Libertà di stampa e lotta alla mafia: dalla memoria all’impegno quotidiano - QdS

Libertà di stampa e lotta alla mafia: dalla memoria all’impegno quotidiano

Ivana Zimbone

Libertà di stampa e lotta alla mafia: dalla memoria all’impegno quotidiano

mercoledì 15 Maggio 2024

A Catania un cineforum per ricordare ed attualizzare le battaglie di Peppino Impastato

CATANIA – Cosa possiamo ancora imparare da Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio del 1978? Questa la domanda a cui hanno provato a rispondere nei giorni scorsi – durante un cineforum organizzato da Giuseppe Ragusa, consigliere della IV circoscrizione di Catania , che ha proposto la visione del film “I cento passi” – Giuseppe Antoci, Jose Marano e Maurizio Caserta.

Impastato esempio di lotta quotidiana a Cosa Nostra

Impastato è testimonianza di emancipazione da un nucleo familiare contrario ai valori civili, è esempio di lotta quotidiana a Cosa Nostra, attraverso il libero esercizio della parola, ed è quindi un costante invito alla difesa della libertà di stampa che, proprio adesso, in Italia come altrove rischia di vivere un momento di grande difficoltà. I rischi, secondo diversi esperti, sono quelli di spianare la strada a chi non ha rispetto per lo stato di diritto e non si muove nell’interesse della collettività, di interrompere la narrazione del vero e di riscrivere la storia del nostro Paese. “Impastato un eroe? Bisogna partire dalla convinzione che fare il proprio dovere sia la normalità. Perché farlo? Perché si può morire in un attentato mafioso, ma si può anche morire sentendosi sporchi davanti allo specchio, calpestando la propria dignità. Chi muore per la propria dignità diventa un seme che vive nel cuore di chi continua a portare la responsabilità delle stesse battaglie”, queste le parole di Giuseppe Antoci – ex presidente del Parco dei Nebrodi e ufficiale al Merito della Repubblica italiana, che correrà nelle liste del Movimento 5 Stelle alle elezioni Europee – definito dallo scrittore Andrea Camilleri “eroe dei nostri tempi” nel 2016, dopo essere scampato a un attentato mafioso, dimostrando al mondo intero che la mafia potesse essere ancora stragista e che fosse sufficiente fare il proprio dovere per stimolarne le atrocità.

“Quando accettai di fare il presidente di un’area protetta pensavo di poter contribuire allo sviluppo del territorio e dell’ambiente. Per questo mi sono ritrovato a difendere cinque agricoltori, minacciati per non partecipare ai bandi pubblici relativi agli affitti dei terreni – ha raccontato –. Approfondendo mi sono reso conto che i bandi fossero partecipati soltanto da soggetti sempre uguali, vicini a famiglie mafiose ben inserite sul territorio. Si usava l’allora legge sugli appalti: per gli importi superiori a 150 mila euro la certificazione antimafia non era necessaria, bastava l’autocertificazione. Proposi dunque di eliminare questa soglia, pretendendo sempre la certificazione. E non sapevo ancora quello che avrei scoperto dopo, ovvero che persino le piste aeroportuali risultassero “fondi agricoli” per i quali le famiglie mafiose percepivano fondi per l’agricoltura; un affare che, solo in Sicilia, fruttava ben 5,3 miliardi di euro”. Dalla semplice richiesta di maggiore trasparenza a un cambiamento radicale della vita quotidiana: “Il sostituto procuratore di Caltanissetta mi chiese di recarmi in procura immediatamente, comunicandomi che ero stato posto sotto scorta con provvedimento immediato. Pensai di voler continuare a vivere con la mia famiglia, ma mi venne risposto che all’ordine del giorno ci fosse non che io vivessi con quest’ultima, ma che io vivessi ancora. Dopo avrei saputo che un primo summit mafioso avesse già decretato la mia esecuzione, destinandomi di fatto al regime di sicurezza più alto in Italia, che ha coinvolto pure le mie figlie e le 33 persone che sorvegliano in ogni istante la mia casa”, ha aggiunto.

