Sicilia al di sotto della media nazionale per aspettativa di vita. Nascite in calo e condizioni di vita precarie: il quadro certificato dall'Istat.
Sempre meno figli in Sicilia e contemporaneamente aumentano i decessi. Un 2022 che sa di perdita, per una regione in cui il tasso di natalità si ferma al 7,6%, mentre il tasso di mortalità sale al 12,3%, con un tasso di crescita naturale del -4,7%.
I dati dell’Istat relativi agli indici demografici del 2022 mostrano un quadro piuttosto desolante: la speranza di vita degli uomini è sceso dello 0,3 dal 2021, posizionandosi sui 79 anni e 5 mesi, mentre per le donne il valore rimane fermo a 83 anni e 5 mesi. I decessi sono stati in totale 59.200, 600 in più rispetto al 2020.
La regione si pone, in tal modo, al di sotto della media nazionale. In Italia, infatti, gli uomini hanno una speranza di vita di 80 anni e mezzo, mentre per le donne si sale a 84 anni e 10 mesi.
Contrazioni nelle nascite, sempre meno figli in Sicilia
Al contrario, le nascite in Sicilia sono state 36.800, con una variazione percentuale in negativo dell’1,3% rispetto al 2021. Mediamente, ogni donna ha 1,35 figli, con una età media al primo parto di 31 anni e mezzo. In questo caso la regione si comporta meglio della media italiana, che ha visto una riduzione delle nascite del -1,9%, con 1,24 figli per donna, che affronta il suo primo parto intorno ai 32 anni e mezzo.
Nella penisola, la regione con la fecondità più alta è il Trentino-Alto Adige, con un valore pari a 1,51 figli per donna, seguita dalla Sicilia e dalla Campania. In questo insieme di regioni le madri sono mediamente più giovani, con valori dell’età media al parto compresi tra il 31,4 della Sicilia e il 32,1 del Trentino-Alto Adige. Nel Mezzogiorno, che presenta un valore del tasso di fecondità totale di 1,26, solo Sicilia, Campania e Calabria hanno una fecondità al di sopra della media nazionale (rispettivamente 1,35, 1,33 e 1,28 figli per donna).
Liguria regione più anziana
La Liguria è, invece, la regione più anziana, con una quota di over 65enni pari al 28,9% e una di ultra 80enni del 10,4%. Seguono il Friuli-Venezia Giulia (26,9% e 9,1%) e l’Umbria (26,8% e 9,2%). La regione con le percentuali più basse di ultrasessantacinquenni e ultraottantenni è la Campania (20,6% e 5,6%), seguita dal Trentino-Alto Adige (21,8% e 7%) e dalla Sicilia (22,9% e 6,7%).
Secondo gli analisti dell’Istat, le variazioni congiunturali della speranza di vita che si stanno rilevando nell’ultimo triennio siano ancora fortemente correlate a quella che è stata l’evoluzione della pandemia dal 2020 in poi. I parziali recuperi di quanto perso nel periodo più critico (che è stato diverso da regione a regione) sono dovuti all’efficienza del sistema sanitario, pesantemente sottoposto a pressione, sia alla preoccupazione che psicologicamente può aver indotto le persone (soprattutto se donne e se fragili) ad avvalersi meno che in passato dei servizi medico-sanitari.
Condizioni economiche precarie
Sicuramente, le condizioni economiche precarie di molte famiglie, che si sono trovate a dover fare i conti con una crisi pesante dovuta alla pandemia prima e alla guerra in Ucraina, poi, ha spinto molte giovani coppie a non intraprendere il cammino della genitorialità. La Banca d’Italia ha calcolato che un figlio, da 0 a 18 anni, in Italia costa mediamente 640 euro al mese. Dalla nascita al 18esimo compleanno, si arriva a circa 300 mila euro. Con un aumento generale della spesa pari a oltre il 25% negli ultimi vent’anni.
Nonostante i proclami del Governo Meloni, che spinge per un aumento della natalità, il Paese è agli ultimi posti della classifica europea in termini di aiuti alle famiglie. Sono aumentate anche le disuguaglianze: nel 1996 le famiglie abbienti potevano permettersi di spendere il doppio rispetto a quelle meno fortunate; oggi tale forbice si è ulteriormente allargata, passando a 2,7 contro 1.
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