Sergio Raimondi: “Aveva la consapevolezza di aver messo a fuoco una situazione, quella mafiosa, che solo dieci anni dopo sarà confermata”
LEGGI L’ARTICOLO DALL’INIZIO. – «L’omicidio di Mario Francese è stato sicuramente sottovalutato. Ho chiaro il ricordo che pochi, quasi nessuno, avesse capito chi e perché lo avessero ucciso. Negli stessi ambienti investigativi si pensò di cercare, erroneamente, la matrice dl suo omicidio all’interno il giornale. L’humus mafioso che viveva in questa città mise in piedi, in ambiti anche vicini al giornale, una campagna di delegittimazione di Francese fino a quando, finalmente, qualcuno non alzò il coperchio della pentola e la verità emerse immediatamente.
Non solo lavoravo nello stesso giornale, il “Giornale di Sicilia”, ma avevamo le scrivanie una accanto all’altra. Mario Francese era un uomo generoso ma anche ingenuo, una persona cristallina e, a volte, imprudente. Alcuni argomenti vanno trattati con una misura e un distacco che un cronista, allora come oggi, è necessario abbia perché il cronista racconta fatti sui quale può e deve indagare. A quell’epoca in Sicilia il giornalismo investigativo non esisteva, e forse nemmeno ora. Mario Francese era questo e, spesso, non aveva il senso della misura, della prudenza. Aveva la consapevolezza di aver messo a fuoco una situazione, quella mafiosa, che solo dieci anni dopo sarà confermata. Chi fosse Riina, al tempo già latitante, si sapeva ma intervistare Ninetta Bagarella sulle scale del Palazzo di Giustizia fu un atto rivoluzionario.
Mario Francese era un uomo autentico, onesto, generoso e che non si risparmiava mai. Arrivava verso le 16, dopo una giornata trascorsa a Palazzo di Giustizia, e buttava giù dieci, dodici pezzi e lo faceva a raffica, scrivendo senza filtri. Quando lui scriveva era “Cassazione” e i fatti successivi l’hanno dimostrato. Mario era anche molto modesto e consapevole dei propri limiti. Parla spesso in dialetto, un pò palermitano e un pò siracusano. Forse, come diceva lui, non scriveva in maniera brillantissima ma non scriveva cose di poco conto o di argomenti frivoli. Ho ricordo di una persona estremamente gentile, molto fragile ma con una grande forza, umana, morale e professionale. Per me è stato il simbolo di come si deve fare questo mestiere, un raggio di luce e un’ispirazione continua.
Il 26 gennaio c’eravamo incrociati al giornale nel pomeriggio, lui arrivava e io uscivo perché c’era stata una sparatoria in via del Giardino, dove fu gambizzato il titolare di un negozio. Era un fatto particolare perché la gambizzazione, in quel periodo, era appannaggio del brigatisti, del terrorismo rosso. Quando rientrai al giornale Mario non c’era perché era già andato via. Squillò il telefono sulla sua scrivania e, anche se non era una mia abitudine, risposi. Era Fabio, uno dei figli, che lo cercava per avvertirlo che c’era stato un omicidio sotto casa loro. Un brivido corse lungo la mia schiena, come se avessi avuto una premonizione. Dopo poco, come una furia, arrivò Lino Rizzi, il direttore, urlando “Hanno ammazzato Francese”. Quasi svenni. Mi misi a piangere come un bambino e fui consolato dalle braccia quasi materne di Marina Pino, una collega, che piangeva con me. I colleghi andarono in via Campania ma io non riuscii ad andarci. Dopo poco meno di un’ora dalla radio, quella sintonizzata sulle frequenze di Polizia e Carabinieri, arrivò la notizia che in zona Villagrazia erano stati trovati due morti. Cercai di riprendermi dallo shock e andai anche perché non si poteva escludere che questi due omicidi potessero avere un collegamento con l’omicidio di Mario. In realtà non fu così.
Avevo 29 anni, al tempo, mentre Mario ne aveva 54. Era come se fosse morto un fratello maggiore, forse un padre, una persona cui, fino a quel momento, avevi fatto riferimento, professionalmente parlando. Era un cronista che consumava veramente le suole delle sue scarpe, che aveva persone da cui, anche pericolosamente, prendeva notizie, che raccontava le cose con onestà, senza mai farsi corrompere da nessuno e da niente e il suo stile di scrittura era trascurabile perché l’esempio era l’uomo, con i suoi pregi e i suoi difetti, era il cronista, quell’individuo che, al di là delle sue stesse forze anche fisiche, era disponibile anche a morire per il proprio mestiere».
Oggi, a Palermo, Mario Francese è ricordato in viale Campania, nel suo in cui è stato ucciso ma il suo ricordo è e sarà sempre nella penna che noi giornalisti usiamo che per scrivere.
Roberto Greco

