Reti idriche, l'intero sistema è un colabrodo - QdS

Reti idriche, l’intero sistema è un colabrodo

Adriano Agatino Zuccaro

Reti idriche, l’intero sistema è un colabrodo

venerdì 22 Gennaio 2021

Istat: nell’Isola anche nel 2019 il record di famiglie che denunciano disservizi (più di mezzo milione, il doppio di quelle calabresi) Il professore Mazzola: “Perdite superiori al 50%, Regioni e Comuni non hanno le competenze per attivare progetti nel settore”

Siamo appena entrati nel 2021 e il diritto all’acqua non è ancora una certezza in ampie parti della Sicilia. In alcune aree del Comune di Erice i residenti fanno i conti con una sistematica “interruzione della fornitura idrica, per periodi anche di cinque giorni”. Ed anche quando arriva ad uscire dai rubinetti si tratta di un liquido di cattiva qualità.

Una situazione, denunciata appena qualche settimana fa dall’associazione Codici, che si ripete identica in diverse città dell’Isola, alle prese con le pessime condizioni di una rete idrica vetusta e logora. L’Istat ha certificato come, ancora nel 2019, ci siano 552.000 famiglie siciliane che denunciano irregolarità nell’erogazione dell’acqua. Si tratta del dato regionale peggiore in assoluto in Italia: per arrivare al secondo posto bisogna “scendere” fino alla Calabria, dove a lamentarsi sono state 244.000 famiglie. Il trend è rimasto sostanzialmente invariato da un decennio: infatti, se è vero che nel 2017 il dato di tali nuclei siciliani ha toccato la quota record di 716.000 denunce, va detto che i numeri del 2019 sono più o meno in linea coi dati dal 2008 al 2016 e quindi non c’è stato un miglioramento sostanziale della situazione. E questo è un indice importante per capire come negli ultimi dieci anni non sia stato fatto proprio nulla per invertire uno scenario da Terzo mondo.

La quota di famiglie poco soddisfatte del servizio idrico supera di gran lunga la percentuale di quelle molto soddisfatte in Calabria (25,7% poco soddisfatte contro 13,0% molto soddisfatte), Sardegna (24,3% contro 11,1%) e Sicilia (23,8% contro 11,2%), prosegue l’Istat. Rispetto all’assenza di interruzioni della fornitura, quasi il 90% delle famiglie italiane si dichiara molto o abbastanza soddisfatto, tranne che in Calabria, Sicilia e Sardegna, dove molte famiglie risultano poco o per niente soddisfatte (rispettivamente 36,8%, 32,4% e 25,6%).

Nell’ultimo censimento delle acque per uso civile (anno 2018) si sottolinea che le perdite più alte nelle infrastrutture di rete si rilevano nei distretti di Sardegna (51,2%) e Sicilia (50,5%). Un dato che supera di otto punti percentuali la media italiana (42%, lievemente in crescita rispetto al 41,4% registrato tre anni prima), ma la realtà è perfino peggiore dei numeri. “Si può ragionevolmente affermare che la reale percentuale di perdite è maggiore del 50%; una rete è efficiente se il suo livello di perdite è prossimo al 15-20%”, spiega al QdS Mario Rosario Mazzola, professore ordinario di costruzioni idrauliche all’Università di Palermo e consulente del Governo (Mef e Mit) per la selezione dei progetti del Recovery plan italiano (vedi intervista in basso).

Un “water gap” che è prima di tutto infrastrutturale, ma che le Regioni meridionali, a partire dall’Isola, ignorano. E infatti, nel rapporto “Sud” del Sole 24 ore, si legge come solo il 27,8% dei progetti di infrastrutture idriche, che potrebbero confluire nel Recovery plan italiano, proviene dalle regioni meridionali. Un paradosso se si considera che è il Mezzogiorno ad avere decenni di ritardi da recuperare. D’altronde le risorse previste dal Governo nazionale non bastano. “Nel Recovery – aggiunge ancora Mazzola – sono previsti 900 milioni per la digitalizzazione e il rifacimento della rete idrica. Risorse che bastano per la prima, ma sono assolutamente insufficienti per la seconda”.

Insufficiente come la capacità di progettare al Sud. Michaela Castelli – presidente di Utilitalia (Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas) – un paio di mesi fa ha avviato un’analisi per individuare i progetti ritenuti dalle sue associate tali da poter essere inclusi nel Piano nazionale. Nei piani allo studio, infatti, su un totale di interventi statali per il settore che prevedono investimenti per 14,9 miliardi, la quota meridionale è di soli 3,8 miliardi. “Dal Mezzogiorno poche proposte e nessuna sul dissesto idrogeologico” specifica Castelli.

