Mafia, lo scontro tra catanesi e gelesi nella polleria hub della droga

Mafia, lo scontro tra catanesi e gelesi nella polleria che faceva da hub della droga

Mafia, lo scontro tra catanesi e gelesi nella polleria che faceva da hub della droga

Simone Olivelli  |
venerdì 15 Marzo 2024

L'approfondimento sui rapporti tra le cosche gelesi e quelle catanesi dopo quanto emerso nell'inchiesta Ianus della Dda di Caltanissetta

Pe’, ni spaccaru tutti. Quattru rumeni, tutti ni spaccaru, semmu tutti spasciati”. È da poco tramontato il sole a Gela quando, il 15 febbraio 2019, Rocco Grillo, all’epoca 27enne, telefona a Giuseppe Domicoli, di tre anni più grande, raccontando di avere subito un agguato. La banda, originaria dell’Est, aveva prima bloccato l’auto su cui Grillo viaggiava insieme a un’altra persona, per poi aggredirli. L’assalto, avvenuto in una trazzera, non sarebbe stato casuale: a bordo del mezzo ci stava, infatti, un chilo di cocaina.

È attorno a questo evento – sulla cui veridicità si dibatterà a lungo all’interno del mondo della criminalità organizzata – che cinque anni fa i rapporti tra le cosche gelesi e quelle catanesi si sono registrati picchi di tensione. Una storia, ricostruita nei giorni scorsi nell’inchiesta Ianus della Dda di Caltanissetta, che sarebbe potuta finire molto peggio rispetto a ciò che poi è stato, ma in cui non sono mancati intimidazioni, esponenti di primo piano di più fazioni criminali e, forse, anche un sequestro di persona.

La polleria

In via Generale Cascino, a Gela, un girrarosto avrebbe fatto da snodo per il traffico di cocaina che da Catania e non solo sarebbe servito a rifornire i pusher e soddisfare i desideri dell’ampia platea di consumatori. A gestire l’esercizio commerciale era Giuseppe Domicoli. L’uomo, nativo del capoluogo etneo e imparentato da parte di madre con un boss del clan Laudani, sarebbe stato una sorta di Gustavo Fring della città, dal nome del personaggio della celebre serie televisiva Breaking Bad, che dissimulava il proprio status di narcotrafficante dietro la catena di fast food Los Pollos Hermanos. Nel caso di Domicoli, tuttavia, lo spessore criminale riconosciutogli dagli inquirenti non lo avrebbe esentato dal rischiare pesanti ripercussioni da parte dei fornitori di droga catanesi. Il giorno in cui Rocco Grillo, suo uomo di fiducia, lo informa di aver perso la partita di cocaina del valore di oltre 42mila euro e ancora da pagare, per Domicoli le cose si mettono male.

Gli inquirenti sono riusciti a ricostruire ciò che avvenne nel tardo inverno del 2019 grazie alle telecamere installate nei pressi della polleria e ai verbali riempiti da Salvatore Castorina, oggi collaboratore di giustizia ma in passato attivo nel mondo della droga per conto del clan Cappello. “Noi del gruppo di Mario Strano (boss un tempo legato alla famiglia Santapaola e poi passato con i Cappello, ndr) rifornivamo di stupefacente tale Peppe, che noi chiamavano Peppe dei polli”, ha raccontato Castorina ai magistrati. Domicoli avrebbe avuto un mercato tale da richiedere una fornitura di oltre un chilo a settimana.

A metà febbraio, tuttavia, quella appena arrivata in città e da trasferire verso la provincia di Agrigento viene persa. Grillo, l’uomo incaricato dello spostamento, ipotizza che all’origine dell’agguato subito possa esserci un tale Peppe Stampella, al secolo Giuseppe Pasqualino e genero Giuseppe Tasca, il reggente dei Rinzivillo a Gela. Per la cosca gelese legata a Cosa nostra, la ricerca dei responsabili è fondamentale, perché il debito con i catanesi va saldato.

A riprova di ciò ci sono una serie di incontri avvenuti a Gela a fine mese, a cui partecipa un elevato numero di persone giunte dal capoluogo etneo e ritenute contigue ai locali clan – Laudani e Cappello – ma anche un esponente della famiglia gelese degli Emmanuello, un tempo storici rivali dei Rinzivillo. Tra cui un genero del boss ergastolano Turi Cappello. “In questa occasione – ha detto il collaboratore di giustizia Castorina – aggredirono fisicamente Grillo, il quale ci raggiunse perché chiamato da Peppe dei polli”.

L’auto in pegno e il sequestro

Nonostante Domicoli e Grillo avessero sospettato di un coinvolgimento di Pasqualino nella sparizione della droga, la resa dei conti tra catanesi e gelesi si conclude stabilendo che a dover pagare la fornitura debbano essere i primi due. L’onere non è di poco conto, si tratta di recuperare 20mila euro a testa.
Stando a quanto ricostruito nell’inchiesta, Domicoli avrebbe avuto difficoltà che lo avrebbero messo in condizione di dover cedere un’auto della sorella. “Castorina precisava – si legge nell’ordinanza del gip Santi Bologna – che Domicoli, nonostante i suddetti accordi, non versava alcuna somma di denaro, ragion per cui lo stesso Castorina si recava a Gela impossessandosi, a garanzia del debito, dell’autovettura Fiat 500 X”. Il mezzo sarebbe rimasto a Catania finché Domicoli non era riuscito a recuperare 11mila euro, vendendo un immobile di sua proprietà.

Tra i metodi che i catanesi avrebbe scelto di seguire per esercitare pressioni sui gelesi ci sarebbe stato anche il sequestro di un sodale di Domicoli. Nel momento più caldo della diatriba, l’uomo sarebbe andato a Catania nelle vesti di emissario per cercare un chiarimento ma sarebbe stato trattenuto per due giorni. A raccontare l’aneddoto è Crocifisso Di Gennaro, arrestato nel blitz con l’accusa di avere un ruolo di primo piano nel clan Emmanuello. Alla luce anche della rivalità con i Rinzivillo, Di Gennaro – nel corso di una conversazione intercettata dagli uomini della Squadra mobile di Caltanissetta – schernisce il gruppo rivale e, dopo avere sostenuto che i catanesi sarebbero stati pronti a farne fuori due o tre, rivela di aver saputo che un uomo di Tasca era stato trattenuto senza cellulare per 48 ore nel quartiere di Librino. “U tinniru intra n’ovile, chiusu intra na stanza: ‘Acchianati i sordi si no mori’”.

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