Ancora 6 ricercati e numerosi arrestati per orribili crimini: ecco come funzionava il "business" illecito dei trafficanti di migranti nel Mediterraneo.
Sono 25 i destinatari di misure cautelari disposte dalla Procura di Catania nell’ambito dell’operazione Landayà contro il traffico di esseri umani: ecco chi sono gli arrestati e i dettagli delle ordinanze eseguite a carico di 25 cittadini di origine straniera (principalmente di cittadinanza guineana, ivoriana e maliana).
L’ordinanza è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania lo scorso 1 agosto.
Operazione Landayà a Catania, i nomi degli arrestati
Il 3 agosto scorso, la Squadra Mobile di Catania, con la collaborazione degli omologhi uffici di Genova, La Spezia, Milano, Pavia, Torino e Viterbo, ha eseguito il provvedimento nei confronti di:
- BERTHE Fode, ivoriano, classe ‘94¸ tratto in arresto a Genova;
- DIALLO Mamadi, ivoriano, classe ‘99¸ tratto in arresto a Genova;
- DIARRASSOUBA Souleymane, ivoriano, classe’96, tratto in arresto a Genova;
- KEITA Ibrahim, ivoriano, classe ’97, tratto in arresto a Genova;
- TOUMA Hadara Arouna, del Burkina Faso, classe ’99, tratto in arresto a Genova;
- DOUMBOUYA Sidiki, guineano, classe ’92, tratto in arresto a Montalto di Castro (VT);
- BAYOKO Djiguiba, ivoriano, classe ’99, tratto in arresto a Castellamonte (TO);
- FOFANA Siriki, ivoriano classe ‘96, tratto in arresto a La Spezia.
La citata misura cautelare nell’ambito dell’operazione Landayà è stata poi notificata, in carcere, poiché già ristretti, a:
- BALDE Zeynoule Abidine, maliano, classe ’90;
- BAMBA Abdoul Kader, ivoriano, classe ‘97;
- BAMBA Souleymane, ivoriano, classe ‘97;
- DIAKITE Amadou, guineano, classe ’89;
- SANGARÈ Ali, guineano classe ’98;
- DIALLO Oumar, maliano, classe 2000;
- KEITA Ousman, guineano, classe ’92;
- KADOUNO Abdoulaye Eder, guineano, classe ‘96;
- KONE Yacouba, ivoriano, classe ‘97;
- KONATE Yaya, ivoriano, classe ’99;
- SANOGO Alfousseni, ivoriano, classe ’99.
Sono attivamente ricercati altri 6 cittadini stranieri, anch’essi destinatari della misura cautelare cui si è accennato.
Le accuse
I venticinque stranieri coinvolti nell’operazione Landayà sono risultati gravemente indiziati delle ipotesi delittuose di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravata dall’aver agito in più di dieci persone e dei reati-fine di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravati dall’avere agito in più di tre persone in concorso tra loro, di avere commesso il fatto al fine di trarne profitto anche indiretto e dalla transnazionalità.
Le indagini dell’operazione Landayà erano sfociate nell’emissione del decreto di fermo di indiziato di delitto emesso lo scorso 19 aprile in diverse parti d’Italia.
Le indagini
Le indagini dell’operazione Landayà sono partite dalla vicenda di una minore straniera non accompagnata, giunta il 25 gennaio 2021 al porto di Augusta. Collocata in una struttura sita nel Catanese ma fermamente intenzionata a raggiungere la Francia, seguiva le indicazioni avute in Libia da una donna che l’aveva avvicinata mentre si trovava in attesa di imbarco e si era presentata come sorella di un soggetto che, in Italia, si occupava di far completare il lungo viaggio passando per l’Italia (pare si tratti dell’indagato Abdoulaye Eder Kadouno).
La minore, giunta in Italia e collocata in struttura per minori stranieri non accompagnati, se ne è allontanata affidandosi alle cure del soggetto indicatole in Libia e, grazie all’operato di questo e di altri indagati, è riuscita a fuggire per tre volte dalle comunità e a raggiungere il territorio francese.