Una questione atavica quella della qualità delle reti idriche e dell’acqua in Sicilia connessa ad un groviglio di competenze o mancanze di competenze. “Regioni e Comuni – prosegue Mazzola – non hanno assolutamente le competenze per attivare progetti validi in questo settore. E inoltre non sono loro i soggetti che hanno competenze nel segmento idrico. O più precisamente la Regione è attualmente competente solo per le grandi infrastrutture di approvvigionamento con l’eccezione delle opere affidata a Siciliacque”. A ciò si aggiunga la “mancanza di gestori efficienti” e il dato di fatto che “proprio la differente numerosità di gestori industriali efficienti nel Nord rispetto al Sud è la ragione fondamentale della diversa capacità di produrre progetti”, afferma il professore.

Problematiche che, di certo, non possono essere risolte con “un colpo di bacchetta” e che non possono essere attribuite al presente Governo regionale cui il ministero dell’Ambiente in una nota del maggio 2020 nel merito riconosce “lo sforzo e l’impegno di codesta Regione nell’adottare ogni iniziativa utile a dare piena attuazione al servizio idrico integrato”.

Fatta tale premessa e riconoscendo gli sforzi dell’Assessorato regionale per invertire la tendenza (leggi in basso), bisogna anche interrogarsi sulle parole di Leoluca Orlando, presidente Anci, nel corso del webinar del 18 gennaio scorso “Il Sistema Idrico Integrato in Sicilia tra vecchie criticità e nuove opportunità” cui hanno partecipato diversi esperti del settore.

“Siamo in presenza di un organismo di regolamentazione – dichiara Orlando – che rischia di diventare un mostro che distrugge tutte le possibilità di autonomia e di cambiamento locale”.

Difficoltà confermate dall’assessore Pierobon: “Abbiamo commissariato quattro Ato idrici perché mancavano anche i piani d’ambito e su questo aspetto stiamo chiudendo. Seguire alcuni algoritmi e sillogismi porta ad aumentare il divario Nord-Sud”.

L’assessorato all’Energia risponde

“Forti criticità, ma il piano di rilancio è ormai avviato”

L’assessorato all’Energia e Rifiuti risponde alle questioni messe sul piatto dal QdS e precisa: “Quando parliamo di risorse idriche abbiamo da una parte le reti, quelle per intenderci che portano acqua alle abitazioni, e dall’altra parte le dighe, per usi anche agricoli.
In Sicilia quando questo governo si è insediato ha trovato forti criticità in entrambi i settori. La riforma del settore idrico era all’anno zero, i Comuni non avevano dato vita alle Ati, le assemblee territoriali idriche, e non c’erano i piani di investimento senza i quali non si possono spendere i fondi”.

Evidenziate le difficoltà oggettive, chiediamo notizie sul rilancio del settore. “L’assessorato ha avviato il piano di rilancio del settore. Per finanziare le infrastrutture, come da normativa e come fortemente voluto dalla Ue e dai ministeri: bisogna che le Ati approvino i piani d’ambito e individuino un gestore unico. Altrimenti niente fondi e niente investimenti, a fronte di una rete colabrodo con forti perdite e alti costi del servizio. L’assessorato ha quindi avviato iniziative per consentire la redazione dei piani. Le Ati inadempienti sono state commissariate. Con decreti presidenziali sono stati nominati i commissari ad acta nelle Ati di Ragusa, Trapani, Messina, Siracusa ed Agrigento per la redazione dei Piani d’ambito. Per dare ulteriore supporto sono stati finanziati 2 milioni per i piani d’ambito: grazie anche a queste somme l’Ati di Agrigento ha approvato il Piano, le Ati di Ragusa, Trapani e Siracusa hanno aggiudicato il servizio mentre l’Ati di Messina ha la procedura di aggiudicazione in corso. Tutto questo lavoro consentirà di avviare investimenti e migliorare le reti idriche riducendo le gravi perdite registrate a causa di infrastrutture vetuste”.