Posto davanti a un bivio, Antoci decise di non indietreggiare, facendo già il primo “sgambetto” alla criminalità, ovvero mettendo a bando l’affitto dell’unico terreno di 400 ettari del parco e ordinando il primo controllo del “protocollo di legalità” e colpendo i primi criminali. Il protocollo Antoci divenne strumento normativo nel territorio, oltrepassando lo Stretto. Da qui, l’attentato subìto tra il 17 e il 18 maggio 2016, dal quale è uscito illeso grazie all’intervento degli uomini della sua scorta e alle telecamere di sorveglianza che mostrarono la catena di controllo volta ad avvisare gli attentatori dei suoi movimenti. “Non sarò mai più la stessa persona che ero prima di quel giorno. Come dare un senso a tutto questo? Pensando che forse c’è qualcos’altro, che il lavoro sia il miglior antidoto di lotta alla mafia, ricordando l’abbraccio di Maria Falcone nell’aula bunker cinque giorni dopo l’accaduto, trasformando il dolore in amore, nella consapevolezza che questa sia una storia di vittoria contro la mafia, una storia di normalità”. Successivamente il protocollo di legalità diventò legge dello Stato.

Nonostante le continue minacce di morte – con tanto di bossoli recapitati – il coraggio di Antoci si rinsalda grazie alla sua famiglia. “Quando mi misero sotto scorta cominciai a sentirmi un pacco con su scritto ‘pericoloso’. Tornai a casa, a cena con mia moglie e le mie figlie. Dissi loro che papà rischiasse la vita e chiesi di dirmi se volessero che lasciassi l’incarico – ha continuato –. Non ricevetti nessuna risposta, quel silenzio assordante mi fece pensare di aver rovinato la mia famiglia. L’indomani, però, mia figlia Irene mi disse di voler parlare con me: ‘Senti papà, devi fare una cosa per me, per le mie sorelle, per questa terra… Non ti devi fermare, tanto ci siamo noi’. La ragione più grande per andare avanti è per me quel ‘noi’, della mia famiglia, di un Paese che ce la può fare; un ‘noi’ che dà speranza pure agli ultimi e a chi ha sbagliato, a tutti coloro che non possiamo lasciare nelle mani della mafia. Il senso del mio operato è nelle parole di Giovanni Montinaro, che mi ha ringraziato per aver riportato questo dialogo sul mio libro, sostenendo di essere riuscito così a parlare a suo padre”.

Ricordare Peppino Impastato, per Antoci, impone di “dire le come stanno”

“Per scegliere da che parte stare, dobbiamo comprendere chi c’è da una parte e chi dall’altra – ha suggerito –. Non sapremo mai i nomi e i cognomi di chi nel silenzio, senza l’attenzione dei media, denuncia e lotta per la dignità. Ma non possiamo sempre pensare che le scelte spettino allo Stato, come se noi non dovessimo arrivare prima della politica, delle indagini della magistratura. Non possiamo commemorare Impastato senza andare contro una riforma della giustizia che pone una corte di giudici nominati dalla politica come giudici della magistratura stessa, senza ritenere necessario l’ergastolo ostativo. Non possiamo commemorare Impastato senza porci contro il bavaglio ai giornalisti, sostenendo che non possano raccontare alcune cose e avallando lo sport nazionale del ‘non ha condanne, quindi può far politica’. Vorrei che i giornalisti potessero raccontare le indagini e le intercettazioni di coloro che parlano con la mafia, anche senza aver commesso reato”. “La storia di Peppino Impastato – – ha detto Maurizio Caserta, consigliere comunale catanese – è una storia esemplare, ma non può essere una celebrazione, perché 46 anni dopo il quadro generale è cambiato e forse deteriorato, visti il peggioramento delle relazioni tra gruppi, persone e Stati e l’estrema tensione che stiamo vivendo”.

