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Magistrati non abbiano paura del Popolo

Magistrati non abbiano paura del Popolo
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Ordinamento e non Potere

Gli eventi relativi allo scontro fra Trump e Zelensky, nello Studio Ovale della Casa Bianca, hanno fatto sparire dal radar dell’informazione nazionale la Riforma costituzionale relativa alla separazione delle carriere fra magistrati giudicanti e magistrati requirenti.
Si capisce questa inversione della comunicazione data la gravità dei fatti avvenuti nella Casa Bianca, che è di fatto il centro del Potere dell’Occidente.
Continuare a cincischiare di principi teorici e del tutto lontani dalla realtà non serve a nulla, se non per darsi un conforto; il conforto dei parolai inconsistenti.

Torniamo ora alla riforma. Innanzitutto va precisato per l’ennesima volta che la Costituzione, articolo 104, prevede che la Magistratura costituisca un ordinamento e non un potere. Non si capisce perché tanti cosiddetti esperti, fra cui purtroppo giornalisti, continuano a riferire ai/alle lettori/trici ignari/e che si tratta di uno scontro fra poteri. Questa è una menzogna perché si tratta di uno scontro fra il Parlamento, che è un Potere, e la Magistratura, che è un Ordinamento.

La differenza fra Potere e Ordinamento non è di poco conto, perché chi ha il potere stabilisce le regole; chi fa parte di un Ordinamento, le applica, fermo restando il pieno e totale diritto di ciascun magistrato, che è un/a cittadino/a, di dissentire dalla linea politica di chi gestisce in un certo momento la questione pubblica.

Fatta chiarezza – e speriamo di non dovere più replicare per le ragioni esposte – ci meraviglia l’asprezza che c’è nel contrasto fra il ceto politico e quello dei magistrati su una riforma costituzionale che ha un iter lungo, perché dev’essere approvata quattro volte dalle due Camere, ma, cosa ancora più importante, se nelle ultime due volte non è approvata a maggioranza qualificata, ha bisogno del referendum confermativo.

Dunque, nella diatriba e nel contrasto vi è un giudice supremo che dirà se la Riforma si dovrà fare o se cadrà nel nulla. Chi è questo giudice supremo? Il Popolo, vale a dire quel complesso di elettori ed elettrici che si recherà alle urne e dirà sì o no alla riforma.
Non si capisce chi abbia interesse a sollevare questo polverone, che non avrebbe motivo di esserci sapendo ciò che abbiamo prima scritto e cioè che il giudice supremo è il Popolo, la cui sentenza è inappellabile, mediante proprio il citato referendum confermativo.
Non si sa se abbia più interesse chi si ritiene perdente o chi spera di diventare vincente in una lotta che coinvolge solamente una certa fetta dell’opinione pubblica, alimentata da una certa stampa schierata da una parte o dall’altra.

Gli esempi portati di ordinamenti giudiziari di altri popoli possono servire e non servire, perché ogni nazione ha le sue regole, le sue abitudini, le sue tradizioni, che non sempre coincidono con altre. Per conseguenza, il dibattito così aspro e continuo che si sta facendo anche sui media per questa Riforma è eccessivo e non è nell’interesse dei/delle cittadini/e, anche perché le due parti, Parlamento e Magistratura, dovrebbero dire a chiare lettere ai/alle cittadini/e che la questione sarà risolta quando la legge verrà sottoposta alla loro valutazione.

Il nostro è anche il Paese dei perditempo e dei parolai, di coloro che non hanno il senso dell’onore perché non mettono al primo posto l’interesse generale, bensì interessi particolari.
Tutto questo dispiace molto perché va constatato il regresso socio-economico del nostro Paese, con un Pil poco sopra allo zero, andamento che dura dal 2003 – come riferisce il rapporto Censis 2024 – periodo in cui il Pil effettivo, al netto dell’inflazione, è rimasto piatto, nonostante l’avvicendarsi di parti politiche di diversa estrazione (conservatori, liberali, socialisti). Sottolineiamo queste denominazioni, più appropriate rispetto alle altre (destra e sinistra) che risalgono nientemeno che all’Assemblée Nationale Française del 1789, ormai inadeguate e superate.

La questione lessicale non è di poco conto perché serve a comunicare cose mascherate o cose obiettive. Mentre ora serve quell’obiettività che dovrebbe indurre a eliminare la diatriba sulla Riforma per rinviarla, appunto, al prossimo referendum.