Musumeci, in Sicilia il passato ritorna: le incompiute di ieri, problemi di oggi - QdS

Musumeci, in Sicilia il passato ritorna: le incompiute di ieri, problemi di oggi

Musumeci, in Sicilia il passato ritorna: le incompiute di ieri, problemi di oggi

Raffaella Pessina e Patrizia Penna  |
venerdì 10 Marzo 2023

Schifani: “Nessuno ha mai pulito i letti dei nostri fiumi”: l’emergenza nel Ragusano riporta sotto i riflettori il non fare dei precedenti governi. Ecco perché la Sicilia non riesce a voltare pagina

Non è vero che il passato è passato. E non sempre è possibile buttarselo alle spalle come niente fosse e voltare pagina.
Cuffaro, Lombardo, Crocetta, Musumeci: l’inerzia, il “non fare” della politica siciliana ha scandito per troppo tempo la nostra storia: tanti i governi che si sono succeduti ma che non hanno lasciato il segno, condannandoci così ad un futuro incerto e ben al di sotto delle nostre potenzialità (che sono invece enormi). Lo sa bene anche Renato Schifani, oggi presidente della Regione siciliana che, a prescindere dai disastri causati dalla pandemia, ha ereditato una Sicilia in ginocchio.

Certo, a Nello Musumeci non può attribuirsi la responsabilità esclusiva delle condizioni in cui verte la Sicilia ma se guardiamo ai fatti, numeri alla mano, non possiamo certo dire che abbia contribuito a far uscire la nostra Isola dalla situazione di sottosviluppo e di fragilità economica e produttiva in cui si trova.

Ed ecco che il passato ritorna e condiziona il presente e il futuro. Cambia il governo e la sensazione è che si stia ripartendo da zero. E che la strada sarà ancora per molto tutta in salita.
Con buona pace dei trionfalismi e della Sicilia “con le carte in regola”.

Società partecipate e sfascio Ast

Desta preoccupazione il futuro dell’Azienda Siciliana Trasporti del Trasporto Pubblico Locale Regionale: bilanci in rosso e incertezza per i 250 lavoratori della partecipata regionale e per le loro famiglie.
La crisi della Società che sta impegnando in queste settimane il governo regionale, alla ricerca di una soluzione, è solo la punta dell’iceberg, a dimostrazione del fatto che sulle partecipate regionali si consuma ormai da troppo tempo il gioco “sporco” della politica: clientelismo, sprechi e gestione dissennata della cosa pubblica.
Il deputato regionale del Movimento Cinquestelle, Luigi Sunseri nel luglio 2021 presentò un dossier (chiamato “Il lato oscuro della Regione”) con cifre e dati inediti relativi a sprechi delle partecipate e degli enti siciliani.
Dal dossier è emerso che in Sicilia sono 163 le aziende pubbliche controllate dalla Regione, delle quali molte hanno bilanci in passivo.
L’elenco è lungo e corposo: 71 enti, 13 società partecipate, 24 organismi strumentali e 55 in liquidazione. In questo settore sono impiegati in totale 6.997 dipendenti, pari a circa la metà dei lavoratori diretti regionali. Il solo personale delle 13 partecipate costa 235 milioni di euro.
Numeri da capogiro ma solo parziali perché in realtà nessun governo, Musumeci incluso, non è riuscito ad avviare quella “operazione trasparenza” su bilanci e costi più volte auspicata dalla Corte dei Conti.
“Le partecipate regionali – hanno scritto i magistrati contabili – si sono dimostrate geneticamente prive di sostenibilità economica”.

Rete idrica, manca il Piano

Le reti idriche colabrodo sono state al centro di tantissime inchieste del Quotidiano di Sicilia: il dato, relativo alla “perdita” di oltre metà dell’acqua che finisce nel sottosuolo ancor prima di essere utilizzata, è noto da tempo.
“Reti colabrodo e acqua a singhiozzo, in Sicilia un servizio idrico indegno di un Paese civile”: lo scrivevamo nel 2019 rilevando un deficit che nessun governo è riuscito a colmare visto che gli investimenti industriali nel settore delle infrastrutture idriche sono più elevati nel Centro-Nord rispetto alla Sicilia, con una differenza di investimenti netti pro capite che vale più del doppio.

