interventi stessi possono apportare per ridurre il divario in molti ambiti“.
In particolare, le risorse previste dal Pnrr per interventi mirati alle donne o che potrebbero avere riflessi positivi, anche indiretti, nella riduzione dei divari attualmente presenti a favore delle donne rappresentano oltre il 20% del totale (circa 38,5 miliardi).

A voler fare un confronto temporale tratto dal rapporto annuale “Women in Business” di Grant Thornton, emerge, ad esempio, che in Italia, nel 2022, le donne detengono il 32% delle posizioni aziendali di comando, 2 punti percentuali in più rispetto al 2021.
Le donne CEO sono salite al 20% così come quelle con ruoli nel senior management al 30% nel 2022 ma il nostro Paese ha ancora molto da recuperare se confrontato con alcune delle principali potenze mondiali.

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