Il punto sui cantieri

I lavori in corso per dighe e rete

Per quanto riguarda le dighe, l’assessorato afferma di essere stato costretto a partire “da zero” in quanto “gli invasi spesso erano e sono carenti di sicurezza e manutenzione e questo significa che non possono mantenere tutta l’acqua che possono ma devono periodicamente svuotare e buttarla via per sicurezza. Il governo Musumeci ha quindi avviato l’iter per mettere in sicurezza gli invasi e aumentare la capacità di contenimento dell’acqua.
Sono stati avviati 52 interventi nelle 26 dighe della Regione investendo 192 milioni. Sono state indette circa 40 gare e di queste 19 sono state aggiudicate, le altre sono in fase di aggiudicazione o espletamento. I dati sono comunque in fase di aggiornamento e in continua evoluzione. La maggior parte sono tutti iter in corso: prima dei lavori servono indagini sismiche, verifiche, progettazioni. Si parla di opere imponenti ed essendo lavori di messa in sicurezza servono quegli studi che nessuno aveva mai fatto prima”.
Sul finanziamento di altre opere importanti, l’assessorato dichiara: “Finanziati all’Ati di Messina due progetti d 2,5 milioni e 800 mila euro su Capo d’Orlando relativi alla fognatura. In corso i lavori relativi ai progetti finanziati lo scorso anno e precisamente due all’Ati di Messina (fognatura 300 mila euro al comune di Brolo e depurazione 2,5 milioni al comune di Torrenova), all’Ati di Caltanissetta un impianto di depurazione (a Sommatino) per 2,5 milioni. Inoltre sono in corso i lavori per il bypass dell’acquedotto di Scillato (alimentazione città di Palermo e comuni fascia costiera) dell’importo di 4 milioni”.

Mario Rosario Mazzola

Intervista a Mario Mazzola, ordinario di costruzioni idrauliche all’Unipa

“La reale percentuale di perdite in Sicilia è maggiore del 50%”

Mario Rosario Mazzola, docente ordinario di costruzioni idrauliche all’Università di Palermo e consulente del Governo (Mef e Mit) per la selezione dei progetti del Recovery plan italiano, offre al Qds una lettura profonda ed accurata su passato, presente e futuro delle reti idriche siciliane.

Da chi e in che modo sono gestite le reti idriche in Sicilia?
“In Sicilia la gestione delle reti idriche è diretta conseguenza della mancata completa attuazione dell’assetto istituzionale e organizzativo previsto dalla vigente legislazione nazionale, che è la sola a cui fare riferimento, in quanto la Corte Costituzionale ha chiarito che in questo campo la Regione Sicilia non ha alcuna podestà legislativa al di fuori di quella che gli riserva il Codice Ambientale (Dlgs. 152/2006). Allo stato attuale coesistono gestori d’ambito con affidamento legittimo (AcquaEnna per ambito Enna, Caltacqua per quello di Caltanissetta e recentemente Amap per quello di Palermo) e altri gestori attualmente non salvaguardati in altri ambiti, quali Acoset, Sidra, Ama e Sogip nell’ambito di Catania, Aman nella solo città di Messina. Un caso particolare è quello di Agrigento, dove attualmente in parte dell’ambito le reti sono gestite da un soggetto privato anche se l’ente d’ambito ha rescisso il contratto di concessione, mentre negli centri abitati le reti idriche sono gestite in economia dai comuni. Attualmente sono gestiti in economia dai comuni anche gli interi ambiti di Siracusa, Ragusa, Trapani e Messina con l’eccezione in questo ultimo caso del solo capoluogo. Infine Siciliacque gestisce solamente acquedotti esterni e non reti di distribuzione urbane”.

Gli ultimi rapporti sottolineano che in Sicilia ci sono perdite idriche intorno al 50% e innumerevoli carenze. Chi è responsabile delle inefficienze delle reti?
“Le stime contenute nei rapporti si riferiscono solamente ai dati che sono disponibili, senza una più approfondita validazione della loro attendibilità. I dati delle perdite nelle reti idriche gestite direttamente dai comuni non sono disponibili e inoltre spesso non sono installati contatori, la lettura anche quando sono installati non è sistematica e molti contatori installati sono inefficienti e molto al di là della loro vita utile. L’impatto di tutti questi fattori è certamente negativo, per cui si può ragionevolmente affermare che la reale percentuale di perdite è maggiore del 50%. Una rete è efficiente se il suo livello di perdite è prossimo al 15-20%. Va subito detto che purtroppo, contrariamente ad alcune superficiali affermazioni, la maggior parte delle perdite ha natura fisica e solamente una quota significativa ma non preponderante è ascrivibile a perdite amministrative, che fra l’altro sono le più semplici da trovare e recuperare. Responsabile delle insufficienze delle reti è innanzitutto la cattiva gestione prolungata nel tempo, dovuta alla mancanza di gestori efficienti, indipendentemente dalla natura pubblica o privata della loro proprietà. La gestione di una rete idrica è un problema complesso, che necessità di capacità tecnica e organizzazione. Logicamente la mancanza di gestori capaci ho generato un degrado accelerato delle reti, per cui adesso sono necessari importanti investimenti. Il rinnovo fisico delle reti, cioè la sostituzione delle tubazioni, deve essere però visto come il prodotto di un investimento in conoscenza reale delle infrastrutture, e le tubazioni da cambiare vanno identificate dopo che il gestore ha installato apparecchiature per la riduzione delle pressioni, la misurazione dei consumi, la distrettulizzazione delle reti per consentire il loro controllo ed avviata una corretta campagna di identificazione e controllo delle perdite. Queste operazioni sono propedeutiche alla predisposizione di progetti di rifacimento di parte delle reti, ma sono anche essenziali per il loro mantenimento in efficienza. Una rete idrica dovrebbe durare almeno 50 anni se non 70 come succede nei paesi più sviluppati del settore, ma per raggiungere questo risultato ci vuole una continua e moderna manutenzione, cioè un reale asset management”.

