Operaio morto per amianto, l'Inail condannata a risarcire la moglie - QdS

Operaio morto per amianto, l’Inail condannata a risarcire la moglie

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Operaio morto per amianto, l’Inail condannata a risarcire la moglie

Redazione  |
mercoledì 19 Ottobre 2022

Come è stato accertato dalle perizie la morte si è sviluppata in seguito alla ripetuta esposizione ad amianto sul posto di lavoro

La Corte di Appello di Palermo ha condannato per la prima volta l’Inail a corrispondere alla vedova di un operaio delle allora Cementerie Siciliane la rendita ai superstiti, prevista dal decreto del Presidente della Repubblica numero 1.124 del 30 giugno 1965. Il lavoratore, in servizio per trentasei anni presso lo stabilimento all’epoca di Cementerie Siciliane (attualmente tra le sedi di Italcementi), è deceduto a causa di un tumore ai polmoni, che come è stato accertato dalle perizie si è sviluppato in seguito alla ripetuta esposizione ad amianto sul posto di lavoro.

E’ stata dunque confermata, con sentenza risalente a giugno e resa nota negli ultimi giorni, il giudicato in primo grado del Tribunale di Palermo dell’11 ottobre 2021 che aveva condannato l’Inail al risarcimento, dispositivo impugnato dall’Istituto in appello ma senza successo. L’Inail, infatti, aveva censurato la sentenza di primo grado lamentando che “nessuna prova sarebbe stata raggiunta circa la sussistenza di un nesso di causalità tra l’esposizione ad agenti irritanti asseritamente inalati da durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e l’adenocarcinoma polmonare che ne aveva cagionato la morte”, senza che vi fosse la ragionevole certezza della “sussistenza del predetto nesso causale tra l’attività lavorativa e l’esiziale patologia tumorale scaturita da altri fattori”.

La Corte di Appello ha ritenuto infondato l’appello, affidandosi alla perizia di un consulente tecnico unico che ha nuovamente accertato la sussistenza del nesso causale tra l’attività lavorativa svolta dal lavoratore deceduto e il carcinoma che lo aveva condotto al decesso: “Appare altamente probabile un’esposizione prolungata a tali sostanze – si legge nel dispositivo -. Sussiste altresì il requisito dell’intervenuta denuncia entro il periodo massimo di indennizzabilità che, nel caso di patologia tumorale derivante dalle predette lavorazioni, è illimitato”.

Il pool legale dell’Inail aveva fatto leva sull’accertato tabagismo della vittima, che per il consulente tecnico e per la Corte rappresenta soltanto un fattore aggiuntivo di rischio e non una causa o concausa della malattia. Per questo motivo, la sentenza 3715/2021 è stata confermata in appello. L’avvocato Giuseppe Caltanissetta, che ha seguito la famiglia insieme ai giuslavoristi Carmelo Butticé e Claudia Spotorno, commenta con soddisfazione l’esito della sentenza e annuncia ulteriori verifiche sulle responsabilità dell’azienda: “Dopo oltre sei anni di battaglia legale è stato finalmente riconosciuto che il dolore di quella famiglia meritava e merita l’intervento dello Stato – ha spiegato il legale -. Non ci fermeremo: pretendiamo siano verificate le eventuali responsabilità di chi ha accumulato profitti milionari, a detrimento della salute della nostra comunità e dei suoi lavoratori, Di lavoro (duro, peraltro) si deve poter vivere, non morire”. Contattata dall’Italpress, l’Inail per il momento non ha rilasciato alcun commento in merito.

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