“Siamo tutti consapevoli di quanto sia difficile – ha aggiunto – un passaggio di questo genere. Quell’esempio ci porta a oggi, a un momento in cui la lotta eroica è un’opzione possibile. La questione palestinese e israeliana ha generato un’attenzione fortissima contro il sopruso, la violenza, la corruzione. Nel nostro Paese qualche coloritura preoccupante comincia a presentarsi, allora ognuno di noi può diventare eroe civile. Ci possono essere momenti in cui una voce un po’ più alta e un passo un po’ più forte possono servire. Non è nella nostra tradizione il ricorso a metodi violenti ma è nella nostra tradizione dire parole ferme e fare passi solidi. La voce alta è un monito che possiamo prendere dagli esempi eroici del passato, dove la consapevolezza e la determinazione sono assolutamente essenziali. In un quadro sfilacciato in cui la povertà sta crescendo, l’esempio di Impastato trasferito a questi tempi è di grande impatto contro i tentativi di toglierci la pace, la serenità, il lavoro, la dignità, la libertà, per un’Europa di domani più attenta, più solidale, più attenta alle differenze, più pronta a combattere per la pace”.

“Ci siamo insediati da un anno e mezzo circa e, da quando siamo arrivati, abbiamo fatto una fotografia della situazione in Sicilia – ha raccontato Jose Marano, componente della Commissione Antimafia all’Ars –. Siamo stati in giro, nei capoluoghi di provincia, incontrando i comitati di sicurezza. É emerso è un quadro in cui la mafia riesce a insinuarsi ovunque: dove ci sono soldi, c’è la mafia. Cosa Nostra è negli appalti pubblici, nel traffico di droga e di armi, in giacca e cravatta per fare affari e controllare la cosa pubblica, la nostra vita. Così siamo andati nelle scuole grazie all’associazione Libera Impresa, dicendo ai giovani che i diritti non possano essere scambiati per favori. È un concetto che mi piace ribadire, perché in Sicilia tutto diventa un favore, persino una banalissima prenotazione di una visita medica, nonostante paghiamo le tasse e siamo titolari di diritti”.

Riflettere sul tema della libertà di stampa

L’incontro è stato anche l’occasione per riflettere sul tema della libertà di stampa. Nei giorni scorsi lo sciopero di una gran fetta di giornalisti Rai che, come evidenziato dai sindacati Usigrai e Fnsi, sostengono sia in corso un vero e proprio attacco ai diritti costituzionali. I giornalisti ribadiscono non soltanto che il ricambio tra pensionati e nuovi assunti sia bloccato dalla mancanza di una selezione pubblica trasparente, favorendo invece le chiamate dirette alle partite Iva, ma anche che la politica operi un controllo pervasivo degli spazi di informazione. “C’è un clima mai visto. La Rai – ha osservato Vittorio Di Trapani, presidente della Fnsi – ha una storia di azienda occupata dai governi, però quello che sta accadendo ora non era mai successo prima. questo governo sta perseguendo un progetto di riscrittura della storia e della cultura del Paese il rischio, che stiamo denunciando da tempo, è di una deriva ungherese che riduca la libertà di stampa e di espressione”.

Un’accusa forte, che si riflette nei racconti di alcuni giornalisti sulle pesanti pressioni subite. Ad alimentare le polemiche su questo tema, anche il procedimento disciplinare avviato nei confronti della conduttrice di ‘Che sarà’ Serena Bortone. La contestazione dei vertici Rai è quella di aver “violato la privacy” sulla comunicazione social per avere avvisato il pubblico della mancata presenza di un ospite annunciato, Antonio Scurati, alla vigilia del 25 aprile. Un’accusa che le commissioni Pari opportunità di Ordine dei giornalisti, Fnsi, UsigRai e GiULiA Giornaliste, definiscono “assurda”, evidenziando che il procedimento vuole punire la denuncia pubblica sulla censura del monologo dello scrittore Premio Strega. Un caso certamente dibattuto e controverso, che ha visto emergere anche pareri discordanti, secondo i quali – di fatto – non ci sarebbe stata alcuna censura da parte della Rai. La questione, però, rimane in primo piano, anche in un’ottica più ampia e chi si lega al ricordo del coraggioso attivista ucciso dalla mafia. “Peppino Impastato ci ha insegnato che non è possibile mettere in discussione la libertà di stampa se si vuole fare informazione e parlare da uomini liberi – ha detto al QdS Jose Marano –. Il nuovo regolamento europeo garantisce la trasparenza della proprietà, ma soprattutto introduce tutele precise contro la lottizzazione delle testate che percepiscono contributi pubblici. I fondi pubblici a sostegno dell’editoria rappresentano uno strumento di garanzia del principio fondamentale del pluralismo dell’informazione, però l’aspetto da non trascurare è quello legato ai controlli, alla verifica di come le testate, le radio e le tv spendano questi soldi, se per un’informazione libera da condizionamenti di sorta o meno. A proposito della Rai, il M5S si è attivato tempestivamente avanzando una proposta che va nella direzione di quell’indipendenza degli organi di informazione pubblici che l’Ue ci chiede: abbiamo chiesto a tutti i partiti di sedersi a un tavolo per elaborare una riforma che permetta di eliminare il controllo della politica sulla scelta dei vertici”.