Come giudica gli investimenti nel comparto idrico isolano? Perché vengono presentati più progetti al Nord del Paese che a Sud? Regione e Comuni hanno gli esperti e dunque le competenze per mettere in piedi tali progetti?
“Direi che la qualità dei progetti è generalmente correlata alla qualità dei soggetti gestori. In Sicilia questo concetto trova conferma. Dove esistono gestioni industriali i progetti sono validi altrimenti i progetti sono scadenti. A progetti scadenti corrispondono certamente investimenti scadenti. Tuttavia non è detto che a progetti buoni corrispondono investimenti buoni, perché è anche indispensabile che il gestore sia capace di controllare la fase realizzativa e successivamente di gestire adeguatamene le opere. In Sicilia la situazione è generalmente insoddisfacente, con le dovute eccezioni.
Proprio la differente numerosità di gestori industriali efficienti nel Nord rispetto al Sud è la ragione fondamentale della diversa capacità di produrre progetti. Regioni e Comuni non hanno assolutamente le competenze per attivare progetti validi in questo settore. E inoltre non sono loro i soggetti che hanno competenze nel segmento idrico. O più precisamente la Regione è attualmente competente solo per le grandi infrastrutture di approvvigionamento con l’eccezione delle opere affidata a Siciliacque. La programmazione degli investimenti necessari e la manutenzione e la gestione di queste opere non è soddisfacente, e appare indispensabile separare la funzione di controllo che deve rimanere alla Regione da quella di gestione. Per quanto riguarda le reti di distribuzione la normativa vigente prevede che la funzione di controllo sia in capo agli Enti d’Ambito, dove i comuni esercitano le loro prerogative collettivamente e non come singoli soggetti. La gestione e la proposta degli investimenti va affidata ad un soggetto concessionario, sia esso una in-house pubblica o un soggetto diverso. L’esperienza del Commissario Nazionale Depurazione con i progetti preparati dai comuni è stata disastrosa”.

Ritiene sufficienti gli investimenti previsti nel Recoveryplan per la rete idrica?
“Nel Recovery Plan sono previsti 900 milioni per la digitalizzazione e il rifacimento della rete idrica. Per il rifacimento delle reti sono assolutamente insufficienti, ma sono sufficienti per la digitalizzazione, cioè quel complesso di conoscenza delle infrastrutture e della loro strumentazione, propedeutiche e necessarie per la migliore definizione degli interventi di sostituzione. Questi ultimi possono essere successivamente finanziati con le entrate tariffarie o con successive risorse a fondo nazionali o comunitarie”.

In che modo verranno distribuite tali risorse? Si punterà finalmente a ridurre il gap tra Nord e Sud?
“La proposta contenuta nel Recovery è quella di agevolare gli investimenti nelle aree dove le perdite in rete sono elevate e dove l’alto livello tariffario rende difficile finanziarle solo con le entrate tariffarie, se non nel lunghissimo termine. Queste condizioni si riscontrano al Sud per cui potrei teoricamente dire che si punta a ridurre il gap detto anche ‘water service divide’. Ma per utilizzare queste risorse sono necessarie alcune condizioni stringenti. La prima è che le risorse possono essere assegnate solamente se gli ambiti hanno già affidato il servizio in conformità alla legislazione vigente entro il dicembre 2021 e la seconda è che tutti i lavori previsti devono essere completati entro il 2026. Se non rispetti il cronoprogramma il flusso finanziario da Bruxelles viene interrotto e devi restituire le somme incassate. Sarà il Sud ed in particolare la Sicilia capace di rispettare questi vincoli? Se non lo sarà il gap crescerà ma il Sud potrà maledire solo se stesso”.

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