Mentre la Regione siciliana, nella passata legislatura, ha cercato di correre ai ripari con interventi mirati, seppur sporadici (anziché lavorare ad un Piano strutturale per la manutenzione), la vera grande opportunità per premere l’acceleratore sul recupero del disavanzo siciliano in termini di approvvigionamento idrico ci è stata offerta, dal Pnrr. Ma, notizia che risale all’agosto del 2022, proprio alla Sicilia, regione con le più vaste perdite idriche, nell’ordine in media del 50%, andrà solo il 3% dei 607 milioni, a valere sul Pnrr, che il Mims ha annunciato in pompa magna come stanziamento eccezionale per ridurre gli sprechi nelle reti colabrodo. Degli altri. Questo perché i progetti siciliani sono usciti sconfitti dalla competizione con quelli delle altre regioni, ottenendo un punteggio inferiore alle proposte stilate da tecnici toscani o lombardi e dunque non riuscendo a entrare in una posizione utile per ottenere i fondi. Il “water gap”, ossia il divario infrastrutturale esistente tra il Nord e l’Isola, è destinato a crescere ancora e principalmente, come si può facilmente dedurre, per una delle più gravi emergenze meridionali in atto: la scarsa presenza di personale competente nelle pubbliche amministrazioni (partecipate comprese) del Sud.

Sicilia impreparata anche sul fronte siccità: secondo l’Autorità di Bacino, il 35% della capienza idrica delle 44 dighe è formato da detriti e fanghi da ripulire. Per farlo servono soldi che adesso Schifani dovrà chiedere a Roma.
Il ministro Musumeci valuta misure straordinarie per intervenire dove lui non è intervenuto da presidente della Regione.
E anche sulla gestione della risorsa idrica la sensazione è che, come nel gioco dell’oca, la Sicilia sia tornata al punto di partenza.

“Munnizza”, l’emergenza è rimasta tale

Nell’inchiesta che il Quotidiano di Sicilia ha pubblicato lo scorso 8 febbraio, il nostro Gabriele D’Amico ha fatto il punto sul paradossale balzo indietro compiuto dal governo Schifani sul fronte termovalorizzatori: “Sono ormai un lontano ricordo le dichiarazioni sui termovalorizzatori e sulla ‘risoluzione del problema rifiuti’ – scrive il nostro giornalista – fatte in campagna elettorale da quella che di lì a poco sarebbe diventata la futura maggioranza della politica siciliana. Oggi, dopo quasi cinque mesi dalla vittoria elettorale, il Governo Schifani va indietro tutta. Il lavoro portato avanti dal precedente esecutivo regionale per realizzare due termovalorizzatori in Sicilia? Cestinato. “Basato su dati del Governo Renzi”, dice l’assessore Di Mauro. E tutto inizia da capo, mentre si autorizzano nuove discariche nel ragusano, continuano i lavori per le nuove vasche di Palermo e Trapani e sul tavolo ci sarebbe anche un ‘piano da 150 milioni concordato con il presidente Schifani’ per garantire alla Sicilia un’autonomia cinquennale di abbancamento dei rifiuti”.

Non solo l’inversione di marcia sui termovalorizzatori ma anche il silenzio più totale sulla possibilità di incrementare gli impianti per il recupero di materia.
Il “reset” si è registrato anche a livello dirigenziale, con il cambio al vertice del dipartimento Acqua e rifiuti. Un cambio che vede protagonisti l’uscente Antonio Martini (che torna a ricoprire solo la carica di vertice al dipartimento Energia) e l’entrante, ad interim, Maria Letizia Di Liberti.

Ars: stop al voto segreto, anzi no

Non possiamo dire che sia una responsabilità diretta di Nello Musumeci ma della sua maggioranza sì.

Stiamo parlando del voto segreto, strumento abusato dalla politica e la cui abolizione è stata più volte invocata dagli stessi partiti, senza però che si arrivasse a qualcosa di concreto.

Gianfranco Miccichè, appena eletto presidente dell’Assemblea regionale siciliana, disse alla stampa: “Il voto segreto è assurdo, lo eliminò Craxi in Italia e noi siamo gli unici a livello regionale a mantenerlo: spesso siamo in vantaggio rispetto al Paese in tema di riforme, in questo caso no. Non è facilissimo però eliminare il voto segreto, ne stiamo discutendo e porterò in commissione regolamento una proposta”.

Nulla di fatto. Con il voto segreto, proprio di recente, i cosiddetti “figli d’Ercole” sono riusciti a far passare l’aumento della propria indennità parlamentare: 890 euro lordi mensili in più per via dell’adeguamento secondo la variazione dell’indice Istat del costo della vita.
Complimenti.

