Mario Francese, a 43 anni dall’omicidio il ricordo di quattro colleghi giornalisti

Mario Francese, a 43 anni dall’omicidio il ricordo di quattro colleghi giornalisti
Mario Francese raccoglie una testimonianza

Era il 26 gennaio 1979 quando Mario Francese arrivò sotto casa, all’altezza del civico 15 di viale Campania a Palermo, quando un killer, Leoluca Bagarella, gli sparò con una calibro 38 alle spalle

Franco Nicastro, ex presidente Odg Sicilia: “L’approccio di Francese era, in quegli anni, quello di seguire le regole e i metodi del giornalismo d’inchiesta”

LEGGI L’ARTICOLO DALL’INIZIO. – «Mario Francese era un giornalista che ha sempre cercato di svolgere il suo lavoro nella maniera più semplice cercando le notizie e avendo i rapporti anche con i protagonisti delle vicende di cui si occupava. Rappresentava una figura tradizionale di cronista che stava sui fatti, che era presente e che assumeva il ruolo di testimone. In un’epoca in cui non c’erano internet e nemmeno i telefonini, lui andava in giro a raccogliere le notizie appuntandole sul block-notes che teneva sempre a portata di mano. Era in grado di esporsi nella ricerca dei fatti, nella composizione delle trame e di mettere assieme un quadro d’interessi complessivi che si muovevano assieme alle dinamiche interne alla mafia analizzando, per primo, il rapporto tra mafia e affari soprattutto attorno alla figura dell’emergente Totò Riina e che lui evidenziò anche con l’intervista a Ninetta Bagarella, la moglie, proposta per il soggiorno obbligato. La sua inchiesta su “mafia-appalti” fu un passaggio cruciale e decisivo e sicuramente questo accelerò la decisione della mafia di eliminarlo.

Mi occupavo, in quel periodo, di giudiziaria per “L’Ora” mentre lui se ne occupava per “Il Giornale di Sicilia”. Gli eventi hanno fatto sì che fui proprio io a sostituirlo al giornale nel ruolo di cronista giudiziario. In quegli anni tutti i giornali puntavano sulla qualità dell’informazione. Già nel 1958 c’era stata un’inchiesta del giornale “L’Ora”, quell’inchiesta che scatenò la rappresaglia della mafia che mise una bomba in tipografia. L’approccio di Francese era, in quegli anni, quello di seguire le regole e i metodi del giornalismo d’inchiesta e lo faceva con coraggio, a viso aperto e senza avere grandi coperture alle spalle e proprio per questa sua condizione si trovò esposto a una rappresaglia così crudele.

Ero a casa, quel 26 gennaio, perché mia moglie stava per partorire la nostra prima figlia. Ricevetti una telefonata. Corsi subito là, in viale Campania. Non ci misi molto a capire cosa fosse successo e le preoccupazioni e i timori che nutrivamo per l’esposizione dei cronisti che si occupavano di giudiziaria e di mafia trovarono quella sera una conferma perché quall’episodio era un attacco che veniva sferrato, attraverso la figura di Mario Francese, a quel modello di giornalismo.

C’era, inoltre, l’aspetto della spettacolarizzazione. Proprio in quel momento prende il via una stagione che è raccontata dalla Storia di quegli anni. Con Francese inizia, nel 1979, un anno di fuoco che introduce quel decennio di sangue che sono stati gli anni ‘80. Proprio quella stessa sera ci fu un altro omicidio con due morti. Si delineò una strategia sia criminale sia di politica criminale che mirava a eliminare giornalisti che davano fastidio come Mario Francese, politici come Michele Reina che era stato protagonista di un’apertura al dialogo con i comunisti, fu eliminato prima Giorgio Ambrosoli, a Milano, e poi Boris Giuliano, che era il modello di un investigatore moderno, che aveva innovato le tecniche investigative e che aveva, per primo, trovato un canale per arrivare a colpire la mafia, quello di seguire il denaro. Nel mese di agosto, inoltre, esplose la trama legata a Michele Sindona, quella che metteva insieme il potere criminale e quello economico e che ricattava la politica aperta al rinnovamento e più in generale al processo di rinnovamento della società e poi, a settembre, toccò a Cesare Terranova e Lenin Mancuso. In quel 1979 iniziò la strategia dei Corleonesi di scalata ai vertici di Cosa Nostra e di rimozione di tutti i personaggi scomodi, interni ed esterni alla mafia, e chiunque fosse portatore di una cultura antimafiosa veniva subito eliminato. Tutti questi delitti, anche se non avevano una relazione funzionale tra di loro, descrivevano però il quadro criminale che si stava componendo». IL RICORDO DI DANIELE BILLITTERI. CONTINUA LA LETTURA

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