Dal piccolo Di Matteo alle stragi del '92: l'interrogatorio di Messina Denaro dopo l'arresto.
Matteo Messina Denaro è morto e non si è mai pentito: con sé nella tomba porta i segreti sulle stragi e sugli omicidi di Cosa nostra, così come i misteri irrisolti di un’era della mafia siciliana di cui è stato protagonista di rilievo. “Con voi parlo, ma non collaborerò mai“: queste le sue prime parole al procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e il magistrato Paolo Guido dopo l’arresto dello scorso 16 gennaio.
Eppure, tra una sfida e l’altra del boss che ha mantenuto la sua lucidità e la sua spavalderia fino al momento della morte, qualche dettaglio è emerso, qualche racconto c’è stato. Non abbastanza da rispondere alle mille domande sull’agenda rossa di Paolo Borsellino, sull’atroce fine di Antonella Bonomo, sul brutale omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, sugli “affari” ancora in vita di Cosa nostra; però, si tratta comunque di dettagli fondamentali per ricostruire l’azione e la cultura mafiosa, studiarne l’evoluzione e mettere in campo tutti gli strumenti per non smettere mai di cercare la verità.
Matteo Messina Denaro, cosa ha detto su stragi e omicidi
Ci sono state domande a cui Messina Denaro ha risposto, altre che hanno trovato risposta nei silenzi e nei sorrisi “subdoli”. Nel libro “La cattura“, il procuratore De Lucia e il giornalista Salvo Palazzolo spiegano bene la strategia comunicativa del boss di Castelvetrano e, più in generale, dei mafiosi: “Non oppongono più il silenzio, ma provano a imporre la loro verità in maniera subdola”.
Diceva di non fare parte di Cosa nostra, di conoscerla solo “dai giornali” e alla domanda “stragi, omicidi, lei non c’entra niente?” rispondeva “No, nella maniera più assoluta”. Ha negato di aver commesso omicidi, di aver trafficato droga, di essere stato protagonista di episodi di estorsioni. Avrebbe detto perfino di non aver mai conosciuto Bernardo Provenzano, non visivamente almeno. Tra i “favori” che Provenzano gli avrebbe chiesto, poi, ci sarebbero state tante “questioni di soldi”, ma nessun omicidio.
Il caso Di Matteo
Messina Denaro è stato condannato non solo come mandante delle stragi del 1992-1993, ma anche per il caso di Giuseppe Di Matteo (sequestro e omicidio) e per il presunto coinvolgimento in altri 14 assassini avvenuti tra la metà degli anni Ottanta e l’inizio della latitanza.
Sul caso di Di Matteo, figlio del Santino Di Matteo, collaboratore di giustizia ed ex-mafioso, Messina Denaro ha detto: “Io non sono un santo, ma non c’entro niente con l’uccisione del bambino”. Avrebbe ammesso solo il coinvolgimento nel sequestro del piccolo. “Allora, lui (Brusca, ndr) diche che in un paese, non so dove, ci incontriamo: lui, Giuseppe Graviano, un Graviano non tutti e due, Bagarella e io. Là si decide di sequestrare questo bambino, per far ritrattare il madre. Ma io non c’entro con le cose id San Giuseppe Jato e di Altofonte, io sono di Trapani. Ma facciamola passare”.
Al procuratore De Lucia avrebbe detto: “Lei mi insegna che un sequestro di persona ha una sua finalità, che esclude l’uccisione dell’ostaggio, perché un sequestro a che serve? A uno scambio: tu mi dai questo e io ti do l’ostaggio”. A dire le parole “Allibertati du cagnuleddu” (liberati del cagnolino) sarebbe stato Brusca: nella versione di Messina Denaro, quindi, sarebbe lui il mandante dell’omicidio.
I segreti di Messina Denaro sulle stragi e sugli omicidi probabilmente sono molti di più. Difficilmente si scopriranno altre verità, anche se le indagini e la lotta contro la mafia non si sono arrestate né si arresteranno con la morte di Messina Denaro.