In Parlamento tre proposte di legge per dare una casa dignitosa a 2.400 famiglie messinesi. Intanto, l’Agenzia per il risanamento è ancora alla ricerca di case disponibili sul mercato
MESSINA – Come nel 1990, una legge da varare e a cui legare il destino delle aree degradate dalle baraccopoli. Come trent’anni, fa la soluzione sembra racchiusa in un finanziamento, circa 250 milioni di euro, con la speranza che stavolta la presenza di un commissario possa riuscire allo scopo: spendere tutte le risorse in tempi rapidi per dare una casa dignitosa alle 2.400 famiglie e riqualificare i circa 72 insediamenti.
Stavolta però non ci si affida a una legge regionale perché, dicono i promotori, le baraccopoli messinesi sono da considerare una questione nazionale. L’iter della legge è stato avviato con le audizioni in Commissione Ambiente della Camera dei Deputati. In realtà sono tre le proposte presentate: oltre a quella a firma della deputata di Forza Italia Matilde Siracusano ci sono anche i testi sottoscritti dal Pd Pietro Navarra e dall’esponente del M5s Francesco D’Uva. L’obiettivo è giungere alla stesura di un unico testo da presentare in Parlamento per l’approvazione.
Mentre a Roma si sta facendo questo percorso, che potrebbe non risultare né breve né facile, a Messina ArisMe, l’agenzia nata per attuare il Risanamento, dovrebbe procedere con l’acquisto delle case disponibili sul mercato e dare seguito ad alcuni impegni assunti nel corso di riunioni e tavoli tecnici. Finora però è stata impresa ardua persino abbattere le casupole lasciate dai fortunati che hanno avuto assegnata un’abitazione e smaltirne i materiali. In zone dell’ambito C, come Camaro Sottomontagna, ci sono ancora le baracche lasciate dopo le assegnazioni di dicembre 2018. Un problema su cui sono tornati a chiedere una soluzione, il consigliere comunale Libero Gioveni e della terza Municipalità Alessandro Cacciotto.
“Dobbiamo purtroppo constatare – hanno affermato – che dalle parole non si è passati ai fatti, visto che dopo il tavolo tecnico che avevamo chiesto al sindaco il 13 febbraio 2020 e che si è svolto il 21 febbraio, nulla si è mosso in termini pratici, al netto del periodo legato al Covid. Da allora si sono susseguiti solo annunci o giustificazioni da parte del presidente di ArisMe Marcello Scurria”.
Durante la riunione di febbraio si era stabilito di procedere celermente per liberare l’area. A marzo si era tenuta un’altra riunione per avviare le procedure amministrative con la necessaria documentazione e a maggio c’era stato un sopralluogo dell’assessore al Risanamento, Salvatore Mondello, insieme al presidente di ArisMe Scurria e di MessinaServizi Pippo Lombardo. Si evidenziava che si era passati alla fase operativa con lo sgombero di suppellettili e materiali lasciati nel perimetro delle baracche.
L’ex vice sindaco aveva anche ribadito che era stata predisposta una fase di videosorveglianza per scongiurare eventuali depositi di rifiuti e una prima valutazione dei quantitativi di amianto da smaltire nel più breve tempo possibile. Un’attività questa che necessita di una procedura complessa, evidentemente non completata, e che insieme all’emergenza Covid, ai tempi per la gara di affidamento, alla necessità di reperire i fondi, ha bloccato ogni intervento.
Eppure a febbraio, come detto da Gioveni “era emersa chiaramente, con l’avallo dello stesso sindaco De Luca, l’improcrastinabile necessità di sbaraccare il più possibile queste strisce di tuguri pieni di materiale nocivo e rifiuti vari che stanno esasperando i residenti delle abitazioni limitrofe e con dei vecchi sottoservizi fognari ai quali Amam non può accedere per risolvere anche delle problematiche presenti a ridosso dell’area”.
“Basterebbe andare sui luoghi – hanno concluso Gioveni e Cacciotto – per rendersi conto della gravità di una situazione ambientale che dura già da un anno e mezzo e che quindi non può più essere tollerata. Ribadiamo l’urgenza sia di procedere con l’assegnazione degli alloggi a chi vive ancora oggi nella restante baraccopoli dell’Ambito C di Camaro-Bisconte, sia contestualmente alla demolizione delle baracche, come modus operandi, per evitare nuovi ingressi”.