“La libertà di stampa è un’arma fondamentale per la lotta alla criminalità organizzata e lo è stata anche per i fatti che mi hanno coinvolto. La libertà di stampa è una salvaguardia per le istituzioni – ha spiegato Giuseppe Antoci – e sono preoccupato per le troppe vicende che la minano e che, soprattutto, minano il diritto dei cittadini di conoscere. Per esempio, io penso che noi abbiamo il diritto di sapere se un politico, pur non commettendo reato, al telefono parli con i mafiosi o subisca tentativi d’infiltrazione mafiosa, perché così possiamo scegliere se mettere quella persona all’interno delle istituzioni o meno, nel caso si dovesse candidare a delle elezioni. Bisognerebbe fare retromarcia e ringraziare i giornalisti, il cui racconto molto spesso diventa un rischio per la loro stessa vita”.

L’Italia è stata declassata sul rapporto di Freedom House sulla libertà di stampa, passando nella lista “grigia” dei Paesi “parzialmente liberi” come la Turchia. Ad aver perso terreno altri dieci Paesi nel mondo: la Bolivia, la Bulgaria, Capo Verde, Gabon, Guatemala, Guinea Bissau, Moldavia, Marocco e Filippine. “Un fatto gravissimo – ha commentato ai nostri microfoni Maurizio Caserta – perché non cresciamo persone consapevoli, ma persone a cui destiniamo un pezzetto d’informazione filtrata. Per fortuna i mezzi di comunicazione sono tanti, le notizie prima o poi arrivano e bisogna avere fiducia negli altri strumenti di comunicazione, riuscire a selezionarli. È qualcosa che ognuno di noi deve allenarsi a fare, senza aspettare che venga data la notizia, magari sperando che sia quella vera”. Ciò non deve tradursi però nella resa: “Quella per la libertà di stampa è una battaglia fondamentale, perché la nostra azione è buona se sappiamo cosa abbiamo di fronte, altrimenti sbagliamo – ha precisato –. La conoscenza che arriva attraverso l’informazione è quella che ci rende liberi. Non è un caso che poi gli assetti di potere che abbiano voglia di allargare il loro potere, e quindi di reprimere comportamenti non graditi, usino l’informazione per consolidarlo, annullandola”.

Tag:

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta

Ediservice s.r.l. 95126 Catania - Via Principe Nicola, 22

P.IVA: 01153210875 - Cciaa Catania n. 01153210875


SERVIZIO ABBONAMENTI:
servizioabbonamenti@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/372217

DIREZIONE VENDITE - Pubblicità locale, regionale e nazionale:
direzionevendite@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/388268-095/383691 - Fax 095/7221147

AMMINISTRAZIONE, CLIENTI E FORNITORI
amministrazione@quotidianodisicilia.it
PEC: ediservicesrl@legalmail.it
Tel. 095/7222550- Fax 095/7374001
Change privacy settings
Quotidiano di Sicilia usufruisce dei contributi di cui al D.lgs n. 70/2017