L’impegno investigativo dedicato alla vicenda di questa minore ha permesso di portare alla luce l’esistenza di un articolato sodalizio criminale di matrice straniera, a carattere transnazionale, formato da più cellule operative in Africa (Libia, Guinea, Costa d’Avorio, Tunisia e Marocco), in Italia (a Genova, Torino, Asti, Cuneo e Ventimiglia) d in Francia, dedito al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in favore di una clientela (donne, uomini, bambini e addirittura neonati) che, dietro pagamento di somme di danaro – variabili a seconda della natura degli accordi e della tranche di viaggio da eseguire (oscillando da almeno 200 euro per il mero passaggio dei confini sino a 1.200 euro circa per fasi di viaggio più ampie) – si affidava ai trafficanti per la “gestione” dei viaggi per raggiungere altri paesi dell’Unione Europea, in particolare in sconfinamenti verso la Francia.
Quattro cellule attive
L’operazione Landayà – le cui indagini sono state coordinate dalla Procura di Catania ed eseguite dalla Squadra Mobile – hanno permesso di acquisire, allo stato degli atti, elementi che dimostrerebbero come i fermati, per lo più francofoni, della Guinea e Costa d’Avorio, sarebbero in grado di garantire al migrante la realizzazione del progetto migratorio nella sua interezza, dal Paese di origine a quello di destinazione, attraverso luoghi di mero transito (tra i quali l’Italia) con la pattuizione del pagamento di un prezzo per ogni tappa del viaggio.
Il gruppo offriva tutti i servizi necessari allo “sconfinamento”: dall’organizzazione dello spostamento del migrante dal centro cui veniva affidato in accoglienza dallo Stato italiano -o, comunque, dal luogo dove si trovava- fino al sito dal quale operare il travalicamento dei confini, la fornitura eventuale di documenti falsi (anche di tipo sanitario quali falsi green pass, falsi esiti del test Covid-19 e patenti di guida), la presa in carico del migrante una volta raggiunto sul luogo in prossimità del confine, l’offerta di ospitalità nelle more, comprensiva di vitto e alloggio, la reiterazione dei tentativi di sconfinamento, la presa in carico a opera di altri membri una volta raggiunta la Francia.
Il sodalizio risultava avere struttura fluida perché capace di adattarsi ma in ogni caso ben definita quanto ai ruoli: non vi era evidentemente un capo all’apice, ma quattro capi/organizzatori ciascuno per ognuno dei gruppi, quattro entità collettive operanti con una organizzata gestione di risorse umane e materiali, stabilmente a disposizione le une delle altre e sinergicamente attive con metodi illeciti, con la finalità della commissione di plurimi delitti rientranti in un unico superiore progetto associativo che dall’Italia passava soltanto, in quanto iniziava all’estero e terminava all’estero.
Operazione Landayà, le “sedi operative”
Il gruppo era composto fondamentalmente da tre cellule:
- una con sede a Torino (dove operavano il leader Yacouba Kone e gli affiliati Yaya Konate, Djiguiba Bayoko e un terzo soggetto allo stato irreperibile) e Asti (dove avrebbe agito il cittadino guineano Abdoulaye Eder Kadouno);
- una con sede in Liguria (dove “lavorava” Sidiki Doumbouya, leader del citato gruppo e un altro componente dello stesso) ma con un associato dimorante ad Asti (Amadou Diakite);
- una terza con sede a Ventimiglia e a sua volta suddivisa in due sottogruppi: l’uno riferibile a un soggetto allo stato irreperibile, leader del gruppo composto da Ibrahim Keita e altri due soggetti irreperibili, e l’altro guidato da Alfousseni Sanogo (composto anche da Hadara Arouna Touma, Fode Berthe, Mamadi Diallo, Abidine Balde Zeynoule, Souleymane Diarrasouba, Siriki Fofana, Souleymane Bamba, Abdoul Kader Bamba e altri due soggetti irreperibili).
Grazie alle indagini dell’operazione Landayà si è scoperto che accanto a questi gruppi operavano anche due sodali “cerniera”, con alla guida Ali Sangarè e un altro soggetto irreperibile.
