Lavoro irregolare, Irpef e Imu: in Sicilia l’evasione fiscale ha bruciato 16 miliardi - QdS

Lavoro irregolare, Irpef e Imu: in Sicilia l’evasione fiscale ha bruciato 16 miliardi

Eleonora Fichera

Lavoro irregolare, Irpef e Imu: in Sicilia l’evasione fiscale ha bruciato 16 miliardi

venerdì 15 Ottobre 2021

Mef (anno 2018): “Al 19,3% la percentuale di Prodotto interno lordo che non è emerso”. Riscossione, pesa anche il fallimento dei Comuni nella segnalazione al Fisco e alla GdF di comportamenti evasivi

PALERMO – “La lotta all’evasione ha subito, negli ultimi anni, un progressivo arretramento, culminato in una drastica flessione nell’anno in cui ha avuto inizio la pandemia, nel quale i risultati dell’azione di controllo dell’amministrazione si sono sostanzialmente dimezzati rispetto ai già non brillanti risultati del 2019 e degli anni precedenti”.

È l’allarme lanciato dalla Corte dei Conti in audizione, presso le Commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato, sulla Nadef (la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza).

Un allarme particolarmente preoccupante se si pensa che, mentre la lotta all’evasione “arretrava progressivamente”, l’incidenza dell’economia non osservata nel nostro Paese non si è affatto fermata.

Di che cifre parliamo? Secondo la “Relazione sull’economia non osservata” del ministero dell’Economia e delle Finanze, in Italia l’incidenza del sommerso economico sul Pil è del 10,7% (anno 2018).

Da cosa è composto questo 10%? Le componenti più rilevanti sono quelle legate alla correzione della sotto-dichiarazione del valore aggiunto e all’impiego di lavoro irregolare che generano, rispettivamente, il 49,7% e il 41,3% del valore aggiunto complessivo attribuito all’economia sommersa. Meno rilevante, ma significativo (9%), è il contributo delle altre componenti di ciò che “sfugge al fisco” (dalle mance agli affitti in nero).

Dati già preoccupanti che diventano ancor più allarmanti se si guarda alla Sicilia. L’Isola, spesso fanalino di coda nelle classifiche nazionali delle regioni su i più disparati indicatori di benessere e comportamenti virtuosi, si piazza, invece, tra le prime realtà d’Italia per incidenza dell’economia non osservata sul valore aggiunto.

È terza a livello nazionale, infatti, con un’incidenza del 19,3%. Se si considera che nell’anno di riferimento il Pil dell’Isola era di 85,8 miliardi di euro (dati Istat) stiamo parlando di poco più di 16 miliardi di euro. Peggio fanno solo Campania (19,8%) e Calabria (21,3%). La componente principale, in Sicilia, è legata al lavoro irregolare (il 7,8% del totale).

Ma non finisce qui. A preoccupare, nell’Isola sono anche i valori del cosiddetto tax gap: la differenza tra quanto i cittadini dovrebbero pagare in termini di tasse e quanto, effettivamente, gli stessi cittadini poi pagano. Ecco, se si guarda ad alcuni di questi indicatori, qualcosa, in Sicilia sembra non essere andato per il verso giusto.

Il tax gap dell’Imu, per esempio, nell’Isola tocca il 35% (10 punti percentuali sopra la media nazionale, dati 2019). Significa che nelle casse comunali arriva il 35% in meno di quanto, effettivamente, dovrebbe essere incassato. Anche in questo caso, la Sicilia è tra le regioni con l’evasione più alta: più su in classifica troviamo solo Calabria, Campania e Basilicata.

Di quanti soldi, concretamente, stiamo parlando? Secondo un’elaborazione realizzata da Il Sole 24 Ore su dati del ministero dell’Interno, il gettito potenziale dell’Imu in Sicilia si può quantificare in 968 milioni di euro. Se incrociamo questa cifra con il tax gap di cui parlavamo prima, scopriamo che all’appello mancano circa 300 milioni di euro.

Non va meglio se si guarda all’Irpef. La distribuzione regionale dei mancati versamenti, vede la Sicilia tra le Regioni in fascia “rosso scuro”, quelle in cui, insomma, i mancati versamenti pesano di più sul totale: in Sicilia parliamo di più di 400 milioni di euro (media 2012-2017). Non di certo briciole.

Il fallimento dei Comuni nella lotta all’evasione

Come si combatte l’evasione? Come si può far emergere quel “sommerso” che tanto servirebbe sì alle casse degli Enti locali ma anche, e soprattutto, ai cittadini onesti che pagano le tasse e dichiarano al fisco tutto il dovuto?
Sradicare un fenomeno tanto radicato nel nostro Paese, e ancor più nella nostra Regione, non è certo semplice.

Un assist in tal senso dovrebbe arrivare, almeno sulla carta, dagli stessi Comuni.
Per stimolarne la partecipazione nella lotta all’evasione, infatti, sono stati adottati negli anni una serie di provvedimenti (dal Dl 203/2005 al Dlgs 23/11 e successivi) volti a veder riconosciute ai Comuni quote sempre più alte di quanto riscosso sulla base di “segnalazioni qualificate”.

A oggi i Comuni, segnalando atti riguardanti comportamenti evasivi ad Agenzia delle Entrate o Guardia di Finanza possono tenere per loro fino al 100% di quanto riscosso.

Un incentivo che dovrebbe spingere i Comuni a correre alla ricerca di “anomalie” da segnalare. Eppure così non sembra, o almeno non del tutto.

Nel periodo analizzato dalla “Relazione sull’economia non osservata” (dal febbraio 2009 al dicembre 2019) le Amministrazioni comunali italiane hanno inviato appena 113.645 segnalazioni che hanno portato a riscuotere circa 129 milioni di euro.

I Comuni siciliani sono tra quelli che fanno peggio in Italia: in dieci anni hanno inviato appena 8.590 segnalazioni (per fare qualche confronto: la Lombardia ne ha inviate 19.604, l’Emilia Romagna 35.861).

Quanto sarebbe dovuto “rientrare” nelle casse dei Comuni secondo quanto accertato in seguito alle segnalazioni?
Poco più di 12 milioni di euro. Quanto effettivamente è arrivato? Poco più di un milione e 400 mila euro (fonte Ifel, Istituto per la finanza e l’economia locale).

Forse, in una regione in cui la maggior parte dei Comuni lamenta conti in rosso e buchi in bilancio, era doveroso fare qualcosa in più.

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