“Prova di colpevolezza” in ambito tributario: arriva importante novità - QdS

“Prova di colpevolezza” in ambito tributario: arriva importante novità

Salvatore Forastieri

“Prova di colpevolezza” in ambito tributario: arriva importante novità

mercoledì 12 Ottobre 2022

Principio stabilito dall’art. 2697 Cc e confermato anche da diverse sentenze della Cassazione. L. 130/2022: l’onere della prova spetta a chi vuol far valere un diritto in giudizio”

ROMA – Si tratta veramente di una notizia molto importante, una novità che, per la verità, nessuno aveva mai invocato essendo già un principio ormai abbondantemente scontato quello che attribuisce all’accusa l’onere della prova.
Un principio previsto non solo dal Codice Civile (art. 2697 Cc), ma anche dagli articoli 31 e seguenti del Dpr 600/73 (Accertamento delle Imposte Dirette) e 51 e seguenti del Dpr 633/72 (Imposta sul Valore Aggiunto).

Anche la Corte di Cassazione, con diverse sentenze, ha confermato questo principio affermando decisamente che l’articolo 2697 del Codice Civile si applica anche nel contenzioso tributario. Parliamo di quel principio secondo il quale “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.

In genere, comunque, la giurisprudenza ha sempre sostenuto che l’onere della prova circa i fatti costitutivi del presupposto impositivo incombe sull’ente impositore. Evidentemente grava sul contribuente quando la controversia riguarda un atto di diniego di rimborso o di altra agevolazione.

Eppure, con grande stupore, dopo le modifiche apportate dalla Riforma della Giustizia Tributaria (Legge 130 del 31/8/2022), e dopo l’introduzione del comma 5 bis all’articolo 7 del Decreto Legislativo 546 del 1992, una nuova disposizione (a decorrere dal 16 settembre 2022) prevede che, “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

Si tratta, quindi, di un principio già assodato ma ora fermamente ribadito dal Legislatore della “riforma”, probabilmente con lo scopo, abbastanza giusto e valido, di evitare che un’accusa (accertamento) di natura tributaria possa essere fondata su basi non chiare e solide.

In pratica, non solo l’Ufficio, ma anche e principalmente il Giudice (ora le Corti di Giustizia Tributarie), devono fondare la loro decisione su elementi di prova chiaramente emergenti dagli atti e nel corso del processo tributario.

Resta ferma, comunque, la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di procedere all’accertamento in maniera induttiva tutte le volte che la legge lo prevede, così come non dovrebbe venir meno la possibilità dell’Amministrazione Finanziaria di applicare le presunzioni, anche queste solo se espressamente previste dalla legge.

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