Operazione Landayà, “liti” e la lotta per l’egemonia
Nel corso delle investigazioni è emersa una fibrillazione – scaturita ragionevolmente per contese concernenti il controllo del territorio di riferimento – tra antagonisti di diversa cittadinanza (da una parte cittadini nigeriani, dall’altra i francofoni), dediti al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina via terra, fibrillazione che potrebbe avere originato una violenta aggressione ai danni di uno dei destinatari del decreto di fermo, allo stato irreperibile.
Ulteriori evidenze investigative sono emerse dagli accertamenti patrimoniali svolti sincronicamente alle attività tecniche e tradizionali, accertamenti che permettevano di apprezzare un considerevole giro d’affari: sebbene la maggior parte dei movimenti dei flussi di denaro avvenisse in contanti (soprattutto per la clientela agganciata alla spicciolata in prossimità dei confini) e un’altra parte attraverso sistemi basati sulla mera fiducia, definita dai monitorati con il termine “Landaya”, l’analisi delle PostePay in uso ad alcuni degli indagati ha consentito di attestare che uno dei sodali aveva effettuato l’acquisto online di titoli di viaggio in un limitato arco temporale per un ammontare di circa 26.000 euro.
L’analisi dei flussi di denaro relativi alle carte utilizzate ha restituite per ciascuna un saldo pressoché pari a zero: le carte venivano infatti utilizzate quali meri contenitori precari, con transazioni complessivamente ammontanti a 800.000euro solo considerando le carte PostePay intestate a diversi indagati e dovendosi, comunque, tenere in considerazione che spesso nel settore dello smuggling e del trafficking, i flussi di denaro di rilievo avvengono utilizzando soggetti apparentemente non legati agli autori del reato, per evitare che operazioni di movimentazione di danaro anomale, reiterate e di un certo rilievo, possano esser foriere di attenzione investigativa.
Anche prestazioni sessuali in cambio dei “viaggi della speranza”
A ciò va aggiunto che l’attività tecnica permetteva di registrare numerose conversazioni espressamente concernenti la bellezza e le fattezze fisiche delle migranti di sesso femminile gestite dal sodalizio e in alcuni casi anche di rilevare che le stesse, oltre al pagamento in denaro, corrispondevano prestazioni sessuali, anche quando viaggiavano con figli minori, così potendosi apprezzare ancora una volta l’estrema vulnerabilità delle migranti di sesso femminile vittime di persone senza scrupoli.
In alcuni casi, nell’ambito dell’operazione Landayà, gli inquirenti hanno attestato movimentazioni illecite di bambini in tenera età, accompagnati dalle madri e talvolta da esse momentaneamente affidati a un componente del sodalizio, nonché la strumentalizzazione della condizione di incertezza del migrante.
In tal senso erano varie le strategie psicologiche sperimentate e finalizzate alla massimizzazione dei guadagni derivante dal numero sempre maggiore di migranti che si rivolgevano al sodalizio. I fermati, giunti in Italia a partire dal 2016, avrebbero dimostrato una non comune expertise criminale tanto che avrebbero affinato le tecniche di interazione con la clientela sintetizzabili, tra l’altro, nelle parole utilizzate da uno di essi in un dialogo monitorato: “Questa è una cosa che ti ho detto mille volte!!! quando parli con un cliente devi per prima cosa farlo partire, guidandolo da dove si trova, sino a farlo giungere a Milano o a Ventimiglia… poi dopo gli puoi chiedere in quale città vuole andare e infine gli dici il prezzo! Così hai la certezza di poter trovare un accordo. Già non arrivano tante persone e quelle poche che arrivano con il tuo modo di lavorare li fai allontanare!”. In sostanza, la strategia consisteva nell’imbrigliare il migrante offrendogli quanto da esso atteso e anche di più ed in fretta, portandolo sino a un punto di avanzamento delle operazioni tale da rendergli impossibile il rifiuto del servizio.
Tra l’altro, alcuni degli indagati dell’operazione Landayà avrebbero approfittato del loro inserimento a vario titolo all’interno di strutture di accoglienza per migranti: per un verso accreditandosi per il fatto stesso di svolgere attività all’interno delle strutture; per altro verso sfruttando tutte le informazioni per tale ragione disponibili circa i nuovi arrivi, le nazionalità e l’età dei potenziali clienti.