Burocrazia, la riforma che non c’è

La riforma della burocrazia regionale è un’altra grande incompiuta del governo Musumeci e di tutti quelli che lo hanno preceduto.
Efficienza, merito, produttività sono principi che Palazzo d’Orléans purtroppo sconosce, con grave danno per cittadini e imprese costretti a interfacciarsi con una pubblica amministrazione regionale disorganizzata, senza qualità e incapace di gestire in modo proficuo le enorme risorse (soprattutto europee) disponibili.
Ad oggi il contratto del personale del comparto non dirigenziale è fermo al triennio 2016-2018 mentre quello della Dirigenza è fermo al 2005.
“A dicembre del 2019 – ci ha spiegato in una intervista pubblicata sul QdS del 9 aprile 2021 Giampaolo Simone, segretario Dirsi, sindacato dei dirigenti della Regione – è stata sottoscritta l’ipotesi di contratto per il personale dirigente (copiato dal Ccrl dello Stato) relativo al triennio 2016-2018 (purtroppo già scaduto sul nascere, ma meglio di niente). Dopo più di un anno, ed alcune rimodulazioni volute dal governo, la Corte dei Conti a gennaio 2021, ha bocciato tale ipotesi per carenze finanziarie”.
La Finanziaria 2021 aveva previsto lo stanziamento di 52 milioni di euro per l’aggiornamento del contratto dei dipendenti regionali (2019-2021). L’8 maggio di quell’anno, il QdS faceva il punto con l’assessore Marco Zambuto che annunciava entro il mese di luglio l’emanazione delle direttive Aran con la promessa che avrebbero dato “ampio spazio alla valutazione oggettiva della produttività e alla valorizzazione della stessa sia in termini economici che professionali”.
A parte qualche plateale accusa rivolta da Musumeci ai “dipendenti fannulloni” (ai quali, però, si distribuiscono premi di risultato per circa 8 milioni di euro l’anno) e una legge regionale, la n. 7/2019, rimasta lettera morta, anche il governo Musumeci sulla riforma burocrazia non è stato in grado di operare la svolta.

Strade e ferrovie, in Sicilia è ancora il Medioevo

“Abbandono e degrado” della rete autostradale e “grave incuria nella gestione della manutenzione dell’infrastrutture”: la situazione gravissima dell’autostrada Palermo-Catania ha costretto Renato Schifani a prendere carta e penna e a inviare all’amministratore delegato dell’Anas, Aldo Isi, una missiva “di fuoco” a cui ha fatto seguito, l’annuncio di un piano di nuovi investimenti da 250 milioni di euro.
Ma di roboanti annunci, ne abbiamo sentiti parecchi in questi anni.

Rete ferroviaria siciliana? Di male in peggio: di qualche giorno lfa la notizia che dal 13 marzo e fino al 2025, per il completamento del raddoppio della tratta Catenanuova-Bicocca, verrà soppresso il Frecciabianca Palermo-Catania, sostituito da bus con base di partenza/arrivo da Dittaino.
Recentemente, Legambiente ha pubblicato il rapporto Pendolaria 2023: uno studio che mette in evidenza i cronici ritardi dell’Isola e del Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia. Un deficit reso emblematico dallo scarto tra le corse quotidiane dei treni regionali in Sicilia e Lombardia, 506 contro 2.173.

Ex Province, il sogno di Crocetta è l’incubo dei siciliani

Il taglio dei costi della politica era il sogno del governatore Rosario Crocetta ed è diventato l’incubo dei siciliani.
La riforma del 2014, anche dopo Crocetta, è rimasta una grande incompiuta e ha continuato a produrre effetti negativi.

Nove anni dopo i liberi consorzi sono amministrati da commissari regionali, non hanno fondi sufficienti per garantire adeguati standard di esercizio delle funzioni (manutenzione ordinaria di scuole e strade, servizi per gli alunni con handicap ecc); incontrano notevoli difficoltà a predisporre il bilancio previsionale, alcuni enti hanno sospeso l’erogazione di servizi fondamentali e segnalato il concreto rischio di default.

Da segnalare, nel corso della precedente legislatura, una legge regionale che ha tentato di reintrodurre l’elezione diretta da parte dei cittadini dei vertici delle nuove province: la norma è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale.
Si è tentato in più occasioni di mettere mano alla riforma ma invano. Ex Province trasformate in contenitori vuoti, di concreto è rimasto solo il caos istituzionale e un ddl che ora punta a ripristinarle.

Cosa è successo tra il 2018 e il 2022

Pil, altro che 100 mld

“Il Paese è fermo, il Sud in recessione. Le due Italie si allontanano sempre di più”.
Il 2022 si è chiuso con il rapporto shock della Svimez che ha certificato previsioni tutt’altro che rosee per il nostro Paese: nel 2023 al Sud il prodotto interno lordo si contrarrà fino a -0,4%, mentre quello del Centro-Nord, pur rimanendo positivo a +0,8%, segnerà un forte rallentamento rispetto al 2022. Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi invece intorno al +0,5%.

Numeri che hanno mandato in fumo il “sogno” di Gaetano Armao, vicepresidente e assessore regionale all’Economia nel Governo Musumeci che (era il 26 settembre 2021) aveva previsto nel 2024 una crescita senza precedenti per il prodotto interno lordo siciliano che avrebbe raggiunto i 100 miliardi di euro.
Tutti i giornali riportarono questo dato sorprendente, ad eccezione del Quotidiano di Sicilia, unica testata a sollevare perplessità su questi numeri generosi poi confermate da economisti, imprese e persino dalla Banca d’Italia.
Nulla di quanto è stato prospettato, in termini di crescita e sviluppo è accaduto, né tanto meno potrà accadere, quanto meno a breve termine. E a condizionare i numeri (deludenti) non può essere solo l’emergenza pandemica ma un tessuto produttivo che non ha ricevuto adeguati stimoli e che non riesce ad uscire da quella condizione di fragilità estrema che lo contraddistingue da sempre.

“Benedetti” sussidi

Salvati dai sussidi. Possono sintetizzarsi così gli ultimi anni che hanno visto la Sicilia “regina d’Italia” per numero di percettori di misure assistenziali. I numeri ci dicono che l’assistenzialismo ha in qualche modo attutito l’impatto dello tsunami povertà che si è abbattuto sulla Sicilia.

Cosa sarebbe accaduto agli indigenti senza questi pannicelli caldi non si sa e non si sa nemmeno cosa accadrà a breve ora che il Reddito di cittadinanza ha praticamente le ore contate.
Secondo l’Osservatorio Inps, a gennaio 2023 la Sicilia conta oltre mezzo milione di percettori di Reddito di cittadinanza.
Il sussidio a Cinquestelle può dunque essere considerato un “termometro” per misurare il grado di disagio economico nella nostra Isola.
I dati Inps ci dicono che in Sicilia nel 2019 erano coinvolte 499.421 persone, per un importo mensile medio di 545,66 euro.
Nel 2020 i sussidiati sono saliti a 685.173, per un importo di 583,87 euro; nel 2021, i numeri sono saliti ancora: 733.456 persone coinvolte, per un importo di 595,10 euro.
Lockdown ed emergenza pandemica hanno colpito in pieno la Sicilia: oltre 788.000 le famiglie siciliane che nel 2020 hanno visto calare il proprio reddito a causa del Covid-19. Questi i dati dell’indagine condotta per Facile.it da mUp Research e Norstat.
L’incidenza della povertà relativa è scesa in Sicilia dal 24,3% del 2019 al 17,7% del 2020 ma “il merito”, come certifica l’Istat, è delle misure assistenziali. In aumento, invece, la povertà assoluta che raggiunge la soglia del 9,8% rispetto al 9,4% del 2019.

Mercato del lavoro

La crisi imperversa, e sempre più siciliani nell’anno in corso rimarranno senza lavoro. I dati elaborati dalla Cgia di Mestre su dati Prometeia mostrano come sia stimato che dal 2022 al 2023 i disoccupati cresceranno di quasi 13 mila unità, passando da 272.632 a oltre 285 mila, con una variazione percentuale del 4,7%. La Sicilia si trova così in cima alla classifica italiana, seguita dal Lazio, di poco sotto, e dalla Campania, che segna circa 11 mila disoccupati in più.
Per dare una svolta a questi numeri desolanti, servono dei Centri per l’impiego efficienti, che mettano realmente in collegamento domanda e offerta di lavoro. Ma serve soprattutto una formazione regionale che guardi alla digitalizzazione, ai mestieri del domani e ad un mercato del lavoro in costante evoluzione.

Secondo Unioncamere-Anpal, sono circa 20mila le offerte di lavoro in Sicilia solo a febbraio. Un profilo su due non si trova perché mancano i candidati oppure perché chi si candida non ha le competenze richieste. Una richiesta di assunzione su tre non fa riferimento ad un titolo di studio nello specifico ma le aziende continuano ad avere difficoltà a reperire persino il personale non qualificato. Un mismatch che negli anni è soltanto peggiorato. In Sicilia e non solo.

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